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Esclusiva

Maggio 6 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 31 2021
Bocciato con riserva. Il quantitative easing e la Germania in Europa

La sentenza della Corte di Karlsruhe dà il via libera al Qe ma pone paletti giuridici e politici che peseranno nel prossimo futuro. Le reazioni della stampa europea e il punto di Ferdinando Giugliano e Maurizio Ricci

L’Italia aveva appena tirato il fiato dopo l’accordo nell’Unione europea sugli aiuti contro la crisi pandemica ed ecco una nuova tegola sulla testa del governo. Questa volta da parte della Corte costituzionale tedesca, che in nome della sovranità nazionale pone limiti al programma di acquisti di obbligazioni della Banca centrale europea, fondamentale per i paesi con il debito pubblico più alto. Proprio come l’Italia, che nelle prossime settimane dovrà collocare decine di miliardi di titoli di Stato a medio e lungo termine.

Con la sentenza pronunciata martedì gli otto giudici di Karlsruhe, dove ha sede la Corte, affermano che il funzionamento del quantitative easing deve essere chiarito meglio: va dimostrato che l’acquisto di titoli sia «proporzionato» e che la Bce detenga al massimo un terzo del debito sul mercato di ciascun paese. Ora la Banca e le istituzioni europee hanno tre mesi per preparare una risposta, ma la mossa dell’Alta corte rischia di rimettere in discussione l’intero sistema anticrisi dell’Unione e di diventare problematica soprattutto per Italia, Spagna e Francia.

L’ordigno legale è stato innescato dalla Corte costituzionale tedesca con la sentenza sul Public Sector Purchase Programme (PSPP), il piano di titoli pubblici avviato nel 2015 dalla Bce di Mario Draghi. Raggiunta da numerosi ricorsi contro l’Eurotower, tre anni fa la Corte di Karlsruhe aveva chiesto un parere alla Corte di giustizia europea. La sentenza di Lussemburgo, arrivata nel 2018, aveva dato ragione alla Bce: i suoi acquisti di titoli di Stato sono legali. Martedì i giudici tedeschi hanno però ribaltato il tavolo, sostenendo che gli interventi della Banca presieduta da Christine Lagarde non rispettano i criteri richiesti. E lo hanno fatto liquidando come «incomprensibile» la pronuncia della Corte europea, che pure è sovraordinata rispetto a quelle nazionali.

I giudici tedeschi hanno dato un ultimatum di tre mesi dopo i quali la Bundesbank (la Banca centrale tedesca) dovrebbe ritirarsi dai programmi di interventi della Bce, se non verranno rispettate alcune condizioni. La principale è fornire una spiegazione convincente delle ragioni che inducono la Banca europea a deviare dal principio di proporzionalità quando acquista titoli sovrani: ad esempio, perché gli acquisti di carta italiana superano il 30% nel programma di interventi se l’Italia pesa solo per il 16% nel capitale della Bce?

I giudici di Karlsruhe hanno poi sollevato un problema politico. La scelta di mettere in comune il rischio finanziario tra paesi europei deve essere compiuta con trasparenza tramite procedure democratiche. Ma nei fatti, sostiene la Corte tedesca, i giudici europei hanno permesso un’espansione impropria dei poteri della Bce in un campo tutto politico. La Corte di giustizia europea – si legge nella pronuncia – «permette alla Bce di espandere le proprie competenze, ma per sostenere le basi legali dell’Unione europea è imperativo che la divisione delle competenze sia rispettata».

La sentenza di Karlsruhe mantiene la cornice da cui dipende la stabilità finanziaria in Italia e nell’area euro. I giudici non hanno accolto i ricorsi contro gli interventi della Bce e non obbligano la Bundesbank a interrompere la propria partecipazione. Ma la pronuncia di martedì non è certo un via libera incondizionato: al contrario – nota Maurizio Ricci, già inviato di Repubblica ora a Tiscali News – è un fattore che aggiunge nuove incognite all’attuazione del Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), il programma di acquisti di titoli di Stato da 750 miliardi di euro legato all’emergenza coronavirus. I dubbi sollevati sul PSPP aumentano l’incertezza sul futuro del PEPP.

