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Esclusiva

Aprile 30 2020
La crisi alimentare mondiale, tra fame e Covid

I dati rivelano che nel 2020 l’entità dell’emergenza alimentare nel mondo potrebbe raddoppiare. Se lo scenario non migliorerà 300mila persone rischiano di morire di fame ogni giorno per tre mesi

La pandemia di Covid-19 potrebbe quasi raddoppiare il numero di persone che soffrono di fame acuta nel mondo. Dai 135 milioni dello scorso anno ai 265 previsti per la fine del 2020.

Altri 130 milioni in più di esseri umani si troveranno ad affrontare insicurezze alimentari acute e mortalità in eccesso rispetto alla media.

L’allarme proviene dal Rapporto globale sulle crisi alimentari (GRFC 2020), realizzato da un network mondiale umanitario composto da 16 partner, tra cui la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), il WFP (World Food Programme) e l’UNICEF (Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia).

«Il numero di persone che combattono la fame acuta e soffrono di malnutrizione è di nuovo in aumento» spiega António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, «e lo sconvolgimento messo in moto dalla pandemia di Covid-19 può far cadere più famiglie e comunità in un disagio ancor più profondo. Questo rapporto dovrebbe esser visto come un invito all’azione».

Già nel 2019 la situazione non è stata promettente: 75 milioni di bambini (nei 55 paesi in crisi alimentare coperti dal rapporto) hanno sofferto di un ritardo nella crescita e 17 milioni di emaciazione, ossia magrezza accentuata. Dieci paesi hanno vissuto le peggiori crisi alimentari, molti dei quali nel continente africano, il più povero di tutti.

La crisi alimentare mondiale, tra fame e Covid
La crisi alimentare mondiale, tra fame e Covid

Oggi i dati rivelano un peggioramento ulteriore. Mettendo a confronto i paesi presenti nelle relazioni del 2019 e del 2020, infatti, la popolazione in crisi è passata da 112 a 123 milioni. «Ciò ha riflettuto il peggioramento dell’insicurezza alimentare acuta nelle principali crisi guidate dai conflitti, in particolare la Repubblica democratica del Congo e il Sud Sudan, oltre alla crescente gravità della siccità e degli shock economici in Paesi come lo Zimbabwe e Haiti» si legge nel report.

Nei Paesi dell’Africa occidentale colpiti dai conflitti – Niger, Nigeria, Ciad – il cambiamento climatico, le recessioni economiche e la violenza crescente creano un clima sfavorevole, aggravando le previsioni sulle crisi alimentari. In Nigeria, nel 2019, il 67.9% dei bimbi sotto ai 5 anni e il 57.8% delle donne tra i 15 e i 49 anni era anemico. In Sud Sudan, sempre nel 2019, su una popolazione totale di 11,4 milioni, 7 sono stati categorizzati “IPC fase 3 o peggiore”, che corrisponde alla seguente analisi: «Le famiglie presentano lacune nel consumo alimentare che si riflettono in malnutrizione acuta molto elevata e mortalità in eccesso».

Previsioni regionali nel continente africano (fonte: GRFC 2020)

  • Est Africa: le abbondanti piogge stagionali a partire dalla metà del 2019 hanno giovato alle colture e ai pascoli, ma hanno anche causato alluvioni dannose e favorito un grave scoppio di locuste del deserto, che probabilmente aggraverà l’insicurezza alimentare nel 2020;
  • Africa centrale: i conflitti e le instabilità prolungate, insieme ai danni subiti dalle inondazioni del 2019, in molte aree manterranno o aumenteranno i livelli acuti di insicurezza alimentare;
  • Africa meridionale: è probabile che i miglioramenti legati ai raccolti agricoli siano brevi poiché le piogge scarse, i prezzi elevati degli alimenti e l’instabilità politica ed economica irrisolte potrebbero peggiorare l’insicurezza alimentare.

«Il Covid-19 è potenzialmente catastrofico per milioni di persone la cui vita è già appesa a un filo» ha detto Arif Husain, capo economista WFP. «È un colpo micidiale per altri milioni di persone che possono mangiare solo se hanno un’entrata. I blocchi e la recessione economica globale hanno già decimato i loro risparmi. Basta solo un altro shock – come il Covid-19 – per spingerli nel baratro. Dobbiamo agire collettivamente ora per mitigare l’impatto di questa catastrofe globale».

I fattori chiave della crisi alimentare

L’invasione delle locuste già in atto da diversi mesi (e che ha devastato i raccolti di più di 15 paesi tra Africa orientale, Medio Oriente e Asia), gli shock economici, i conflitti e le instabilità, le condizioni meteorologiche estreme e il Covid-19, che sta avendo un impatto senza precedenti in tutto il mondo, sia in termini socioeconomici che di salute (all’11 di aprile erano stati registrati 1,6 milioni di casi e 100mila decessi a livello globale), sono le cause legate all’emergenza alimentare prevista dagli esperti nel 2020.

