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Esclusiva

Maggio 28 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 31 2020
Una terapia per cambiare pagina

“Se si cura una malattia si vince o si perde, se si cura una persona, vi garantisco che in quel caso, si vince qualunque esito abbia la terapia!” (Patch Adams)
Le foto e le testimonianze dei volontari.

Una terapia per continuare a sorridere. Aveva tre anni, ha perso la vita in una stanza d’ospedale. Non aveva mai visto un parco divertimenti, i suoi occhi erano sempre stati tristi, ma è bastata la compagnia di una ragazza, un finto naso rosso sul viso, per farlo sorridere. Lei ogni volta che lo incontrava gli preparava un palloncino a forma di cane e lo accompagnava in giardino per giocare con gli scivoli e le altalene. Lui la guardava incantato.
“Avrei dovuto trasmettergli io forza e coraggio, ma è stato il contrario”. La ragazza pagliaccio non riesce a dimenticare quel bambino, i due erano riusciti a regalarsi momenti unici.

Ora le piace ricordare così quell’amicizia nata tra i corridoi di un ospedale. Martina Palma, studentessa catanese che si occupa di bambini con disturbi specifici dell’apprendimento e che ha deciso di condividere con noi alcuni momenti del suo percorso: “La mia esperienza ha avuto inizio nel 2016 e per me è stata un viaggio introspettivo. Sono sempre stata timida e ho sempre creduto che bastasse un sorriso per rendere felice il prossimo; poi ho capito che non è così. Per regalare un momento di gioia a qualcuno devi prima di tutto star bene con te stesso. Questa forma di volontariato mi ha dato tanto e mi ha insegnato quanto sia la stessa felicità a portarne dell’altra, come in un circolo vizioso che non deve mai avere fine”.

Ma questa non è la sua unica memoria felice. In un altro reparto dell’ospedale c’era un’adolescente, diffidente e timida come non mai e che non avrebbe mai creduto alla sua età di potersi ancora divertire con un clown. L’amica pagliaccio temeva di non piacerle e di sentirsi ridicola davanti ai suoi occhi. Per lei non fu facile entrare in quella stanza, ma una volta aperta la porta, la ragazza posò il suo cellulare sul comodino, abbassò le serrande della finestra per paura di essere ascoltata da qualcun altro e iniziò a raccontare la sua storia. Come se si conoscessero da una vita, l’amicizia che si istaurò tra di loro fu forte e rimase indissolubile. Per la prima volta, qualcuno vedeva quell’adolescente non come la paziente di un ospedale ma come una persona.

Una terapia per cambiare pagina
Martina Palma

“Una risata può avere lo stesso effetto di un antidolorifico: entrambi agiscono sul sistema nervoso, anestetizzando e convincendo il paziente che il dolore non ci sia”. È stato Patch Adams a dirlo, medico statunitense riconosciuto come l’ideatore della “terapia del sorriso” o clownterapia, che oggi compie 75 anni.

Grazie a lui questa terapia si è diffusa in tutto il mondo e il medico ogni anno organizza gruppi di volontari di diversa provenienza che, travestiti da pagliaccio, si recano in diversi ospedali. Praticano la clownterapia, vogliono far riscoprire l’umorismo a chi crede di non averlo mai conosciuto.

Pantalone nero elegante, giacca e cravatta nelle prime ore del mattino per andare in ufficio; uscito da lavoro, viso truccato, naso rosso e palloncini in mano per andare in reparto. Anche lui pratica la terapia del sorriso, che trasforma una forma di volontariato in stile di vita.

“Era un ragazzo ipovedente. Giocammo per un’ora senza interruzione fingendo di essere due pirati che lottavano contro squali in mezzo al mare. Prima di andare via, lui mi ringraziò per avergli fatto immaginare qualcosa che, nella realtà, non sarebbe mai riuscito a vedere. Rimarrà sempre nel mio cuore”.
Disegna un arcobaleno sul suo camice bianco,  trattiene le lacrime e sorride di sfuggita Nando Cristaldi, studente siciliano di 28 anni che ci racconta cosa si prova ad essere “Patch Adams” per qualche ora.