Bocciato con riserva. Il quantitative easing e la Germania in Europa
Il palazzo dell’Eurotower, a Francoforte, sede della Banca centrale europea

Ora gli effetti più immediati sono di tipo economico. I mercati finanziari si chiedono se ci sia ancora l’ombrello della Bce a garantire i titoli di Stato e bisogna vedere se le agenzie di rating decideranno di cavalcare la sfiducia. «La decisione dei giudici tedeschi è una bomba – spiega Ricci a Zeta – La Corte ha riscritto sia i trattati europei che i manuali di economia. Fin dai tempi di Draghi la Banca centrale tiene l’inflazione al 2% e impedisce che i tassi d’interesse siano diversi nei vari paesi dell’euro». Ora i giudici di Karlsruhe obiettano che la Bce deve bilanciare questo compito con la remunerazione dei risparmiatori. «Ma per farlo riscrivono i manuali: è difficile sventare l’inflazione e rianimare l’inflazione senza agire sui tassi d’interesse».

Martedì sera un portavoce dell’Eurotower ha fatto sapere che l’istituto con sede a Francoforte «si esprimerà a tempo debito». È quindi probabile che entro tre mesi Bce e Bundesbank pubblicheranno spiegazioni in grado di superare le osservazioni dell’Alta corte. Ma il messaggio che arriva da Karlsruhe è chiaro: potrebbe non essere vero che «non vi sono limiti» all’impegno della Banca centrale europea per difendere l’euro, come invece ripete da settimane la presidente Lagarde.

Secondo Ferdinando Giugliano, già editorialista del Financial Times e ora firma di Bloomberg, la Corte tedesca ha emesso un verdetto pericoloso per l’Eurotower: «La Bce non avrebbe difficoltà a ottemperare alle richieste dei giudici, ma la sentenza pone varie questioni sull’indipendenza della Banca centrale e sul rapporto tra diritto interno e diritto europeo». Anche se vi sono decine di documenti con cui il Consiglio direttivo può argomentare la sua posizione – spiega Giugliano a Zeta – «rispondere alla Corte finirebbe per avallarne le convinzioni: l’idea che il parlamento e il governo tedesco, ma anche i giudici costituzionali, possono sottoporre la Bce a un forte controllo dato che la Corte europea non lo fa a sufficienza». Con il rischio di un effetto a catena se altri Stati dell’area euro si sentissero liberi di fare lo stesso.

Lo scontro esploso martedì rimette tutto in gioco: la capacità della Banca centrale europea di agire come quelle delle altre potenze, il potere delle istituzioni comuni di prevalere su quelle dello Stato più forte, ma anche la tenuta del sistema alla prova di una pandemia e di una recessione alle porte. «Dall’esito di questo conflitto – ha scritto Federico Fubini sul Corriere della Sera – si capirà se nell’area euro il potere ultimo è in mano alle istituzioni europee o a quelle tedesche e se sul futuro dell’Europa si stenderà un’ombra più o meno lunga».

Sulla stessa linea la grande stampa internazionale, con il Financial Times che parla di «una bomba sotto l’ordinamento legale dell’Ue», facendo notare come i giudici tedeschi si pongano al di sopra di quelli europei «con toni chiaramente sprezzanti». Ma le critiche riguardano anche il giudizio di merito sulle scelte della Bce, che secondo Karlsruhe danneggerebbero risparmiatori, detentori di polizze assicurative e aziende virtuose. D’altra parte, il quotidiano della City rileva che la Corte ha dichiarato legale il Qe, che «non costituisce finanziamento monetario degli Stati». I ricorsi anti-Bce sono quindi stati bocciati nella loro parte più eversiva.

Più articolato il quadro che emerge dai giornali tedeschi, che si dividono sul merito della sentenza: da una parte quelli più conservatori, secondo cui la decisione dei giudici sarebbe una riaffermazione dei principi democratici, e dall’altra quelli più progressisti, preoccupati per la rottura delle regole comuni e del principio di solidarietà europeo. Per la Faz «questa non è la fine dell’Ue, ma si spera la fine della sua forma lontana e autocratica»; una linea condivisa dalla Bild, che nella pronuncia vede una richiesta di maggior controllo democratico su Francoforte. Più preoccupati i toni dello Spiegel e della Süddeutsche Zeitung, che parlano di un verdetto «politico» che rende «più complicata la politica europea in materia di crisi»: soprattutto per il divieto alla Bce di rilevare più del 33% del debito di ciascun paese.