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Esclusiva

Marzo 6 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 9 2020
Chiesa cattolica, la risposta alla diffusione del contagio

Dal parroco di Codogno al vescovo di Ancona, come la Chiesa cattolica in Italia sta reagendo alla diffusione del Coronavirus

«La Chiesa che è in Italia condivide questa situazione di disagio e sofferenza del Paese e assume in maniera corresponsabile iniziative con cui contenere il diffondersi del virus. Attraverso i suoi sacerdoti e laici impegnati continua a tessere con fede, passione e pazienza il tessuto delle comunità»: così ha fatto sapere attraverso un comunicato stampa speciale la Conferenza Episcopale Italiana (CEI), l’assemblea permanente dei vescovi cattolici italiani, aggiungendo di «assicurare preghiera costante a quanti sono colpiti e ai loro familiari, agli anziani, ai medici, agli operatori sanitari e a quanti sono preoccupati per le pesanti conseguenze di questa crisi sul piano lavorativo ed economico».

Sono precise e proporzionate le misure che la CEI ha disposto per tutte le chiese italiane da Nord a Sud: stop a tutte le messe feriali in tutti gli orari nelle diocesi delle regioni Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e province di Savona e Pesaro-Urbino. Su tutto il resto del territorio nazionale, invece, sarà possibile celebrare messa per i preti italiani, che però hanno dovuto sospendere almeno fino al 15 marzo tutte le altre attività parrocchiali, oratoriali e associative, come i corsi di preparazione al matrimonio per i fidanzati, le attività di catechismo per cresima e comunione per i più giovani, raduni, pellegrinaggi e eventi di preghiera che avrebbero visto un assembramento di numerosi fedeli in luoghi ristretti.

Chiesa cattolica, la risposta alla diffusione del contagio
Le messe trasmesse in diretta streaming nelle parrocchie delle “zone rosse” a causa del Coronavirus

Nelle “zone rosse” lombarde, specialmente nel lodigiano, i parroci dei paesi più colpiti dal Coronavirus fanno i conti con una situazione sempre più critica: «le uniche messe che celebriamo sono quelle della domenica, ma sempre senza fedeli, le trasmettiamo solo via radio. Abbiamo già celebrato dei funerali a porte chiuse per pochi ristretti, o con delle semplici preghiere nel cimitero del paese» dice il parroco di Codogno, primo focolaio d’Italia, don Iginio Passerini. «Quello che mi ha fatto più dispiacere è che i malati, anche gravi, non possono avere contatti con i parenti residenti nelle zone rosse. Molti pazienti muoiono senza nemmeno poter salutare i propri cari, in solitudine. Sono questi i drammi a cui stiamo cercando di reagire con la fede vissuta nel quotidiano», ha proseguito poi il prete. «Questa mattina ho celebrato un funerale, a breve ne celebrerò un altro, ho tanti fedeli che mi aspettano fuori la parrocchia e non ho il tempo di rispondere alle telefonate» ha invece fatto sapere il parroco di Casalpusterlengo don Pierluigi Leva, da giorni impegnato nel comune in provincia di Lodi.

Nelle zone ad alto rischio contagio la situazione è tesa ma comunque sotto controllo. «Le chiese non sono state mai chiuse e i momenti di preghiera non sono mai cessati. Ci sono pochi fedeli che hanno mostrato del disappunto per come si stanno svolgendo le celebrazioni eucaristiche, ma per fortuna si tratta di poche voci. Essendoci un focolaio del virus in alcune zone della regione (Pesaro e Urbino, ndr) non potevamo fare altrimenti: gli anziani sono stati invitati a restare a casa, è stata tolta l’acqua santa dagli appositi contenitori e abbiamo chiesto di mantenere gli opportuni spazi tra le persone durante le messe», ha detto a Zeta mons. Angelo Spina, arcivescovo della diocesi di Ancona-Osimo e presidente della Conferenza Episcopale delle Marche.

Chiesa cattolica, la risposta alla diffusione del contagio
L’arcivescovo di Ancona-Osimo mons. Angelo Spina

Il mondo del volontariato cattolico, invece, a Roma così come in tutta Italia non si è lasciato intimorire dalla diffusione del Coronavirus, facendo ben intendere che le attività caritative verso i più indigenti non si arresteranno. «Una particolare attenzione richiede la situazione delle persone senza fissa dimora. La precarietà delle loro condizioni di vita è aggravata in questo periodo da un ulteriore isolamento generato dalla minore circolazione di persone (diventa più difficile per loro ricevere attenzione e aiuto). Questo ci chiede di avere particolarmente a cuore la loro salute» ha fatto sapere un esponente della Comunità di Sant’Egidio che ha poi affermato che «le mense della Comunità restano aperte e le distribuzioni dei pasti proseguono, con le dovute precauzioni (uso di disinfettanti, ingressi scaglionati per mantenere le distanze di sicurezza, eventualmente pasti da portare via), ma anche è necessario provvedere chi vive per la strada di tutto ciò che può aiutare a proteggersi dal contagio. Per questo è iniziata una distribuzione, insieme al cibo, di gel igienizzanti e altri presidi utili».