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Esclusiva

Marzo 27 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 3 2020
La lezione di Calabresi: «Osate ragazzi»

I quotidiani, la rete, la newsletter e l’incontro online con la scuola di giornalismo della Luiss

Il Coronavirus non ha impedito a Mario Calabresi di tenere online un seminario agli studenti del Master di Giornalismo Luiss. Collegati anche il Direttore dell’Università Gianni Lo Storto, la Presidente Livia De Giovanni, il direttore Gianni Riotta e i condirettori Giorgio Casadio e Alberto Flores d’Arcais. Così Calabresi ha risposto alle nostre domande:

Che consigli dai a noi ragazzi che vogliamo diventare giornalisti in questa fase difficile della professione?

«Non state dove vi mettono. Quando farete lo stage rompete le scatole, mettetevi nelle condizioni di esser notati. Io il mio tirocinio lo feci all’Ansa a Roma, redazione economica. Non sapevo nulla di economia, stavo tutto il giorno in un angolo finché un collega mi chiese se volessi stilare il bollettino del mercato del pesce in tutta Italia. Accettai di buon grado, ma quando mi portò a visitare la Sala Stampa di Palazzo Chigi capii che volevo scrivere di politica, era la mia passione. Presi coraggio e chiesi appuntamento al direttore dell’Ansa. Mi ricevette avvisandomi che però una simile richiesta non l’aveva mai fatta nessuno stagista. Io provai a insistere, c’è sempre una prima volta. In quel momento fuori dalla porta passò Mario Nanni, capo della redazione politica. Il direttore lo chiamò e in quei pochi secondi cercai di dire tutto quello che potevo per farmi dire di sì, “amo la politica, l’ho studiata a Milano”. Nanni accettò, ma me lo disse chiaro e in romanesco: “al primo errore te piji un calcio in culo e torni a fa’ il mercato del pesce.” Fu un’esperienza straordinaria. Abbiate poi la cura di avere il passaporto sempre valido, proprio per questo io partii con altri quattro colleghi per seguire l’attentato alle Torri Gemelle nel settembre 2001. I due inviati prima di me avevano i documenti scaduti, allora feci una battuta: “i miei ce li ho e sono in ordine”. Partii inviato da Marcello Sorgi e Gianni stesso. Anche il modo in cui vi presentate è importante, quando ero direttore de La Stampa dopo due o tre giorni andai in riunione senza cravatta. Un ex condirettore, Luigi La Spina, venne nel mio ufficio e mi disse che non potevo farne a meno per il mio ruolo. Da quel giorno l’ho indossata sempre, persino il sabato. È anche questo che intendo quando vi dico mettetevi nelle condizioni di osare.»

La tua newsletter è l’esempio di come osi tu oggi?

«Sì, di come mi sono messo in gioco. Credo che la rete sia un mezzo, bisogna saperla utilizzare con il coraggio di entrarci e riempirla di cose positive. Per questo a settembre ho aperto una pagina Facebook anche se molti mi dicevano che sarei stato ricoperto di insulti. Allora ho deciso di provare, però con una regola: tenere un linguaggio corretto e parlare alla parte migliore delle persone. Poi ho creato Altre Storie, una newsletter cui è possibile iscriversi tramite il sito mariocalabresi.com. Era prevista una volta a settimana ma l’appuntamento è già raddoppiato, ora esce il mercoledì e il venerdì. A questo affianco dei podcast che però lancerò in un altro momento e da domenica 22 marzo faccio delle dirette su Facebook, alle 16:30, utilizzando una piattaforma che si chiama Streamyard. La risposta delle persone è stata più che positiva, mi seguono circa in 85 mila, alcuni post hanno avuto più di 20 mila commenti e oltre mezzo milione di condivisioni, eppure non ho mai trovato neanche una persona che abbia pronunciato un insulto o una parolaccia. Come quella volta in cui ho pubblicato la foto di un murale di Mussolini visto per caso a Montà d’Alba, il paese di mia nonna situato tra il Monferrato e le Langhe, mentre facevo una passeggiata. Risaliva alla fine degli anni 30, un’idea del sindaco in vista della visita di Mussolini che però non avvenne mai. Dopo la guerra lo coprirono con la calce, ma negli anni ha iniziato a riaffiorare e il consiglio comunale ha scelto di lasciarlo lì. Sulla mia pagina avevo chiesto alle persone cosa avrebbero fatto loro, ne è nato un dibattito bellissimo e ho ricevuto 1200 commenti nelle prime 4 ore. Nessuna volgarità, solo un confronto proficuo. Per me è il segno di come andare negli spazi digitali senza timore, usando lo strumento con consapevolezza.»

Da parte tua però c’era il nome e un pubblico ampio, noi giovani come possiamo ritagliarci spazio?

«Certo aver fatto delle cose per 25 anni lascia un segno, che può essere negativo o positivo. Nel mio caso il rapporto costruito con i lettori era buono, chi ancora non ha intrapreso questo percorso invece deve trovare una nicchia, un settore in cui è più bravo degli altri. Per esempio delle ragazze di Seattle hanno aperto una newsletter quotidiana che è un racconto della vita culturale e sociale della città, giovani giornaliste che hanno riempito un bisogno e trovato molte persone disposte a versare soldi per questo servizio. Bisogna sempre chiedersi cosa ci piace ma coniugarlo con il bisogno dei lettori, immaginare le loro necessità e mancanze. Un’altra esperienza è quella di Voice of San Diego, che ha creato un sito incentrato sulle scuole e gli ospedali. Ci lavorano 20 ragazzi che hanno saputo interpretare cosa mancava alla comunità.»

Qual è il giornalismo in cui credi ancora?

«Quello non urlato e consapevole che la carta sia solo una delle piattaforme su cui distribuire le notizie. La tecnologia offre anche ai giovani mondi nuovi, il segreto è essere flessibili, imparare l’importanza dei dati, raccontare con i video, le grafiche e i podcast, non solo saper scrivere bene. Una forma di giornalismo che mi piace è il long form, anche se non penso che possa essere vincente in un quotidiano per via dei lunghi tempi di scrittura e lettura. Infine, un giornalista per essere credibile non deve usare i social in maniera spregiudicata per insultare o irridere, sarebbe l’imbarbarimento della nostra professione.»