Il telefono squilla e Gian Arturo Ferrari risponde con una voce cordiale. Sembra di averlo davanti attraverso il cellulare: sorridente e senza il sussiego proverbiale di molti intellettuali. Storico direttore generale di Mondadori, autore di Libro nella prestigiosa collana dei Sampietrini di Bollati Boringhieri, di cui è stato per un decennio stretto collaboratore, ha lavorato anche in Rizzoli, Einaudi, Electa, Sperling & Kupfer, Piemme.
Il romanzo di Ferrari si intitola Ragazzo Italiano e oltre a segnare il suo esordio nel mondo della narrativa segna anche, per la più importante competizione letteraria italiana, un grande ritorno: la casa editrice Feltrinelli non si vedeva tra i titoli del Premio Strega dal 2016. Ed era un’assenza affatto ingiustificata, ma in polemica con le regole del premio che infatti, negli ultimi anni, sono state in gran parte revisionate.
«I premi letterari esistono in tutto il mondo e ogni paese ha i propri, poi ce ne sono alcuni sovranazionali, il più famoso dei quali è il Nobel. L’istituzione di premiare le opere dell’ingegno di narrativa letteraria è diffusa ovunque. In molti paesi ci sono premi prevalenti, più reputati sugli altri. In Gran Bretagna, in Francia, in Spagna, negli Stati Uniti naturalmente e anche in Italia. In Italia il premio che gode di maggiore reputazione sia nel merito sia, di conseguenza, nell’immagine che il pubblico ne ha è il Premio Strega. Apprezzo soprattutto la funzione istituzionale che questo premio è riuscito a conservare nel tempo».
L’anima di Ferrari nasce però come l’anima di un saggista, e a livello professionale e a livello editoriale. «La saggistica, a parte il fatto che io insegnavo all’università quindi professionalmente mi occupavo di questo, è la mia origine editoriale. Ho lavorato per molti anni in una casa editrice di saggistica dove ho imparato il mestiere che è Boringhieri, oggi si chiama Bollati-Boringhieri ma alla mia epoca solo Boringhieri. E anche quando sono entrato in Mondadori, nel lontano 1984, ero l’editore della sezione dei saggi».
Il mondo dei premi letterari è però dominato dalla narrativa. «È vero che in altri paesi i premi maggiori, ad esempio il Pulitzer negli Stati Uniti, non è un premio legato alla narrativa esclusivamente, può essere dato a opere di narrativa come a quelle di altra natura, giornalistiche, storiche. Ma in Europa i premi letterari maggiori sono tutti dedicati alla narrativa. Lo stesso Nobel, anche se ci sono state delle eccezioni, è un premio dato alla narrativa».
«Quel che distingue la narrativa dagli altri macro-generi letterari è molto semplice: la narrativa racconta delle storie mentre gli altri libri, quelli che chiamiamo generalmente saggi, possono raccontare anche loro delle storie, anche se spesso sono rievocazioni di fatti realmente avvenuti, ma di solito comprendono l’ambito molto più ampio delle riflessioni su massimi e minimi sistemi».
Negli anni, soprattutto l’anno scorso, la dozzina dello Strega aveva suscitato polemiche sull’inadeguatezza che gli autori italiani dimostravano nel costruire una solida identità narrativa. «Sicuramente la saggistica italiana è stata di buon livello anche se occorre dire che dal dopoguerra non ha ricoperto una posizione egemonica, avuta invece dalla saggistica anglosassone e da quella francese. Di certo ha avuto una struttura robusta, ma non vuol dire che non la abbia anche la narrativa italiana».
Ragazzo italiano già nel titolo evoca invece una forte identità. Ma l’autore mette in guardia dal ricevere il suo romanzo come un’autobiografia. Il romanzo di formazione di Ninni, bambino del dopoguerra che trascorre l’infanzia nell’Emilia rurale e si innamora della Lombardia industriale quando cresce, è un documento del dopoguerra (a partire da cinque anni dopo) ma lontano dall’autore reale: «le cose che racconto sono metà vere e metà false, c’è un po’ di verità e c’è molto d’invenzione».
Alla domanda sul perché della copertina che raffigura un bambino con i capelli rossi, infatti, risponde: «Gli amici di Feltrinelli e io abbiamo cercato una copertina che da una parte desse l’idea del clima del libro, a metà strada fra il curioso e l’allarmato, e l’occhio del bambino della copertina è proprio così, dall’altra volevamo un’immagine che non mi assomigliasse assolutamente. Che fosse totalmente diversa da me perché non volevo dare l’idea, sbagliatissima, che questo libro fosse un’autobiografia. Quindi un ritratto dai capelli rossi, essendo io uno allo stato attuale privo di capelli, ma quando li avevo, erano di un normalissimo castano italiano».
«Ad aver pubblicato il mio primo romanzo io mi sento – esita un po’ nel rispondere a questa domanda “sentimentale” e si mette a ridere – mi sento bene! Era una cosa che volevo fare e che mi sentivo da dentro di voler fare. Mi ha fatto molto piacere che le persone, quelle che lo hanno letto, mi abbiano poi detto che ritrovavano nel mio libro una parte della loro storia, della loro storia diretta per quanto riguarda i miei più o meno coetanei o della storia che si erano sentiti raccontare dai loro genitori, non voglio dire dai loro nonni… Io ho dei nipoti ma sono piccolini ancora… Ma lei quanti anni ha, scusi se glielo chiedo»
«Ventiquattro».
«Ah beh ma lei è giovanissima».
«Però mi ha colpito molto il racconto del primo giorno di scuola di Ninni. Io non ho fatto gli esercizi per imparare a mettere le mani sul banco e posso solo immaginare il dopoguerra. Ma la sensazione di un’aria pesante che preme sulle spalle di un bambino alto meno di un metro e mezzo è la stessa. Mi ha trasmesso la stessa angoscia dell’inizio che poi, per fortuna, svanisce».
«È vero, secondo me ci sono dei tratti sovratemporali, il dato di ogni bambino che affronta l’inizio è talmente prevalente che sovrasta le circostanze specifiche. Però le circostanze che descrivo io nel libro erano tipiche di quegli anni lì. Il mondo che descrivo io è il mondo cinque anni dopo la fine della guerra. Il clima generale risentiva molto di questo modo di fare duro, difficile, molto poco gradevole. Noi eravamo lì, i bambini descritti nel libro erano lì, con la loro camicia nera da primo giorno di scuola addosso».
Prima di salutarci, gli ricordo che nel video di presentazione del libro sul sito de laFeltrinelli, uscito il 6 febbraio, lui citava – profeticamente – Boccaccio tra i suoi autori preferiti. «Io lo amo moltissimo, è così simpatico, davvero un autore straordinario. La nostra cultura, e secondo alcuni, la nostra identità, nasce con tre capolavori letterari strabilianti che sono la Commedia, il Decamerone e il Canzoniere di Petrarca. Noi siamo partiti raggiungendo la luna al primo balzo. E il Decamerone è meraviglioso, non so se lei ha avuto occasione di rileggerlo recentemente, ma le dico le tre novelle che preferisco: Andreuccio da Perugia, Frate Cipolla e Ser Ciappelletto».