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Esclusiva

Maggio 30 2020
Il “concorsone” della scuola, giovani e precari fra sogni e posto fisso

24 mila posti e un maxi concorso straordinario per ridare forza al mondo della scuola, fiaccato dal Coronavirus e dal precariato. Su Zeta le voci di quattro ragazzi pronti ad affidare al “concorsone” il loro sogno di insegnare

«Vedo il Ministero dell’Istruzione come un burattinaio, qualcuno che non è mai entrato in una scuola. Questo mi spaventa: ogni sei mesi vengono fatte riforme e leggi che cambiano, annullano, rimettono, scombinano il mondo della scuola. Ormai non riesco nemmeno più a preoccuparmi: quando fra un anno e mezzo avrò in mano il mio pezzo di carta, che dichiarerà che io potrò insegnare, non posso prevedere se ci sarà un concorso, come saranno le graduatorie… non so nulla e non posso prevederlo. Quindi in questo momento vivo con una “angoscia serena”. È un paradosso, lo so, però è così: so che mi dovrà cadere il mattone sulla testa, ma non me ne preoccupo più. Il mattone, oggi, non riesco a vederlo». A parlare è Clara, 24 anni, studentessa al quarto anno di Scienze della formazione primaria, rappresentante del relativo coordinamento nazionale e aspirante maestra, già impegnata nelle scuole elementari come tirocinante. 

La crisi del Coronavirus ha colpito duramente le scuole italiane, costrette a chiudere e a ripensare la didattica per far fronte all’emergenza. Lo spostamento del cuore dell’insegnamento sulla rete, abbinato a un corpo docente non più così giovane e poco avvezzo alle nuove tecnologie, ha creato più di qualche intoppo nella conclusione di questo anno scolastico, maturità compresa. Il “nodo gordiano” dell’istruzione, la carenza atavica di insegnanti di ruolo, ha reso la situazione ancora più intricata. Per questo motivo il governo, sin dall’inizio della pandemia, sta studiando soluzioni per ingrossare le fila del corpo docente, svecchiandolo.

Nonostante i litigi nella maggioranza, le incertezze comunicative e le polemiche, la quadra sembra essere vicina. Negli ultimi giorni il senato ha approvato il maxiemendamento sul decreto scuola, che ha stabilito i criteri del “concorsone” per l’accesso al contratto di ruolo. I candidati dovranno aver insegnato per almeno tre anni scolastici (di cui almeno uno nella propria classe di concorso) e aver accumulato almeno 24 CFU per sostenere il test, a risposta aperta (ad aprile si ipotizzavano le crocette). I vincitori entreranno in ruolo dal 2021/2022; per il prossimo anno si pensa ad assunzioni a tempo determinato. Cambiano anche le graduatorie, che dagli istituti passeranno alle provincie, ampliando le scelte di scuole e insegnanti. 

Per tastare il polso degli aspiranti professionisti dell’istruzione, Zeta ha intervistato quattro ragazzi che affideranno al concorso il sogno di una cattedra. In palio ci sono 24mila posti dal nuovo bando, un numero che Matteo N., 25 anni, insegnante di storia e italiano, giudica insufficiente: «Sono pochi posti rispetto alle cattedre necessarie. Soprattutto, mi pare un criterio di selezione molto degradante. Non per me che sono neolaureato, ma per chi è precario da oltre dieci anni e deve vedersi magari bocciato a una stupida preselettiva o sorpassato da chi supera un test». 

Concorso scuola

Gli anni di precariato per chi si avvicina all’insegnamento sono tanti. «Sono molto pessimista – ci confessa Roberto, 31 anni – e consapevole di questa situazione. Per questo decisi in passato di non intraprendere questa strada subito dopo la laurea. È uno dei lavori col maggior numero di precari. Tra certificati costosi e sempre più professionali e graduatorie ordinarie invalicabili, emergere non è per nulla facile. Per non parlare della mia classe di concorso, Arte e immagine. È praticamente un terno a lotto».

I criteri del concorso lo preoccupano: «Si pretendono come qualità basilari delle ottime conoscenze di inglese, matematica, informatica, psicologia, antropologia, pedagogia e metodologia. E poi, parlo della mia classe di concorso, competenze di storia dell’arte degne di un critico e la capacità di saper usare meticolosamente ogni tecnica artistica, dall’ombreggiatura alla prospettiva, con qualsiasi strumento (matite, chine, acquerello, tempere a olio, digitale ecc.). Sono contento per chi in futuro avrà insegnanti super qualificati, è un privilegio che io non ho avuto. Ma anche il compenso dovrà essere consono alle loro qualità: per 1400 euro al mese ne vale davvero la pena?».

Il "concorsone" della scuola, giovani e precari fra sogni e posto fisso

I motivi per lamentarsi, secondo Matteo N., sono tanti: «Credo che sia giusto protestare per mille punti di vista, dalla divisione interna scientemente portata avanti dall’alto in mille gradini, ognuno attaccato ai propri (pochi) privilegi e in guerra con quelli più in basso, sino all’evidenza che in Europa siamo fra quelli con più ore di lavoro, a fronte di uno stipendio dimezzato rispetto gli standard di molti nostri colleghi stranieri». 

Secondo Roberto invece i problemi sono altri: «Un docente, per aver maggiori punteggi, è spesso obbligato a “comprare” il maggior numero di attestati possibile. Riuscire a studiare tutto è un’impresa e rischi di dimenticarti competenze acquisite in anni di studi universitari. Ho conosciuto persone che a stento sapevano esprimersi in italiano con un certificato di Inglese C2 e il corso Eipass di livello avanzato nel curriculum. Questo sistema ha creato dei meccanismi spiacevoli in cui un “parente di” o una persona molto benestante ha maggiori possibilità di scavalcare gli altri grazie ai soli attestati, invece che grazie al merito». 

Il "concorsone" della scuola, giovani e precari fra sogni e posto fisso

Gli fa eco Matteo C., insegnante precario di Matematica: «Ci sono pochi soldi e scarso interesse verso il corpo docente, che è spesso snobbato e lasciato da solo, troppe volte senza l’adeguata formazione. In generale la figura del docente a scuola è da tanti decenni sempre più sminuita socialmente, finendo per rendere il suo ruolo tutt’altro che prestigioso. Il risultato è che invece di attirare le migliori menti, attira chi per un motivo o per l’altro ci si ritrova a farlo: perché non ha avuto successo in azienda, perché cerca un posto da statale o perché non ci sono grosse alternative. Sono pochi quelli con il fuoco sacro della passione».

Perché allora un ragazzo altamente specializzato dovrebbe andare a insegnare a scuola? «Io stesso, andassi in qualunque altra azienda prenderei più soldi nel giro di un paio d’anni con gli scatti di carriera. Non ci sono prospettive di crescita, i “premi di produzione” sono ridicoli, stimoli a fare meglio neanche a parlarne… se non per iniziativa o stimolo del docente stesso. Me lo chiedo anch’io». Matteo N. fa invece il confronto con altri mestieri: «La situazione non è rosea. Tuttavia, se dovessi lamentarmi con i miei amici che fanno gli operai o anche chi alla mia età è ingegnere o avvocato in ufficio, mi beccherei giustamente le loro offese. Parliamo di persone che per metà del mio stipendio fanno 8 – 10 ore di lavoro, senza ferie e con le medesime garanzie di rinnovo del contratto, se non inferiori. Dipende dalle lenti con cui si osserva questo mondo. Se vedo solo il contesto scolastico, l’orrida situazione e le differenze rispetto l’Europa sono avvilenti. Ma uno sguardo più ampio sulla situazione lavorativa italiana mi porta a scegliere volentieri questa via, almeno per ora».

Il "concorsone" della scuola, giovani e precari fra sogni e posto fisso

Malgrado il quadro generale sia negativo, Matteo C. ha ancora speranze: «Nella mia esperienza ho incontrato tantissimi docenti che ci mettono il cuore e fanno di tutto e di più per gli studenti. Chi arriva a fare questo lavoro o ci crede tanto, e allora si impegna e fa un ottimo lavoro nonostante tutto, o ci si ritrova solo per prendere uno stipendio e fa il minimo possibile». Roberto invece immagina la scuola come una missione: «Sono ormai consapevole che sarò precario a vita. Non mi faccio molte illusioni. Ma se il mio destino sarà questo, preferisco essere considerato un “maestro”, un “professore”, produrre conoscenza. Nella mia vita ho fatto tanti lavori umili che avevano come unico scopo quello di arricchire i miei datori di lavoro. Preferisco arricchire la società: mi affascina l’idea di vagabondare per l’Italia, aiutare gli altri e avere un ruolo importante. Se proprio devo morire di fame, voglio farlo come insegnante».