«Vi informiamo che il traffico e gli spostamenti pubblici a Dubai saranno limitati dalle 20:00 alle 6:00 durante il weekend. Restate a casa. (Polizia di Dubai)». Un messaggio di allerta arriva, ogni giorno, su tutti i telefonini dei residenti durante le prime due settimane di quarantena. A casa di Sophie squilla forte tre volte, sui dispositivi presenti: «Come se ci potessimo dimenticare del coprifuoco!». Per evitare la diffusione del contagio nella città del lusso e dei grattacieli il lockdown è stato uno dei più rigorosi e controllati. In totale, in tutti gli Emirati Arabi Uniti, si contano 16.240 pazienti attualmente postivi al Covid19. Un numero molto basso che equivale ai contagiati di una sola regione in Italia.
Sophie ha 27 anni e lavora per un’importante albergo di Dubai come Guest Relations Manager; il suo compito è quello di occuparsi del cliente dal momento della prenotazione fino al check-out, assicurandosi che tutto si svolga al meglio durante la sua permanenza. «È come lavorare in un mondo a sé. Arriva gente da tutto il mondo e ti trovi spesso a dover parlare diverse lingue e doverti rapportare con culture diverse. Con il tempo impari che ci sono determinate cose che con ospiti russi, ad esempio, non faresti. Mantenere le distanze con loro è fondamentale, mentre con un cliente italiano è tutta un’altra storia». Arrivata a Dubai quasi per caso nel 2018, dopo essersi laureata in Scienze della Comunicazione a Siena e aver frequentato un Master in Hotel&Tourism Management. «Volevo cercare lavoro all’estero, ma Dubai non era nemmeno tra le mie opzioni. Mi si è presentata l’opportunità e mi sono detta: “Perché no?”».
«Dubai è una città piena di contrasti, basti pensare alle differenze tra i futuristici palazzi e la zona vecchia, che vive di turismo». Il settore, secondo il World Travel & Tourism Council’s Cities Report del 2019, contribuisce con l’11,5% al valore del PIL. In questo ha un ruolo fondamentale l’aeroporto, secondo al mondo per il traffico internazionale di passeggeri e quinto per traffico merci. «All’inizio i gestori dell’albergo non volevano chiudere. È stato il blocco degli aerei, e poi l’imposizione da parte della polizia, a convincere i gestori dell’albergo». Il lockdown è avvenuto in fretta, il coprifuoco iniziale è stato comunicato in meno di 24h dalla polizia. «È stata una cosa improvvisa, detta da un giorno all’altro. Nonostante ciò è stata rispettata subito». Dopo due settimane le autorità hanno annunciato le restrizioni più dure. Ai cittadini era permesso uscire una sola volta ogni tre per fare la spesa, mentre ogni sei per recarsi all’ATM più vicino e prelevare. Persino le visite mediche sono state sospese, tranne per situazioni gravi per cui occorreva una registrazione e un permesso speciale.
«L’autocertificazione si compilava sul sito della polizia. Bisognava inserire tutti i dati personali e poi scrivere, nel dettaglio, il motivo per cui uscivi: “Vado a fare la spesa a piedi dalle 16 alle 17.30 nel supermercato di questa via”. Dopo un po’ arrivava un messaggio con il permesso per uscire, oppure no». Sophie è stata fermata per tre volte dalla polizia che le ha chiesto di vedere il codice del permesso, da confrontare con quello precedente ed accertarsi che fosse uscita almeno tre giorni dopo e non prima. «Una volta sono andata a fare la spesa e in fila, davanti a me, c’erano quattro persone senza autocertificazione. Non so cosa sia successo loro perché poi sono entrata, ma di sicuro gli avranno fatto la multa». Negli Emirati Arabi Uniti la sanzione per chi esce di casa senza autocertificazione o mascherina, o per chi violava il coprifuoco nella prima fase, ammonta a 50mila dirham ovvero tra i 9mila e 10mila euro.
«È stata la fase più dura da superare, sapevamo di non poter uscire neanche per una boccata d’aria». Da una settimana e mezzo le autorità hanno allentato queste restrizioni e reinserito il coprifuoco dalle 22:00 alle 6:00. Nonostante non ci sia stato un vero calo nella curva dei contagi, rispetto alle prime fasi di lockdown, la città non può vivere in standby per sempre: «A Dubai si sente parlare solo di economia». Ristoranti e negozi d’abbigliamento cominciano a riaprire con degli accorgimenti, come posate di plastica o il divieto di provare gli abiti nei camerini e cambiarli una volta acquistati. «Dobbiamo imparare a convivere con questo virus, è vero, ma la quarantena con l’arrivo del caldo afoso mi preoccupa. Ecco perché vorrei tornare in Italia». Come tanti dei suoi colleghi Sophie è rimasta bloccata negli Emirati Arabi Uniti a causa della chiusura degli aeroporti, scegliere tra raggiungere la propria famiglia o dover andare via e non sapere se e quando poter tornare per riprendere il proprio lavoro non è facile. In più tornare in un Paese come l’Italia, con un alto numero di contagi, per Sophie vorrebbe dire dover affrontare un’altra quarantena una volta rientrata a Dubai. «Il pensiero fisso, per me, è sapere di non poter vedere la mia famiglia. La cosa che più desidero in questo momento è sedermi a tavola con loro per un pranzo infinito!».