Quattro ore a Palazzo Chigi per appianare mesi di incomprensioni. Mani strette a lungo, sorrisi calibrati, il bilaterale tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron – definito dalla premier «molto utile per rafforzare i legami» – sancisce un parziale riavvicinamento tra Roma e Parigi dopo le tensioni degli ultimi mesi, dal grande gelo del G7 di Borgo Egnazia allo scambio di battute a distanza sul summit dei “volenterosi” a Tirana. «C’è una sorta di animosità e antipatia storica tra loro. A volte sembra che questa rivalità ostacoli una vera solidarietà paneuropea, proprio in un momento in cui servirebbe più unità, viste le turbolenze scatenate da Donald Trump», spiega Amy Kazmin, corrispondente del Financial Times da Roma. «Hanno diffuso un comunicato congiunto molto maturo, in cui affermano la necessità di collaborare e trovare un terreno comune riaffermando il loro sostegno all’Ucraina. Credo abbiano cercato sinceramente di sistemare le cose». Il prossimo vertice bilaterale è già fissato per l’inizio del 2026 a Parigi, «Alla fine sarà il tempo a dirci se, al prossimo incontro, vedremo progressi o, al contrario, nuove tensioni». Tra i due, infatti, resta il nodo dell’equilibrio: pari dignità, nessuna fuga in avanti, soprattutto su temi che dividono anche le rispettive opinioni pubbliche. Ma l’atmosfera è quella del disgelo.
Del resto, sottolinea la giornalista del quotidiano britannico, «Giorgia Meloni ha dimostrato di essere molto disponibile e capace nel relazionarsi con tanti leader, a prescindere da dove si collochino politicamente». C’è Donald Trump che la chiama «fantastica» nelle interviste alle tv e Keir Starmer, primo ministro inglese laburista, che ne apprezza la politica migratoria dei centri in Albania, come il predecessore, il conservatore Rishi Sunak: «Ha dimostrato di saper combinare fermezza nei valori democratici e apertura al dialogo». La simpatia per la premier italiana attraversa generi, schieramenti, latitudini. «Lei sa bene che l’Italia ha relazioni istituzionali con Stati Uniti e Regno Unito, e di solito si comporta in modo molto corretto in questo senso, dicendo: Io tratto con il leader che è stato eletto in quel Paese. Con Macron è diverso, lì c’è qualcosa di più personale da entrambe le parti».
La scena più emblematica, forse, è quella immortalata durante il vertice della Comunità Politica Europea di Tirana, con il capo del governo albanese, il socialista Edi Rama, che si inginocchia scherzosamente di fronte a Meloni, mentre lei, ridendo, lo rimprovera con un «No, Edi!» prima di cingerlo in un abbraccio. Ma la trasversalità non deve stupire: «Un tempo, tutti parlavano con persone di ogni parte dello spettro politico». Oggi «sembra si possa parlare solo con chi la pensa come noi. Un buon politico, quando si muove sulla scena internazionale, deve saper dialogare con persone provenienti da ogni contesto. E credo che Giorgia Meloni tenga molto ad avere un ruolo significativo sul piano globale».
Sul fronte atlantico, infatti, la premier ha incassato nel tempo i favori sia dell’amministrazione Biden – che ne apprezzava il sostegno convinto all’Ucraina – sia dei repubblicani. Trump, a pochi giorni dal ritorno alla Casa Bianca, l’ha accolta nella sua residenza di Mar-a-Lago con queste parole: «È molto emozionante, sono qui con il primo ministro italiano. Ha davvero preso d’assalto l’Europa». Volgendo lo sguardo a Bruxelles, la collaborazione con von der Leyen si è consolidata ben oltre le affinità occasionali. Più volte la presidente della Commissione non ha esitato nel definire Meloni una leader pragmatica e un ponte tra sensibilità politiche diverse.
Meno idilliaci, almeno all’inizio, i rapporti con l’ex cancelliere Olaf Scholz, che oggi ha lasciato il passo a Friedrich Merz. Nell’ultimo vertice a Palazzo Chigi però, come con il titolare dell’Eliseo, sembra si sia trovata l’intesa e i toni sono più concilianti: l’Italia «è un partner strategico da sempre, assolutamente da coinvolgere. Non possiamo farci separare, né ci sono membri di serie A o di serie B», ha ricordato Merz in un passaggio sul dossier ucraino.
Dai primi colloqui con Xi Jinping al G20 di Bali, alle visite ad Algeri, Tripoli, Tokyo e Istanbul. Un profilo internazionale, quello di Meloni, costruito grazie a due anni di fitta agenda diplomatica. In occasione del primo anniversario dell’invasione russa, il presidente Zelensky ha ringraziato pubblicamente l’Italia per il sostegno militare. A Varsavia, i polacchi hanno visto nella premier un’alleata naturale. Poi l’intesa con Edi Rama, che ha definito l’accordo sui migranti con il governo italiano un atto «di fratellanza e vicinanza». Fuori dall’orbita euro-atlantica i rapporti privilegiati non mancano, con Narendra Modi in particolare. Sui social media il trend dei “Melodi”, una crasi usata per descrivere un rapporto di stima personale che ha facilitato nuovi accordi in campo tecnologico e militare. Dall’altra parte del mondo, anche il presidente argentino Javier Milei ha indicato Roma come interlocutore privilegiato: «Noi, in Europa, parliamo con Giorgia Meloni».
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