I cittadini tedeschi – anche se non malati terminali – potranno scegliere di morire e di farsi aiutare da terzi. Così ha deciso la Corte Costituzionale tedesca, che mercoledì 26 febbraio 2020 ha emesso una sentenza con cui ha dichiarato incostituzionale il paragrafo 217 del diritto penale sul divieto di suicidio assistito perché incompatibile con la Costituzione. La norma era stata introdotta a dicembre 2015 dal Bundestag per impedire la proliferazione di “affari con la morte”. Secondo la legislazione vigente, “chiunque intenda promuovere il suicidio di un altro, che gli offre l’opportunità commerciale di farlo, lo preveda o media, sarà punito con una pena detentiva fino a tre anni o una multa”. In altre parole, medici e associazioni non possono assistere un individuo né nel fine vita né nella somministrazione di cure palliative. Il ricorso era stato presentato quattro anni fa da due associazioni, sette medici e due cittadini tedeschi che contestavano le limitazioni imposte dalla norma in materia di assistenza al suicidio.
La sentenza della Corte ha affermato il principio che “l’autodeterminazione alla fine della propria vita rientra nell’area della personalità umana” e che “il diritto alla morte autodeterminata non si limita a situazioni esterne come malattie gravi o incurabili o determinate fasi della vita e della malattia. Esiste in ogni fase dell’esistenza umana. Un restringimento del diritto a determinate cause e motivi sarebbe equivalente a una valutazione dei motivi per i quali una persona decide il suicidio […] che è estranea al concetto di libertà della Costituzione”: non solo pazienti in fin di vita o anziani, dunque. Ogni Lander tedesco potrà decidere in materia secondo la propria legislazione ma sempre nel pieno rispetto di questo principio. L’eutanasia passiva – intesa come il rifiuto di rimedi che mantengono in vita – sarà permessa, a fronte di un’esplicita e manifesta volontà del paziente; l’eutanasia attiva continuerà invece a essere illegale e l’iniezione letale sarà un’“uccisione a richiesta”. Nessun medico, in ogni caso, potrà essere forzato ad assistere qualcuno nel suicidio, trattandosi di un diritto e mai di un dovere.
La sentenza si limita ad affermare un principio generale, che dovrà essere poi applicato ai casi concreti dal legislatore; quest’ultimo, inoltre, potrà prevedere misure di prevenzione del suicidio, facendo in modo che l’individuo scelga la morte autodeterminata solo in extrema ratio.
Prima di questa sentenza, i cittadini tedeschi intenzionati a porre fine alle proprie sofferenze tramite suicidio assistito erano costretti ad andare nei Paesi Bassi e in Svizzera: vero artefice del proprio destino era solo chi aveva la possibilità economica di viaggiare. In realtà fino al 2015 anche la Germania offriva un servizio simile finché i medici (anche quelli che somministravano cure palliative), spaventati dalle conseguenze legali previste dalla legge, avevano iniziato a informare meno i propri pazienti sul fine vita.
La sentenza della Corte costituzionale tedesca contribuisce a scardinare un impianto normativo discriminatorio, già profondamente minato dopo che nel 2017 era stato consentito ai malati terminali l’accesso a rimedi come l’iniezione letale.
Il governo tedesco ha fatto sapere che la decisione della Corte sarà scrupolosamente valutata prima di una sua reale applicazione, ma il Paese è già diviso tra favorevoli e contrari. Il Ministro della salute Jens Spahn si è detto disponibile ad avviare alcuni “colloqui” sulla questione, specificando che quella del suicidio assistito non dovrà mai diventare “un’abitudine” o “l’aspettativa di un obbligo sociale”. Lukas Radbruch, presidente della Società tedesca delle case di riposo e della medicina palliativa, ha invitato a non essere precipitosi e a non dare il “via libera alle organizzazioni per l’eutanasia”, mentre il Presidente della Diakonie, in rappresentanza delle chiese evangeliche, ha tuonato aspramente contro la sentenza della Corte costituzionale.