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Esclusiva

Maggio 6 2020
Parola d’ordine: Riconvertire

L’emergenza coronavirus spinge molte piccole e medie imprese a riconvertire i propri cicli produttivi, gli sforzi e l’impegno di molte realtà locali danno vita a scenari inediti

Le sarte di Scervino che lavorano senza sosta, cucendo mascherine anziché i consueti abiti da passerella, Prada che nello stabilimento di Perugia decide di iniziare a cucire 110mila mascherine chirurgiche e 80mila camici al giorno, gruppi come Davines che smettono di fabbricare shampoo per concentrarsi invece sulla produzione di gel igienizzante. I produttori del tessile, della cosmesi, del packaging: tutte aziende che hanno deciso di riconvertire le loro linee produttive per affrontare l’emergenza imposta dal coronavirus.

Emergenza che chiama all’appello anche il settore della tecnologia, e a rispondere per prime sono le aziende automobilistiche: come gli ingegneri di Ferrari e dell’intero gruppo Fca impegnati in joint-venture al fianco della Siare Engineering, una delle poche aziende italiane specializzate nella produzione di respiratori. Negli Stati Uniti le prime a muoversi sono state Ford, General Motors e Tesla, mentre in Germania Volkswagen e Bmw stanno cercando di velocizzare la produzione di macchine per la respirazione assistita grazie all’utilizzo delle loro stampanti 3D, così come ha fatto Seat in Spagna. Nel Regno Unito sono Land Rover e Jaguar a lavorare a sostegno di ospedali e medici per fornire macchinari e utili nella lotta alla pandemia.

In Brasile è lo storico marchio Havaianas, famoso in tuto il mondo per le sue celebri infradito, ad accettare la sfida riconversione, istituendo una “Goodwill Partnership” per creare una rete di volontari e partner che vogliano dare il proprio contributo nella lotta contro il coronavirus. La società produrrà 250 mila mascherine N95 da devolvere al personale sanitario degli ospedali brasiliani assieme a 18.000 calzature tecniche da donare a medici e infermieri impegnati in prima linea negli ospedali di São Paulo.

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Stabilimento Havaianas, Campina Grande, Estado do Paraìba, Brasile

In un’epoca in cui i confini sono tornati a delimitare spazi e luoghi, imponendo barriere e distanze di sicurezza, la capacità di adattamento di molti produttori e la loro resilienza non sembrano per ora conoscere limiti. La fase 2 non sarà davvero a regime fino a che non saremo in grado di disporre di dpi, dispositivi di protezione individuale a cui avere accesso senza rincari e soprattutto senza carenze, dato il grande uso che ne faremo nei mesi a seguire. Dispositivi che devono essere presenti e diffusi in gran quantità, senza dover contare per forza sulla loro importazione da Paesi a loro volta più o meno amici. Il che vuol dire aumentare esponenzialmente la nostra capacità produttiva, e la parola d’ordine in questo senso è una: riconversione.

Non ci sono solo i grandi marchi, anche a livello locale un fitto tessuto di piccole e medie imprese hanno iniziato a dare il loro contributo. A Isernia, in Molise un’azienda, la Modaimpresa, che rischiava di dover chiudere i battenti, ha evitato la cassa integrazione ai propri lavoratori riconvertendo i propri impianti, ora producono 10mila mascherine al giorno. Ad occuparsi dell’intera produzione 75 sarte, tra dipendenti e indotto locale, utilizzando cotone lavabile con un filtro interno estraibile e riutilizzabile a seguito di disinfezione con alcool o altro disinfettante.

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Marco Bertorello /AFP via Getty Images

In Lombardia, la SIC Srl, piccola impresa di Lecco, ha convertito la propria produzione cosmetica in produzione di gel igienizzante, arrivando a produrre fino a 100mila pezzi alla settimana. La società ha provveduto a rifornire a titolo gratuito di suoi prodotti i presidi sanitari della Croce Rossa locale e alle forze dell’ordine, oltre a varie case di riposo del territorio.

Si muove anche il mondo dell’università. Il rettore del Politecnico di Bari, Francesco Cupertino, sta coordinando un gruppo di lavoro formato da docenti, ricercatori e da un gruppo di aziende della regione disposte a riconvertire la loro produzione. L’ambito dell’operazione prende il nome di Riapro (Riconversione aziendale per la produzione di dpi). Parliamo dello sforzo congiunto di circa 160 piccole e medie imprese con l’obiettivo comune di arrivare a una produzione complessiva giornaliera di circa 300 mila mascherine. Sempre in regione, Apulia stretch, azienda del barese che di solito produce tessuti per la copertura di materassi, ha sviluppato un prototipo di tessuto idrorepellente all’esterno e idrofobico all’interno, che verrà distribuito alle sartorie per ricavarne mascherine.

