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Esclusiva

Marzo 16 2020
L’epidemia infuria, le Borse oscillano. Quale futuro?

Nuovo crollo della Borsa americana, mercati finanziari in fibrillazione. La politica monetaria sembra non bastare

Wall Street precipita, con il Dow Jones che chiude a quota -13 per cento. Inutile la promessa della Federal Reserve statunitense di acquistare titoli per 700 miliardi di dollari. Ma non è solo la Borsa americana a cedere: anche gli altri mercati finanziari soffrono il nuovo coronavirus Sars-Cov-2. L’altalena degli indici borsistici registrata in questi giorni, tra crolli e rimbalzi schizofrenici, rivela tutta l’incertezza degli investitori rispetto alle possibili conseguenze dell’epidemia. 

Già il 12 marzo la Big Board cadeva a picco e il Dow Jones si contraeva del 9,99%; crollavano anche le Borse asiatiche, con Tokyo che perdeva il 6,8% e Shanghai l’1,4%, protagoniste della performance peggiore degli ultimi trent’anni; in rosso anche Piazza Affari, con un devastante -10%. Lo spread tra Btp decennali e corrispettivi tedeschi, ovvero i Bund, viaggiava sui 252 punti base. 

Crollo Borsa USA

La causa del crash finanziario viene individuata nella numero uno della Banca centrale europea (Bce), Christine Lagarde. Le misure di politica monetaria da lei messe sul piatto (ampliamento del programma di allentamento quantitativo di 120 miliardi per il 2020 senza alcun taglio dei tassi d’interesse, manovre per facilitare l’iniezione di liquidità dalle banche alle Pmi) sono troppo deboli e l’invito agli Stati membri a coordinarsi appare come una misura troppo incurante delle aspettative che nutrivano e nutrono ancora gli operatori finanziari. È bastato un «Noi non siamo qui per ridurre gli spread», frase infelice che è in netta contrapposizione con la dialettica finora utilizzata dal precedente inquilino dell’Eurotower di Francoforte, Mario Draghi, per far fuggire gli investitori dai titoli di Stato italiani e non solo. Mentre Lagarde parla, l’indice di Piazza Affari scende da 17mila punti a poco meno di 15mila: nemmeno l’11 settembre aveva determinato un crollo simile. Il differenziale di rendimento tra Bund/Btp schizza a 265 punti base.  

In Italia, la Consob – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – vieta subito lo “short selling” su 85 titoli azionari italiani, bloccando quindi le vendite “allo scoperto” di strumenti finanziari non posseduti e successivamente riacquistati. 

Sul fronte statunitense, l’incertezza della Federal Reserve è stata decisiva: l’idea di immettere liquidità acquistando “Pronti Contro Termine” a tre mesi per 500 miliardi viene accolta con favore dai mercati; quando poi la decisione diventa quella di portare l’ammontare a 1.500 miliardi, gli investitori capiscono che la crisi sarà più grave del previsto. 

Il 13 marzo le piazze finanziarie internazionali tornano a respirare. Wall Street risale del 9,3% e Milano vola a +7 per cento. Il rimbalzo segue il cambio di rotta impresso dalle parole di Philip Lane, capo economista della Bce, e di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia: Francoforte conterrà il differenziale di rendimento sulle obbligazioni degli Stati membri dell’Eurozona. La Commissione europea di Ursula Von der Leyen ci mette del suo, garantendo all’Italia aiuti e flessibilità sul patto di stabilità e crescita al grido di «Non siete soli». 

Crollo Borsa USA

Mentre alla Casa Bianca viene annunciata l’emergenza nazionale e lo sblocco di 50 miliardi di dollari per combattere l’epidemia, la Federal Reserve di Jerome Powell scende di nuovo in campo: drastica riduzione del tasso d’interesse di riferimento (0-0,25%) e garanzia di acquisti di titoli per un valore di circa 700 miliardi di dollari. «Siamo molto contenti. Un grande passo», ha commentato il presidente Donald Trump prima di aggiungere: «Penso che i mercati dovrebbero essere molto felici». La reazione degli investitori però è un po’ diversa: i listini americani ed europei crollano. Decisione a cui fa seguito un nuovo intervento per 500 miliardi di dollari sul mercato dei pronti contro termine da parte della Fed di New York City. Nonostante ciò Wall Street, e in particolare l’indice Dow Jones, registra un allarmante -13%, la peggiore seduta dal “Lunedì nero” del 1987. Rimbalzo fallito, timori che aumentano. E non c’è alcun muro o argine per contenere il contagio del nuovo coronavirus. 

Il mondo rallenta, gli Stati vanno in lockdown, prima Italia, poi Spagna, poi Francia e poi chissà. I governi, intanto, esitano. La perdita di fiducia da parte degli investitori è inevitabile. La Bce appare debole, incapace di contenere le conseguenze economiche del virus: Lagarde aveva proposto un ampliamento del QE di 120 miliardi scanditi nei mesi successivi, mentre il mercato si aspettava 60 miliardi subito. Già il 13 marzo la statunitense Goldman Sachs – tra le principali banche d’affari al mondo – criticava la mancanza di chiarezza di Francoforte sul quantitative easing (allentamento quantitativo, o Qe) e sulla possibilità di sbloccare interamente i fondi del T-LTRO (Targeted longer-term refinancing operation, o operazioni di rifinanziamento a lungo termine, cioè l’insieme delle operazioni volte a iniettare liquidità tramite le banche per sostenere l’economia reale). Il tasso d’interesse principale, poi, era rimasto invariato. 

Crollo Borsa USA

Adesso la banca americana non ha dubbi: «Ci aspettiamo che l’attività economica statunitense si continui a contrarre bruscamente fino alla fine di aprile poiché i timori del virus portano i consumatori e le imprese a ridurre sempre di più la spesa». La previsione per il 2020 è che il Pil scenda allo 0,4% (dall’1,2%). L’ipotesi della recessione economica non viene esclusa. Scenario probabile anche per la maggior parte degli investitori istituzionali. 

La svolta, almeno nel breve periodo, passa per la politica fiscale. Secondo Mark Hefele, di Ubs Wealth Management, una società svizzera di servizi finanziari, «il mercato ha bisogno di credere che la crisi non provochi fallimenti diffusi tra le Pmi e le imprese». Insieme alla Bce e alle banche centrali di Canada, Svizzera, Giappone e Inghilterra, la Federal Reserve sta agendo sulla politica monetaria cercando di aumentare la liquidità del dollaro. Quella fiscale, però, rimane una competenza del Congresso. Gli occhi, quindi, sono tutti puntati su Washington.