«Trovare Emanuela viva o morta è dare una risposta alla nostra vita». Sono quarantadue anni che la famiglia Orlandi, in particolare il fratello, sta cercando di fare luce sul rapimento della sorella e farsi giustizia autonomamente, nel frattempo Emanuela è ancora iscritta all’anagrafe Vaticana come cittadina vivente.
Pietro Orlandi vuole sapere il perché, dei colloqui negati da Bergoglio, dalla Minardi; il perché dell’inchiesta riaperta, ma, sulla quale sta lavorando chi ha suo tempo proteggeva le vicende del gruppo criminale della Banda della Magliana, di cui alcuni Sarnatorio, Cassiani e Cerboni, riconosciuti negli identikit durante gli interrogatori agli amici della giovane, erano visti i giorni precedenti pedinare quest’ultima.
«Sono convinto che era stato organizzato da tempo, se sono stati loro, sono stati solo degli esecutori, ma per chi? Mia sorella era all’interno di un piano per creare l’oggetto del ricatto, per poter tenere sotto scacco lo Stato più importante del mondo».
«Le piste che tengo aperte sono tutte, tranne lo sciacallaggio, buttare fango ipotizzando un carattere peperino di Emanuela, sulle assenze a scuola, la gravidanza e gli abusi». Illazioni che vanno a ledere la naturale purezza di una adolescente; gli scandali sessuali rivelati da Bergoglio sono «solo una punta, l’Iceberg è enorme, credetemi». aggiunge Pietro, «si è dovuto creare l’oggetto del ricatto», «Emanuela era l’ombra della sorella, era una ragazza spensierata e felice, giocavamo in quei giardini, lì ho passato gli anni più belli della mia vita, ci sentivamo protetti dai Papi, io sono cresciuto con Giovanni XXIII».
«Mio padre, funzionario Vaticano, ligio ai doveri come il nonno ai tempi di Pio XI, reagì dicendo “Sono stato tradito da chi ho servito, ci hanno abbandonato”».
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Giovanni Paolo II «ci disse di aver fatto tutto quello che era in suo possesso», Ratzinger «negò la richiesta di commemorazione dei venticinque anni dal rapimento, che coincideva con la messa domenicale, giustificandosi di dover aspettare il permesso e che gli era stato suggerito di non farlo, poiché avrebbe fatto pensare ad un coinvolgimento della Chiesa», e Bergoglio «non ha avuto coraggio, si è sempre negato, mai accettata la mia richiesta di incontro, in cui avevo specificato la segretezza».
Bergoglio ha «rivelato a un amico caro in Vaticano: “Non posso parlare ho gli occhi puntati di tutti”». Non ha mai dato seguito a quell’incontro casuale che Pietro Orlandi ebbe due settimane dopo la sua elezione nella consueta messa in Sant’Anna, quando incrociandolo negli occhi, «mi disse: Emanuela è morta, perdonateci», ma l’anima di Pietro Orlandi, vuole sapere cosa è accaduto ad una adolescente vaticana uscita di casa e mai tornata.
Verità amara, di difficile accettazione forse, visto il rifiuto al volerlo incontrare di molti, come Minardi, Bergoglio, Giudici che non hanno voluto ascoltare testimonianze di gente che sapeva, tutto questo ha portato P.O. in Turchia nel 2011 a guardare negli occhi ALI ACGA. In quell’incontro il turco «mi ha detto che se volevo sapere la verità, la Pelosi e Biden sapevano tutto, ma più di tutti il Cardinal Re».
Alla domanda «quante persone a conoscenza hanno scelto il silenzio» risponde: «Tante, eppure io mi sento ancora cittadino vaticano, ma rinnego i complici, perché chi poteva parlare e non lo ha fatto lo è. In questi anni tanti Papi si sono avvicendati e loro sapevano, non hanno avuto coraggio o qualcosa o qualcuno li ha fermati, da Bertone a Becciu, da quell’incontro con il cardinal Georg, allora capo della segreteria di Stato Vaticana che mi disse che il Papa doveva occuparsi di cose spirituali mentre dovevo far capo solo alla segreteria per altri assunti, eppure l’ ex comandante della gendarmeria Giani ha ammesso la presenza di un fascicolo riservato su quella scrivania, proprio all’epoca delle mie visite Vaticane in cui, insistentemente, a due metri dalla porta dove era il Papa chiedevo di poterlo vedere anche solo per due secondi, fascicoli dove è racchiusa la verità, confermato anche dal Corvo (Paolo Gabriele) mio amico ed assistente di Giovanni Paolo II che li ha visti erano lì». Quello che Pietro Orlandi non si spiega è come da quel giugno gli sia stata negata l’esistenza di quei documenti e ora, pian piano, riaffiorano, sparsi fra archivio di stato, addirittura nascosti dietro il nome di Schifano, telegrammi inviati dall’Ambasciatore presso la Santa Sede ai vertici, proprio in quegli anni.
L’inchiesta è stata aperta, ma chi conduce le indagini, il promotore di giustizia Diddi, non vuole ascoltare l’ex maresciallo Dioguardi che la scorsa estate ha contattato Pietro Orlandi, esprimendo il desiderio di collaborare nella ricostruzione di quanto accaduto nell’agosto del 1983 quando lavorava nella segreteria del Ministro della difesa Spadolini e il Cardinal Piovanelli venne, sollecitando un volo notturno CAI per quattro persone, direzione Londra.
Le piste sono tante, colme di ramificazioni e di tristezza. Si è pensato che i rapitori fossero gli stessi collegati all’attentato di Woytila nel 1991, «ma credo che la Chiesa ha usato il rapimento di Emanuela, a scopo propagandistico contro la Russia, il Muro di Berlino, il Comunismo, per buttare polvere su un altro tema di quegli anni i probabili fondi dello Ior e del Banco Ambrosiano, di cui parte, si vocifera incrementati dai proventi della mafia, e immessi nelle questioni Solodarnosc».
Una testimone, Sabrina Minardi, non ha mai voluto incontrare Pietro, ma nel libro che porta la sua voce La supertestimone e dalle voci di chi quella banda la conosceva bene nelle notti romane, il corpo della piccola Orlandi si trova nella spiaggia di Torvaianica. Anche se fosse questa la risposta, «De Pedis e i suoi sodali, solo esecutori, per creare un oggetto del ricatto. Qual è il segreto di cui si vergogna il Vaticano o che teme di divulgare da quarantadue anni e ci ha imposto di abdicare alle nostre vite in funzione della ricerca?»
«Abbiamo passato una vita intera nella sua ricerca meritiamo giustizia e la pace con cui Prevost ha inaugurato il suo discorso iniziale, se Emanuela è morta devono dirci la verità, noi famigliari necessitiamo una risposta solo nostra, non vogliamo manifesti».