“Mi sono dedicato alla clownterapia 6 anni fa. Volevo stare a contatto con i bambini malati ed aiutarli in qualche modo. Un reparto ospedaliero è un ambiente settico e complesso, dove sembra non esserci spazio per il gioco e la spensieratezza. Questo però fino a quando non arriviamo noi, muniti di giocattoli e palloncini per strappare un sorriso a chi crede di non esserne in grado”.

 “Axada Catania” è l’associazione di volontariato che ha accompagnato Nando in questa bellissima esperienza: “Ridere non è solo contagioso, ma è anche la migliore medicina” il loro motto.

“Ti affezioni ai pazienti senza rendertene conto. Dalla ragazzina che mi disegnava sul corpo, da quella che mi picchiava con una spada giocattolo e non voleva che andassi via, dai ragazzi con disabilità che avevano una gran voglia di superare i propri limiti e dimenticare il loro handicap per qualche ora, a quelli più timidi e diffidenti. La terapia del sorriso è più complicata di ciò che si pensa. Non è solo mascherarsi. Devi essere forte e pronto a qualsiasi evenienza. Non è adatta a tutti. Bisogna essere in pace con sé stessi e avere una grande empatia”.

Ogni anno Axada organizza un corso di clownt terapia di un mese al quale chiunque può iscriversi ma non tutti vengono alla fine selezionati. Si apprendono qui delle tecniche da adoperare nei diversi reparti, come conquistare la fiducia dei genitori e dei figli ma soprattutto si impara a saper gestire le proprie emozioni.

Ricoverato da mesi c’era Andrea, socievole e giocherellone più di tutti quei bambini che in un ospedale non sono nemmeno mai entrati. Il piccolo e la sua amica pagliaccio Sofia trascorrevano molte ore insieme quando lei lo andava a trovare. Ma il sorriso più bello che Andrea è riuscito a regalare alla giovane clown è stato incontrarsi al parco e vedere il bambino correre, gioire della vita con la propria famiglia. Sofia, 22 anni, è stata membro dell’associazione Axada da quando ne aveva 19 e ciò che gli resta della sua esperienza è racchiusa in una frase: “Non c’è niente di più efficace nella vita che una piccola dose di buonumore e allegria”.

Una terapia per cambiare pagina
Sofia

Quella dei clown non è l’unica terapia sui generis a supporto di chi sta male. Già negli anni 60, lo psicoterapeuta Boris Levinson si rese conto come anche la presenza e la compagnia del proprio cane portasse benefici, sia a livello psicologico che comportamentale ad un suo piccolo paziente autistico.

“Il mio grande amore per ogni tipologia di animale fin da bambina e i miei studi sulla psicologia mi hanno fatto capire quanto i due mondi siano connessi. Da qui ho coltivato una passione e mi sono messa alla ricerca di un cane che fosse adatto ad aiutare le persone in difficoltà.  Così ho conosciuto il meraviglioso Labrador Retriver che vive con me da 11 anni e grazie al quale ho dato vita al mio centro Pet Therapy nel comune di Alta Valle Intelvi, in località Lanzo”. Parla Nicoletta Teso, dottoressa in psicologia che presta la sua professionalità al servizio di scuole, residenze psichiatriche, carceri e comunità per disabili e di recupero.

“Se dovessi spiegare cosa rappresenti per me questo lavoro potrei scriverci un libro. Spesso i pazienti si rifiutano di curarsi ma, grazie alla presenza di un animale che dona loro amore e li stimola, ricominciano poi a riprendere le medicine. Nelle scuole io propongo anche la Pet Education. Si tratta di un intervento educativo mirato a far conoscere ai bambini come ci si approccia nel modo giusto agli animali e come ci si prende cura di un altro essere vivente che merita pari rispetto e dignità”.

Lei stessa due anni fa ha condotto una ricerca scientifica in una scuola primaria, basata su come la presenza di un cane in un’aula scolastica potesse incrementare il pensiero creativo e l’autostima degli alunni. Dal risultato è emerso che, la magia di avere tra i banchi un “amico peloso”, che non giudica, non da voti e ti accetta così come sei ha permesso anche ai bambini più timidi di esprimere sé stessi, aumentando così anche il loro rendimento. Nei laboratori scolastici, la dottoressa Teso ha anche introdotto “letture a 4 zampe” ovvero un’attività dedicata a leggere fiabe e racconti alla presenza di un cane. In questo modo, anche chi soffre di disturbi dell’apprendimento riesce a superare le proprie difficoltà nella lettura.

