Filippo Tortu è un talento, ma anche stavolta la sfortuna gli ha negato l’esordio olimpico. Nato a Milano ventidue anni fa, il velocista ha tre conti in sospeso con i Giochi. Nel 2014 si fratturò le braccia partecipando all’edizione juniores, due anni dopo non arrivò a Rio per 3 centesimi. A sottrargli Tokyo ci ha pensato il Coronavirus, vanificando il pass che si era guadagnato. Un obiettivo posticipato al prossimo anno, che la promessa delle Fiamme Gialle ha voglia di rincorrere con tutte le forze: «Resto positivo, mi sento in gran forma». La vita in quarantena di un velocista, Top Athlete dell’Università Luiss di Roma.
Come hai reagito al rinvio delle Olimpiadi?
«È la scelta più corretta, la sicurezza viene prima di tutto. Prendo l’aspetto positivo, vuol dire che avrò un anno a disposizione per prepararmi. Anche mio padre (suo allenatore, ndr) la pensa così. Sto trascorrendo molto tempo con lui, mia madre e mio fratello. Un aspetto della quarantena che mi piace e a cui non ero abituato. Tra gare e raduni, trascorrevo molte settimane fuori casa. Anche se non posso uscire, non ho smesso di allenarmi. Sfrutto il giardino e ho organizzato una piccola palestra in garage. Mi sento in forma».
Che margini di miglioramento pensi di avere sui 100 metri? Curerai anche altre distanze?
«In questo momento sono molto concentrato sui 100 metri, dove sento di poter migliorare tanto. Ho fatto passi avanti sia nella partenza che negli ultimi venti metri e sono in una condizione migliore rispetto allo scorso anno. Sono carico, penso di poter battere il mio record di 9’’99. Il muro dei 10 secondi fa meno paura».
Ci sono delle gare che correresti di nuovo?
«Potessi scegliere, correrei la finale degli ultimi Europei di Berlino, perché il quinto posto mi ha deluso. Allo stesso tempo vorrei trovarmi di nuovo ai blocchi di partenza della finale mondiale dello scorso anno a Doha. Vorrei rivivere quella sensazione incredibile».
Come gestisci la pressione mediatica e il paragone con Mennea?
«È un onore essere accostato a Pietro Mennea, uno dei più grandi sportivi del nostro Paese, che ha fatto la storia dell’atletica mondiale. Ma cerco di non pensarci. Io sono Filippo, ho i miei obiettivi, le mie ambizioni, i miei sogni. Non mi fermo a quanto ho già vinto ma guardo al futuro».
C’è un personaggio dell’atletica a cui sei più legato?
«Livio Berruti è lo sportivo a cui sento di assomigliare di più, per tecnica e carattere. Ho avuto la fortuna di conoscerlo. Intendiamo lo sport allo stesso modo, come una gioia, un divertimento. Le competizioni non vanno intraprese con atteggiamento maniacale. Bisogna lavorare duramente, ma una gara deve essere la manifestazione della propria passione».
E come sportivi in generale?
«Mi è sempre piaciuto Michael Phelps, tutte quelle medaglie olimpiche nel nuoto sono straordinarie. Ma il campione che più mi ha ispirato è stato Michael Jordan. Al di là della classe mi colpiva per un particolare: andava in campo per segnare il punto decisivo con tranquillità. Aveva provato talmente tante volte quei gesti in allenamento da essere certo del risultato. È il principio della corsa, perché devi essere sicuro e rilassato per vincere. Se ti sei allenato e hai la coscienza a posto, raccoglierai i frutti del lavoro. Lo diceva anche Carl Lewis…».
Hai un rito scaramantico o un oggetto portafortuna?
«Ne avevo tantissimi, ma li ho eliminati tutti per non rimanere schiavo. Ad esempio, non riuscire a fare un esatto numero di passi prima della gara può scoraggiarti e compromettere la prestazione. Quando sei in pista contano solo le tue gambe».
Studi economia e management alla Luiss. Pensi a un futuro da imprenditore?
«Non so cosa farò dopo l’atletica, ma voglio farmi trovare pronto. Una laurea ti dà consapevolezza e la possibilità di intraprendere molte strade. Credo che la carriera universitaria debba andare di pari passo con quella sportiva».