Un virus meno letale della SARS ma che provoca più morti. Come si spiega?
«Dipende dal denominatore. Il tasso di mortalità del Coronavirus rimane intorno al 2.4 %, per la SARS era del 9,6%. Questo perché l’agente della SARS aveva infettato 9.000 persone e provocato circa 800 decessi. Questa nuova malattia ha già colpito più di 25.000 individui e le vittime, che sono in percentuale minore, potrebbero aumentare. Si tratta in ogni caso di stime relative alla Cina e non al resto del mondo, dove il numero di morti provocati dalla Sars resta maggiore».
Mascherine. Sono utili, ora, in Italia?
«Finché la situazione epidemica rimane a questi livelli, girare con la mascherina non ha senso. Riduce il rischio di infezione per il soggetto sano, ma la realtà ci dice che siamo in un momento in cui la probabilità di incontrare per strada un soggetto che abbia contratto il Coronavirus è del tutto improbabile. Più che a proteggere dall’infezione, è semmai utile al malato per evitare la trasmissione della patologia».
È corretta la linea seguita dal governo?
«Allo stato attuale si sta portando avanti un intervento corretto, di grande attenzione nei confronti dei cittadini. La situazione è diversa per i nostri connazionali rientrati e messi in quarantena, perché rimasti per molti giorni nel pieno del focolaio epidemico. Su queste persone avere un atteggiamento più aggressivo in termini di vigilanza è una misura condivisibile e condivisa dagli stessi pazienti. Coloro che sono voluti rientrare sapevano che avrebbero ricevuto questo trattamento».
È giusto che i governatori leghisti pensino alla chiusura delle scuole per i bambini cinesi?
«È una proposta forte ma condivisibile solo in parte: avendo messo in quarantena altre persone venute dalla Cina, si potrebbe pensare di adottare la stessa misura per quei bambini che, rientrati in Italia, dovrebbero tornare a scuola. Ben più utile sarebbe sottoporli ad un’attenta valutazione clinica, per farsi trovare pronti di fronte ad un’eventuale comparsa di sintomi riconducibili al virus. Non ci sono stati o sono pochissimi i casi secondari, quelli relativi a persone provenienti dalla Cina che, spostandosi in un’altra nazione, hanno trasmesso l’infezione ad individui autoctoni. Il rischio che un bambino si ammali e trasmetta l’infezione è dunque molto basso».
Quali i prossimi sviluppi?
«Una previsione assoluta è difficile, ma in questo momento è un virus con una debole capacità di generare casi secondari. È già un dato importante, che indica la mancanza di focolai epidemici in altre parti del mondo. Le prossime 3-4 settimane saranno quelle decisive per comprendere i risultati delle misure di alto contenimento in atto. Se entro febbraio non ci sarà una diffusione significativa in altre zone, possiamo ben sperare».