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Esclusiva

Dicembre 12 2019.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 28 2021
Empatia: l'arma di comprensione di massa

L’Esercito vuole dotarsi dello strumento di comunicazione più potente per attrarre e arruolare nuove leve. I giornalisti sono in grado di darglielo.

L’Esercito Italiano ha un problema: sempre meno giovani trovano attraente la prospettiva di arruolarsi come soldati semplici.
Eppure l’offerta del mondo militare rappresenterebbe qualcosa di niente affatto scontato in tempi di crisi economica e di disoccupazione: un posto di lavoro sicuro, concrete prospettive di carriera, un certo prestigio sociale e l’opportunità di guadagnarsi un’indipendenza dalle famiglie.
Che cos’è allora che non rende sufficientemente accattivanti queste proposte?
La risposta che i vertici militari si sono dati è che l’Esercito non sa vendersi bene. Non sa raccontare sé stesso e rendersi interessante. Non suscita empatia nel suo pubblico di riferimento.

 

Empatia Esercito
Questa mancanza di empatia, l’utilizzo di un linguaggio evidentemente poco efficace e la ricerca di soluzioni al problema hanno costituito il tema del 2° Meeting sulla comunicazione tenutosi l’11 dicembre a Palazzo Cusani, nel cuore di Milano.
Sin dalle prime battute è emerso come le principali criticità si concentrassero non nella quantità dei contenuti proposti o in una insufficiente presenza dell’Esercito nei principali canali di comunicazione, quanto piuttosto nella qualità del metodo di interazione e nel tipo di linguaggio adoperato. Infatti secondo recenti studi effettuati dal Data Lab della LUISS, il centro di ricerca specializzato in social media e data science, nell’ultimo anno il Ministero della Difesa è risultato il Ministero più attivo nella trasmissione di contenuti sui social network, ma anche il meno coinvolgente.

Le alte sfere dell’Esercito hanno perciò ritenuto opportuno rivolgersi a chi fa della comunicazione il proprio mestiere: i professori e i volenterosi praticanti delle Scuole di giornalismo LUISS di Roma, Walter Tobagi, IULM e dell’Università Cattolica di Milano.
Secondo il parere della dottoressa Alice Andreuzzi, data analyst della LUISS: «L’empatia non è un qualcosa che si ottiene solo attraverso procedimenti tecnici o strategici, ma anche e soprattutto attraverso la narrazione di storie coinvolgenti, e si fa forte della capacità di chi veicola un messaggio di adottare un sistema di comunicazione flessibile, in grado di adattarsi a tipologie di lettori differenti». Per far questo, naturalmente, sono indispensabili una profonda conoscenza ed una piena comprensione della realtà, che sono il presupposto essenziale di una comunicazione empatica. Se conosciamo colui al quale ci rivolgiamo, i suoi valori e il suo linguaggio, sarà più semplice permettergli di essere emotivamente partecipe della nostra proposta, e riusciremo quindi a suscitare empatia, creando con lui una connessione sentimentale.

 

Empatia Esercito

Di questo vive il giornalismo. «Una narrazione empatica può creare di per sé una storia, e dove c’è una storia c’è una notizia. L’empatia è sempre stata l’essenza del giornalismo, si tratta ora di recuperarla e di declinarla nell’utilizzo delle nuove tecnologie e dei nuovi strumenti della comunicazione, in primis i social network» ha suggerito il professor Gianluca Crinaglia, dell’Università Cattolica. E proprio sulle opportunità e sulle criticità dei social network si è incentrato il dibattito; quanto conta restare al passo con questo tipo di evoluzione mediatica? Che empatia sono in grado di suscitare, e quanto può fare la differenza un utilizzo consapevole di questi strumenti, rispetto ad un uso improprio? Tra le opinioni più critiche della comunicazione social si sono registrate quelle del professore della scuola Tobagi, Luciano Clerico, il quale ha rimarcato l’importanza di un approccio comunicativo tradizionale, anche e soprattutto online, ritenendolo ancora oggi il più efficace, credibile ed empatico.
Eppure non si può non fare i conti con l’indiscutibile successo planetario della generazione mediatica inaugurata da Facebook, che ormai da più di un decennio costituisce la narrazione primaria delle nostre storie. Come ha rilevato il professor Crinaglia «La rete e i social sono la nuova struttura che ci tiene costantemente immersi in un sistema empatico, se pur certamente differente e per certi versi sostitutivo di quello derivante dalle comunicazioni tradizionali. È un sistema più semplice, perché permette di partecipare senza esporsi, ma questa semplicità ha pagato e sta pagando».

Cambiano i tempi, dunque, e con essi i modi e le tecniche per esprimere al mondo le proprie idee, per pubblicizzare un prodotto, per raccontare una notizia o per arruolare nuove leve. La legge di natura che si pone alla base di questi fenomeni però non muta: per parlare al cuore, e non solo alle orecchie, dobbiamo suscitare empatia.