Questi fattori trainanti della crisi, sommati alla mancanza di accesso all’energia, all’acqua pulita, ai servizi igienico-sanitari e all’assistenza medica, continueranno a creare alti livelli di malnutrizione infantile, mentre il Covid-19 sovraccaricherà i sistemi sanitari. «La pandemia può devastare i mezzi di sussistenza e l’approvvigionamento alimentare, specialmente in contesti fragili e per le persone più vulnerabili che lavorano nei settori informali agricoli e non» si legge nel report.

I diversi tipi di impatto del Covid-19

Sui 55 paesi analizzati nello studio – tra cui i territori del Sudamerica, dell’Africa e del Medio Oriente –  l’impatto del Coronavirus potrà essere peggiore che in altre regioni del mondo, dal momento che questi hanno una capacità molto limitata di far fronte all’emergenza sanitaria o socioeconomica. Potrebbero anche trovarsi a dover scegliere tra il salvare delle vite o dei mezzi di sussistenza, oppure, nel peggiore dei casi, riuscire a salvare i malati di Covid per poi farli morire di fame. Affinché tutto questo non accada occorre, innanzitutto, tenere a mente i possibili scenari che potrebbero verificarsi.

  • L’impatto su salute e nutrizione: le popolazioni in crisi alimentare presentano spesso condizioni di salute di base più scarse (carenze, malnutrizioni) che indeboliscono il sistema immunitario e aumentano il rischio di contrarre il virus;
  • L’impatto sulla disponibilità di cibo: le restrizioni agli spostamenti necessarie a contenere la diffusione del virus interromperanno il trasporto e la lavorazione di alimenti, aumentando i tempi di consegna e riducendo la disponibilità anche dei beni più elementari;
  • L’impatto sull’accesso ai beni alimentari: l’aumento della disoccupazione ridurrà il potere d’acquisto delle persone. Molti rischieranno di perdere le proprie fonti di reddito a causa delle normative sul distanziamento sociale. Le simulazioni sviluppate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) indicano che la crescita del PIL del 2,9%, prevista per il 2020 lo scorso novembre, potrebbe ridursi all’1,5% se la malattia si diffondesse ampiamente in Asia, Europa e Nord America. In tal caso, queste potenze non riuscirebbero a garantire lo stesso sostegno che c’è oggi ai paesi più vulnerabili;
  • L’impatto sui conflitti e sulle tensioni sociali: nei campi profughi la scarsità di cibo e beni può aumentare la tensione tra rifugiati e comunità ospitanti. Inoltre, la percezione che il virus sia portato da cittadini stranieri può intensificare le discriminazioni e l’esclusione sociale, in particolare nelle aree che ospitano popolazioni sfollate;
  • L’impatto sull’assistenza umanitaria: le risorse potranno essere investite per supportare gli sforzi contro il Covid-19, incidendo così sui budget per l’assistenza. È probabile che le restrizioni alla circolazione incidano sulla mobilità del personale sanitario e delle forniture, compresa la capacità di svolgere attività sul campo.

Mobilitarsi per l’impatto del Covid-19 nei paesi in crisi alimentare

Dunque cosa stanno facendo i network umanitari per affrontare questa situazione? Tra gli obiettivi del prossimo futuro c’è innanzitutto l’espansione dei sistemi di monitoraggio della crisi alimentare “remota”, il più possibile in tempo reale, per fornire informazioni aggiornate riguardo l’impatto dell’epidemia sulla sicurezza alimentare, i mezzi di sussistenza, le condizioni di salute e l’accesso ai servizi. Inoltre si cercherà di preservare, per quanto possibile, l’alimentazione destinata agli aiuti umanitari, di adattarla ai possibili impatti del Covid-19 e di collocarla nei paesi che sono più in difficoltà. Infine si cercherà di proteggere i corridoi commerciali, affinché restino aperti per garantire il funzionamento continuo della catena di approvvigionamento alimentare.

Ad oggi il WFP fornisce aiuti vitali a quasi 100 milioni di persone, solo pochi anni fa erano circa 80. Durante la presentazione del Rapporto globale sulla crisi alimentare il Direttore esecutivo del WFP David Beasley ha affermato: «Se non riusciamo a raggiungere queste persone con l’assistenza salvavita di cui hanno bisogno, la nostra analisi mostra che 300mila persone potrebbero morire di fame ogni giorno per un periodo di tre mesi, e questo non include le complicazioni legate alla pandemia. Il WFP è la spina dorsale della logistica per gli aiuti umanitari e lo è ancora di più ora. Dobbiamo fare da apripista».