“Una mattina arrivo in struttura con uno dei miei cani addestrato per la Pet Therapy e il direttore mi presenta una paziente dicendomi “Si sta lasciando morire. Non mangia più, non si cura e non vuole vedere nessuno”. Lentamente mi avvicino al suo letto e rimango in silenzio. Lascio libero il cane di muoversi nella stanza e avvicinarsi a lei. Lui appoggia il suo muso sulle lenzuola accanto alla mano dell’ospite e inizia a leccarla. Lei sente una strana sensazione e si gira verso l’animale. A quel punto scatta la magia: si siede sul letto e inizia a parlare con il mio Labrador. Lo accarezza, gli da i biscotti che avrebbe dovuto mangiare a colazione ma aveva lasciato sul comodino e poi mi rivolge la parola. Vuole sapere chi siamo, come si chiama il cucciolo e se può portarlo a passeggio in giardino. Lei adesso è la mia assistente personale durante gli incontri di Pet Therapy in quella struttura. Aspetta con gioia il nostro arrivo, non usa neanche più il deambulatore per camminare. Mi è stato detto dal direttore di aver fatto un miracolo e la mia risposta è stata “Non è merito mio”.

La magia continua. Seduta su una sedia e pensierosa c’era una donna anziana, malata di Alzheimer. Nicoletta le si avvicina, le fa stringere tra le mani un coniglietto e la signora inizia ad accarezzarlo e chiamarlo con il nome del figlio che non riconosceva più da tempo. Un “Danilo” che lei stessa aveva dimenticato. Lui era presente alla seduta e con le lacrime agli occhi disse “Non sentivo pronunciare il mio nome da tantissimo tempo. È stato troppo commovente”.

“Per me la Pet Therapy è la possibilità di raggiungere degli obiettivi importanti con un amico fedele accanto, che ti segue anche quando tutti sembrano girarti le spalle. È la possibilità di tirare giù le barriere ed essere sé stessi. È la possibilità di liberarsi in un pianto catartico durante la chemio e riaprire il cassetto dei ricordi di un’infanzia ormai lontana”. Giulia ci racconta come ha iniziato ad appassionarsi a questa terapia. Il suo vecchio lavoro non la soddisfaceva più e cercava una nuova scintilla motivazionale.

Aveva 3 anni ed era affetto da autismo con compromissione importante della socialità. Non parlava con nessuno, se non con Tea, la sua nuova amica a 4 zampe. È bastato il semplice gioco del “riporto di una pallina” per far interagire di nuovo il bambino con altri essere umani. Voleva chiamare la cagnolina per nome ma non ci riusciva mai. La commozione della mamma è stata per Giulia la prova dell’efficacia degli inteventi praticati grazie a questa terapia.

Sono tante le storie di chi con la Pet Therapy è riuscito a superare un limite fisico, un blocco emozionale e chi ha trovato conforto gli ultimi giorni della sua vita nello sguardo di un cane.

Terapia del sorriso e Pet Therapy non sono però le uniche pratiche, ne esiste anche una fondata sui benefici di un’attività ricreativa: la ludoterapia. Dall’insieme di diverse tecniche psicologiche, strutturate in forma di gioco si possono ottenere risultati sorprendenti e a confermarlo è Chiara Catapano, psicoterapeuta partenopea che lavora con gruppi di ludoterapia dal 2015.

Marco era disabile fin dalla nascita. La sua costante era sempre stata una sedia rotelle e nascondeva un mondo di rabbia ed emozioni dentro. Con la ludoterapia, il ragazzo è riuscito a far parlare il padre, con il quale non era mai andato d’accordo e che era morto da poco, attraverso sé stesso, con la sua stessa voce e lo accusava di essere sempre stato la ragione di tutti i suoi mali. È Chiara a raccontarci quest’esperienza forte e dolorosa ma allo stesso tempo liberatoria: “Per i nostri pazienti, esprimere ciò che hanno dentro e osservare il mondo con una prospettiva diversa e con una nuova consapevolezza non è semplice. Da anni lavoriamo con persone diversamente abili e tutte le volte che riusciamo ad ascoltare le loro storie e a guardare realmente dentro il loro cuore ci emozioniamo e ci rendiamo conto di quanto siano importanti ed efficaci queste terapie”.