“I suoi occhi stralunati indagavano la realtà, donando autorevolezza shakespeariana alle piccole cose della vita”. Gianrico Tedeschi aveva compiuto 100 anni lo scorso aprile, il suo ultimo compleanno. L’attore e doppiatore è morto la notte scorsa nella sua casa di Crabbia di Pettenasco, sul lago d’Orta. Ci ha parlato di lui il critico teatrale de Il Manifesto Gianfranco Capitta, raccontandoci alcuni aneddoti della vita dell’artista milanese.
“A livello di massa veniva ricordato per aver fatto da testimonial alle caramelle Sperlari durante la trasmissione Carosello. Aveva una bellissima voce e un’espressività molto intensa, che lo rendeva adatto a ruoli del genere. Oltre a questo però, era molto altro. Onesto e non retorico, aveva una personalità curiosa che riusciva a mostrare anche in scena. Quando l’ho conosciuto, mi ha stupito la sua umiltà e il suo modo di porsi anche fuori dal teatro: particolare e moderno”.
Nonostante sapesse far divertire con espressioni e battute, Tedeschi aveva alle spalle una storia allo stesso tempo drammatica e bellissima. “Nato in una casa di ringhiera a Milano – come ci teneva a raccontare -, ha conosciuto il teatro grazie ai genitori e se ne è subito innamorato. Quando è scoppiata la guerra è stato chiamato al militare ed è andato in Grecia come ufficiale. Ma l’armistizio e la nascita della Repubblica di Salò capovolsero la situazione. Dopo aver rifiutato di unirsi ai repubblichini, venne catturato dai soldati nazisti e deportato nei lager di Beniaminovo, Sandbostel e Wietzendorf.
In quel periodo difficile capì che il teatro era utile per sopravvivere. Nei campi di concentramento cominciò a recitare e capire l’importanza vitale di fingersi qualcun altro. Così poteva crearsi una vita diversa, migliore rispetto a quella dura che viveva durante la prigionia tedesca. Tornato in Italia comprese che la sua strada era il teatro. Fino a pochi anni fa recitava ancora, a 95 anni, e ci teneva a raccontare questa storia”.
L’esperienza nel lager diede impulso alla sua decisione di diventare attore, e nel 1947 insieme a Giorgio Strehler e Paolo Grassi diede vita a Milano al primo teatro pubblico in Italia. “Il Piccolo Teatro in via Rovello naque in un luogo simbolico, dove i nazisti interrogavano i partigiani durante la guerra. Lì iniziò a fare spettacoli di ogni genere insieme a Strehler, Luchino Visconti e altri. Nel 2000 interpretò Le ultime lune di Furio Bordon, che precedentemente era stato affidato a Marcello Mastroianni alla sua ultima apparizione teatrale. Per me che allora ero ragazzo”, continua Capitta: “È stato uno dei primi che ha portato il Teatro dell’Assurdo in Italia. Non ha mai avuto paura di sperimentare. Ha fatto anche tanta televisione negli show della Rai, dove usava il teatro paradossale per raccontare pregi e difetti del nostro paese. Inoltre ha fatto anche tanto cinema, lavorando con registi del calibro di Mario Monicelli”. Un attore che ha imparato a sue spese la forza straordinaria del teatro, dove fingere a volte significa sopravvivere.