Clamoroso il risultato ottenuto da Pete Buttigieg, ex-sindaco di uno stato molto conservatore come l’Indiana e veterano dell’Afghanistan. Moderato sul piano politico ma molto liberal sulle questioni dei diritti civili, dichiaratamente gay e sposato, è davvero l’unico ad abbassare l’età media nella rosa dei candidati.
Sembra il giovane candidato sia riuscito a conquistare i sobborghi urbani ma anche le contee più rurali – a differenza di Sanders che vince di misura nelle città più grandi: Des Moines, Cedar Rapids, Sioux City. Città dove risiede l’elettorato più giovane e quindi più sensibile al messaggio del senatore del Vermont. Rispetto a Sanders, il voto per Buttigieg appare più distribuito e trasversale.
È un risultato importante perché rafforzerebbe il messaggio di Buttigieg: presentarsi come il candidato più eleggibile, capace di raccogliere sia il voto moderato che quello liberal, dei giovani e insieme e della classe lavoratrice che votò in massa per Trump alle precedenti elezioni. Buttigieg è trasversale. Il fatto che provenga dal Midwest poi, potrebbe poi essere un vantaggio non indifferente per raccogliere voti nelle aree centrali degli Stati Uniti, che i democratici devono riuscire assolutamente a riconquistare in questa corsa elettorale.
La prima grande prova di questo Partito Democratico rimane comunque un fallimento totale. Il processo non ha funzionato, ci sono state polemiche e accuse di brogli da parte dello staff della campagna di Bernie Sanders. Ne parliamo con Alberto Flores d’Arcais, firma de l’Espresso e professore della Scuola di Giornalismo della LUISS, collegato in video-conferenza da New York con la nostra redazione. «È un ritardo veramente incomprensibile. Per fare un confronto, nel 2016 alle 22 della sera stessa già si sapeva tutto». Dopo le accuse di brogli nel 2016, quest’anno il Partito Democratico ha provato ad utilizzare un nuovo sistema: una app che controlla tutte le sale, monitorandole in tempo reale. Vedendo dall’alto il numero dei sostenitori che si spostano. «Questa app non ha funzionato, o se ha funzionato, lo ha fatto molto male».
Poche ore dopo la chiusura del voto, Bernie Sanders era dato già in testa, perché i risultati di alcuni dei seggi erano già usciti. Vista la confusione, tra il suo staff, memori di quanto accaduto nella corsa del 2016 in cui il candidato si giocava la nomination con Hillary Clinton, è iniziato a serpeggiare il sospetto che i ritardi fossero dovuti ad un temporeggiare dei vertici del partito per cercare di appianare gli imbarazzi per le evidenti difficoltà del candidato favorito Joe Biden. Lo staff del senatore del Vermont ha quindi deciso di prendere in contropiede gli stessi vertici, pubblicando a sua volta i propri risultati parziali che lo davano in testa col 29,66%, seguito dalla grande rivelazione Pete Buttigieg col 24,59% e da Warren col 21,24%. Sprofondato invece Joe Biden, quarto col 12,37% dei voti scrutinati. «Un risultato eclatante – aggiunge Flores – questo vuol dire che questi caucus cambiano radicalmente da subito lo scenario attuale».
I Caucus
I Caucus come quelli che si svolgono in Iowa, non sono vere e proprie primarie. Le regole che ne determinano il funzionamento sono curiose, ma abbastanza precise. «Va sottolineato che negli Stati Uniti il processo di voto è diverso da quanto avviene in altri stati del mondo. Solo chi è iscritto nelle rispettive liste elettorali dei partiti può esprimere il proprio voto». Bisogna registrarsi come elettori di uno dei tre grandi gruppi: Repubblicani, Democratici o Indipendenti. Possono votare tutti quelli che compiranno gli anni entro il 3 novembre, quindi anche coloro che oggi hanno solo 17 anni e pochi mesi.
Queste assemblee di solito sono organizzate in spazi pubblici come palestre, chiese, teatri. I sostenitori dei vari candidati si dividono in gruppi. Di solito per distinguersi gli uni dagli altri si mettono una maglietta con i nomi dei candidati, e dopo una discussione iniziale, prendono posto nei vari angoli della stanza. C’è una prima fase, il cosiddetto “allineamento”. Se un candidato non arriva ad almeno il 15% dei voti, i suoi sostenitori hanno davanti a loro due scelte: o andarsene, oppure sostenere qualcun altro.
I candidati si sono già spostati nel New Hampshire, che assieme a Nevada e South Carolina costituisce la prossima tappa elettorale. «Dallo staff di Biden hanno fatto circolare la voce che il loro candidato non si ritirerà, che di per sé, è già un segno di debolezza» aggiunge Flores.
Scenari futuri
Il fatto che si inizi dall’Iowa, non ha un motivo preciso «È più che altro una questione di tradizione, è dagli anni 70 che si fa così». È uno stato piccolo, elegge solo 41 delegati alla convention, 41 sui circa 4000 totali. «Ma c’è un dato interessante. In tutte le ultime elezioni chi ha vinto in Iowa ha vinto la nomination, perché psicologicamente la prima vittoria nelle primarie conta tantissimo. Chi se la intasca ha più possibilità di essere invitato come ospite delle trasmissioni, di ricevere più attenzioni mediatiche, di raccogliere più finanziamenti, di apparire agli occhi degli indecisi come il cavallo vincente. Chi perde malamente, in genere si ritira. Ma non questa volta».
Secondo questa consuetudine, Joe Biden avrebbe dovuto annunciare il suo ritiro, ma non lo farà, e per vari motivi. Quest’anno anche in California si andrà al voto nel Super Tuesday. Un tempo, il Golden State votava solo a giugno, a giochi fatti, quando nonostante il suo peso, praticamente non influiva più sulle scelte. Andando al voto a marzo, l’esito di quel voto sarà determinante. La California ha la possibilità di esprimere 400 dei delegati totali, 10 volte tanti quelli di uno staterello come l’Iowa.
«Normalmente si tende ad arrivare alla convention generale con un candidato solo per evitare confusioni e mostrarsi compatti in vista della sfida finale. Nel 1980 Jimmy Carter, dopo un testa a testa tra candidati forti, batté alla convention Ted Kennedy: successe di tutto, un vero e proprio mercato delle vacche».
Michael Bloomberg ha deciso di non presentarsi a questi primi appuntamenti elettorali, decidendo di scendere in campo solo il 3 marzo, giorno del Super Tuesday. Il magnate newyorchese delle comunicazioni si è accorto che il moderato Joe Biden è un candidato tutto sommato debole, incline alle costanti gaffes, anziano e poco lucido. «Se i risultati fossero questi davanti a lui si aprirebbe un’autostrada». Bloomberg rappresenta la vera incognita in vista della convention democratica. «È difficile fare pronostici, ma la sensazione è che si arriverà per una seconda volta alla convention con più di un candidato, in uno scenario da disfatta simile, Trump avrebbe già vinto».