«Ciao nonno. Ho sentito la mamma dire che possiamo rivederci, ma dobbiamo stare attenti». La fase 2 dell’emergenza, in molti casi, suona più o meno così. Con un telefono, un nipotino e un nonno uniti dall’amore e dal desiderio di riabbracciarsi, per quanto possibile.
Isolati, impauriti e spesso lontani, sono i nonni ad aver vissuto il periodo del lockdown con maggiore preoccupazione. Hanno sofferto la solitudine, il cambio di routine e la mancanza degli affetti. Più di altri.
«Non abbracciavo la mia Lucia dal 7 marzo, aveva un mese. L’ho seguita grazie a uno schermo e rivederla è stato come rivivere il giorno della sua nascita», racconta Giuseppe. Romano, 64 anni, vive in rione Prati e ha perso, per colpa dell’emergenza, novità e progressi della sua prima nipotina arrivata a gennaio. Con la fase 2 potrà di nuovo starle accanto per godersi, tra un cambio di pannolino e l’altro, i suoi pianti e i suoi sorrisi.
«Non so se si ricorda di me, ma il nostro secondo primo incontro è stato una festa. A volte è difficile non seguire l’istinto e non avvicinarsi anche solo per una carezza. Starle lontani è impossibile. L’unica preoccupazione è ora per le nuove restrizioni, che potrebbero esserci con un peggioramento della situazione».
Nella maggior parte dei casi appartenenti alla fascia “debole” della popolazione, tra i “congiunti” e gli “affetti stabili”, come da decreto, ci sono anche i nonni. Con la chiusura di asili e scuole e poche proposte di attività alternative, per i genitori che non possono lavorare in versione smart, la soluzione è pagare baby sitter o affidarsi a loro, esponendoli a rischi maggiori.
«Ho sempre dato una mano a mio figlio e a sua moglie impegnati in lavori dai ritmi forsennati», racconta Paola, nonna di Fondi, città laziale fino a poco tempo fa zona rossa. «L’emergenza ha complicato le cose perché loro vivono fuori dal Comune e per alcune settimane è stato pressoché impossibile spostarsi, anche per portare qui i nipoti. Il 4 maggio, viene quasi da ridere, ho compiuto 64 anni e sono loro il mio regalo».
La seconda fase dell’emergenza ha restituito momenti importanti.
Nonna Fosca vive a Bagnoregio con suo figlio e soffre di demenza senile. Di anni ne ha quasi 90 e il virus ha rivoluzionato in parte anche la sua quotidianità. «Non capisce bene cosa sta succedendo e più volte chiede il perché di queste maschere sul volto delle persone», spiega Giovanni, suo figlio.
L’inizio della fase 2 coincide per lei con il ritorno all’aria aperta. «Ama fare lunghe passeggiate pomeridiane, accompagnata a turno da me o da mia sorella. Le abbiamo spiegato più volte, per qualche settimana, di non uscire. Ma camminare la fa star bene ed è giusto permetterglielo di nuovo».
Nonna Adriana di anni ne ha 83 e Covid-19 ha scombussolato più di altri la sua vita. Vive a Monte San Biagio, in provincia di Latina, e a dicembre dello scorso anno ha scoperto di avere un tumore al seno. I pensieri da quel momento si sono susseguiti. I medici hanno consigliato la strada della chemio, iniziata in concomitanza della diffusione del Coronavirus in Italia e continuata nel periodo del lockdown. «Per due mesi sono uscita una volta a settimana. Sempre e solo per andare a Terracina per la terapia. Prima di scendere le scale di casa, misuro la febbre per chiamare in ospedale e dar conto della situazione. Da una parte è una preoccupazione, ma so di poter star tranquilla perché in clinica, una volta avvisati i medici, ci sarò soltanto io».
La gioia più grande è quella di rivedere i propri cari. «Ho sentito sempre mia figlia e le mie due nipoti, ma non è la stessa cosa. Rivederle, anche se a distanza e con guanti e mascherine, è stato indescrivibile».
Nella confusione generale, la fase 2 cambia qualcosa. Regala un briciolo di libertà attimi di serenità anche a loro, i nonni. Che con amore incondizionato, ci sono per tutti.