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SIC Srl di Lecco, Lombardia, Italia

Anche i lavoratori degli istituti carcerari si muovono per fare la loro parte. I detenuti di Monza nei loro laboratori si occupavano di borse di alta moda e ora dedicano il loro lavoro alle protezioni anti-contagio. Il progetto è coordinato dalla cooperativa Alice che gestisce anche gli analoghi laboratori di San Vittore, Opera, Bollate e Monza. L’impegno è quello di produrre ben 10mila mascherine igieniche a settimana, che verranno usate nei vari istituti penitenziari del Paese.

Uno dei produttori a fare da precursore era stata Grafica Veneta, azienda in provincia di Padova che ogni anno stampa più di 300 milioni di libri per moltissime case editrici, coprendo il 75% del mercato italiano. L’azienda  tipografica è arrivata a produrre un milione e mezzo di mascherine al giorno. Va ricordato agli entusiasmi iniziali sono seguite varie polemiche sul reale funzionamento di tali mascherine, e che nonostante i vertici dell’azienda afferimino di aver ricevuto certificazioni da laboratori di analisi specializzati, quelle prodotte non sono state in grado di essere definite a tutti gli effetti dei dispositivi di protezione individuale.

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Il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia e l’imprenditore Fabio Franceschi indossano le mascherine donate dall’azienda durante la conferenza della Protezione Civile regionale

Dopo Grafica Veneta, altre tre aziende del Padovano specializzate nella produzione di valigie: Idea Plast, Valigeria Roncato e MecaDue hanno convertito i loro impianti per realizzare mascherine in materiale plastico, durevole, e riutilizzabili più volte, cambiandone il filtro. Se infatti molti si interrogano su come produrre quante più mascherine possibile è bene iniziare a ragionare anche sul loro impatto ambientale, che nel caso delle mono-uso è enorme. In questo senso anche La Sportiva, azienda trentina di abbigliamento tecnico ha deciso di cogliere la sfida e produrre una mascherina in tessuto sintetico con filtro interno facilmente sostituibile. Nel vicentino da segnalare anche gli sforzi congiunti di Inglesina Baby, azienda di prodotti per l’infanzia e Creazioni Mario, atelier specializzato nel tessile che hanno unito le loro catene per arrivare a far fronte ad una produzione di 3mila mascherine al giorno da distribuire nella provincia di Vicenza.

Anche in Friuli il Calzaturificio Norton, nell’udinese, ha iniziato in questi giorni a produrre protezioni lavabili in tessuto da immettere sul mercato, soluzione adottata anche da molte altre realtà regionali. È l’obiettivo di Safe in Italy, nuovo progetto approvato da IP4FVG, hub per l’innovazione digitale della regione Friuli Venezia Giulia, che mette in rete 26 partner, tra enti pubblici, privati e parchi scientifici. Realizzata in collaborazione con l’assessorato regionale al Lavoro, l’iniziativa vuole promuovere e indirizzare le imprese regionali che intendono riconvertire la loro produzione e si trovano di fronte a diverse difficoltà.

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Gel Distilleria Grappa Nardini, Bassano del Grappa, Veneto, Italia

Tra le iniziative da parte delle istituzioni va segnalata quella presa dalla Regione Sicilia. Una norma varata dall’Assemblea Regionale Siciliana, in data 30 aprile 2020 istituisce un fondo di 40 milioni di euro per le aziende che si sono riconvertite alla produzione di dpi: mascherine, igienizzanti, apparecchiature elettromedicali e materiale sanitario. Se gli sforzi delle amministrazioni locali sono lodevoli, forse andrebbero ampliate le maglie di selezione per tutte quelle aziende che si propongono come interlocutori diretti nei confronti del governo centrale. Ad ora a fronte delle più di 700 domande presentate, sono solo 123 le imprese ammesse agli incentivi del decreto Cura Italia, la misura che a fronte di una dotazione di 50 milioni di euro favorisce la produzione di mascherine e di altri dispositivi di protezione individuale incentivando anche la riconversione di aziende di settori diversi.

Incentivare le aziende a produrre in Italia le mascherine protettive, ha un duplice significato. I dispositivi di protezione individuale diverranno sempre più richiesti e necessari man mano che andremo avanti con la graduale riapertura e con un ritorno alla vita sociale e per far ripartire l’economia in sicurezza, bisognerà dotare le aziende di tutti i presìdi e le accortezze necessarie, ma in aggiunta a ciò, supportare scelte di riconversione della produzione può allo stesso tempo servire a preservare l’operatività e la produttività di alcune aziende, di settori particolarmente colpiti dalla crisi, e ridurre, per quanto possibile, gli effetti di un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali.