«Senza certezze, meglio chiudere. In questo momento, l’amarezza fa venir voglia di mollare il ristorante e il mestiere». A raccontarlo è Gianluigi Mangia, per tutti Gigi, chef e proprietario dello storico ristorante dalla tenda rossa in via Principe di Belmonte, a Palermo. Prima di aprire il locale due vetrine accanto quella che fu la salumeria di suo padre, ha girato il mondo assecondando la sua passione per il cibo. All’inizio come buyer per i DDL Food Show, i negozi di specialità italiane aperti a New York dal regista Dino De Laurentis, poi in Europa a perfezionare il mestiere. La sua famiglia è nel mondo della ristorazione da 77 anni.
Adesso, la scelta di chiudere è per lui più di un’ipotesi. Il motivo: pochi tavoli e ancor meno clienti per il suo locale di 75 metri quadri. «Per rispettare il distanziamento sociale, ho dimezzato i coperti da 40 a 23. Cercando di recuperare qualche posto a sedere, ho chiesto al comune la concessione del suolo pubblico. Da quasi un mese e mezzo la pratica non va avanti. Intanto cresce lo scoramento nel volto dei miei collaboratori». Anche il rapporto coi clienti è cambiato a causa dell’emergenza: «Le persone hanno paura a cenare nei ristoranti chiusi. Sabato scorso ho ricevuto una prenotazione per un anniversario di matrimonio. I commensali previsti erano 21, così ho riservato tutto il locale e fatto una spesa adeguata. Poco dopo hanno disdetto: la nuora del festeggiato non voleva cenare al coperto. Quel giorno non ho avuto nemmeno un cliente».
Mangia ha srotolato per la prima volta la sua tenda rossa nel 1984. Sotto di essa ha portato avanti la sua idea di cucina tipica siciliana, sperimentando nuove idee in continuità con la tradizione isolana. Sua la ricetta delle arancine a base di pesce, un’istituzione nel capoluogo. Con gli anni, è diventato il locale preferito politici e giornalisti della città, complice la prossimità con le redazioni e con le sedi di partito. Beppe Grillo lo scelse per un rinfresco durante la campagna per le elezioni regionali siciliane, generando un incidente diplomatico con un paio di giornalisti a lui “sgraditi” ospiti anche loro del locale, con una ridda di polemiche fino a Roma e scontro di versioni rivali.
Nel 2015 il tentativo di espandersi creando un polo dello street food nei locali di un pub sequestrato al boss Gianni Nicchi, impresa stoppata dalle minacce e dalle irregolarità commesse dalla gestione precedente.
I mesi di lockdown hanno imposto un pesante tributo ai lavoratori del settore, e molti ristoratori patiscono la mancanza di clienti e turisti in una città dall’economia già molto depressa. «Per pagare i miei dipendenti – Conclude Gigi Mangia – in attesa di cassa integrazione, ho dovuto vendere il furgone aziendale e svuotare la mia cantina di vini. Coi fornitori ho trovato accordi di favore per riuscire ad avere la merce pagandola anche in natura, offrendo cene nel mio ristorante. Ho seguito il precetto di Papa Francesco: praticare la solidarietà nei momenti difficili. Ma se continua così non posso andare avanti, l’extrema ratio è chiudere. Onorerò le poche prenotazioni ricevute per le prossime due settimane. Al momento preferisco non andare più in là col pensiero».