Il mondo intorno a noi sta cambiando, da qualche giorno a questa parte lo ha già fatto. Molte delle attività che consideravamo scontate, naturali, di fatto non lo sono più. Sono in pausa. Le lunghe cene con gli amici, i concerti, gli aperitivi. Ce ne rimangono però altre, e non meno degne. Ci sono i film, che in tempi come questi offrono oltre che sollievo, anche una possibilità di evasione. Ci si immerge, scena dopo scena, e pian piano possiamo perderci in boschi, praterie, piazze e città esotiche dove non siamo mai stati prima. Una volta ancora, in soccorso nei momenti di difficoltà viene la cultura. #pellicoledaquarantena
«Chiamare il passato e il futuro in aiuto del presente, questo era il senso degli esperimenti. Ma la mente umana si arenava». Parigi, anno ignoto. I sopravvissuti a un olocausto nucleare vivono ormai da tempo nei cunicoli sotterranei della capitale in rovina. Il mondo di superficie è reso inabitabile dalle radiazioni, il futuro ormai appiattito su un presente sempre uguale di stenti e miseria.
È questo il contesto narrativo all’interno del quale si muove La Jeteé, cortometraggio in bianco e nero del regista francese Chris Marker. Sebbene poco conosciuto, la pellicola è un cult per gli amanti della fantascienza d’autore, tanto importante da aver ispirato, trent’anni dopo, alcune componenti di trama de L’esercito delle dodici scimmie, film di Terry Gilliam uscito nel 1995 il cui protagonista è interpretato da Bruce Willis.
La tecnica di regia è una delle caratteristiche che rende La Jeteé così riconoscibile. Più che una sequenza di scene, il film è composto da una serie di fotografie tenute insieme da una voce narrante fuori campo, elemento unificante della storia. Il mondo raccontato dalle immagini di Marker è cupo, a tratti lunare. Scene postatomiche si alternano a ricordi impressionati dai sali d’argento, frammenti di un sogno passato si mescolano con la disperazione di presente senza vie di fuga. Per via di questa scelta stilistica, nei titoli di testa l’opera viene definita photoroman, un foto romanzo.
Il viaggio nel tempo è l’unico modo per scappare da questo mondo monocromatico e consumato. Il protagonista, un prigioniero senza nome catturato dopo la fine della guerra nucleare, è sottoposto a dolorosi esperimenti che, attraverso una continua somministrazione di droghe, dovrebbero proiettarlo in un’altra epoca. Grazie alla sua capacità immaginativa e alla vivezza dei suoi ricordi, è stato scelto per partire alla ricerca di un domani migliore.
Al decimo giorno del brutale trattamento infertogli cominciano le visioni. Le sue memorie di bambino emergono dal baratro in cui è sprofondata la sua vita precedente: una donna, un uomo che cade esangue, il pontile dell’aeroporto di Orly (Jeteé in francese vuol dire pontile) elemento centrale di tutto l’intreccio narrativo.
E così, comincia il labirintico viaggio del protagonista nelle teorie temporali e nella coscienza umana. Viaggio che lo porterà alla deriva verso un ricorsivo e ineluttabile epilogo.