Al Teatro Argentina le porte sono chiuse, ma le luci non sono spente. Nel cuore del suo palcoscenico proseguono le prove de La metamorfosi, uno spettacolo nato in stretta relazione con le riflessioni e le condizioni dettate dalla dura realtà di questi mesi, imposte dal tempo sospeso in cui ci troviamo immersi.
Una scenografia angusta e buia, con al centro un letto, sullo sfondo l’angolo di una stanza dalle pareti sudice, che all’occasione viene movimenta rivelando che oltre a quel luogo esiste un fuori, il “mondo”, come ricorda una grande scritta sul retro della parete posta lì a marcare lo stacco tra lo spazio chiuso e costretto della stanzetta dell’isolamento imposto e la vita esterna, che lì fuori prosegue, nonostante le istanze e la condizione del “malato”.
Nel nuovo lavoro di Giorgio Barberio Corsetti – il cui debutto a novembre ha subito la battuta d’arresto imposta allo spettacolo dal vivo – il protagonista Gregorio è trasformato in un enorme insetto immondo, ma la sua non è una metamorfosi che avviene con la sciatteria che ci si aspetterebbe da una trasposizione cinematografica del testo: gli effetti speciali, l’uso di prostetiche ridicole o di ingombranti costumi. È il teatro, ed è nella capacità dell’attore in questione, in questo caso Michelangelo Dalisi, un interprete i cui tratti scalpellati, la posa grottesca e il controllo pressoché totale di muscoli del viso che non si pensava nemmeno esistessero, che emerge la possibilità di una trasformazione impensabile. Non appena la fioca luce sul palco illumina la stanza agli albori della prima scena, in Dalisi non vediamo l’umano, vediamo la metamorfosi, non fa l’insetto, lui è l’insetto.
È la difficile creazione di un “corpo immaginario” come lo ha definito Corsetti. Un corpo immaginario che tuttavia rimane ben tangibile e presente, una presenza concreta di cui la famiglia è costretta, più o meno di buon viso a farsi carico. È la metamorfosi di questo individuo dall’essere “produttivo e quindi utile a questo mondo” – secondo un mantra che di recente si è sentito in più occasioni – a trasformato in un problema, elemento improduttivo, sgraziato e problematico che la famiglia deve sobbarcarsi.
Gregorio non può evadere dalla clausura della sua stanza, i suoi famigliari gli devono stare distanti, ma devono convivere con lui, facendo anche loro di riflesso l’esperienza della sua difficile condizione, in quello che sembra a tutti gli effetti un isolamento fiduciario, espressione un tempo poco usata e che oggi appartiene invece a un lessico con cui abbiamo imparato a familiarizzare. Chiuso nella sua stanzetta, con i pasti che gli vengono lasciati alla porta a intervalli cadenzati, perché le condizioni impongono così. Senza la possibilità del calore di un abbraccio, senza nemmeno il conforto di un volto amico che si siede sulle coperte stirate del letto d’ospedale dove sei ricoverato e tenendoti la mano ti chiede come va. Gregor, chiuso nello spazio ristretto della stanzetta di Praga vive in tutto e per tutto come un malato contagioso, un qualcosa che fa paura, una potenziale minaccia da cui tenersi alla larga.
Intorno al microcosmo di Gregorio ruotano altri pianeti e i sentimenti che ne descrivono le orbite. Lo spavento della madre, la sua rinuncia a entrare nella stanza e i continui svenimenti da diva del muto, il disinteresse e la violenza del padre e la pietà della sorella, che cerca di farsi forza e superare le proprie paure una volta al giorno per portare il vitto al fratello-insetto, per mantenerlo in vita. La presenza di alcuni dei parenti, l’assenza di quelli che non se ne curano, per scelta o perché impegnati in altro, nel continuare a correre trascinati nelle loro vite, nelle loro carriere, o nella loro produttività, sia mai che le economie possano essere rallentate da “stupidi problemi umani”. Emerge tutta la profonda avanguardia di un’opera letteraria di 105 anni fa, con figure come quella del procuratore che si premura di passare a verificare non tanto la salute di un proprio lavoratore ma solo per controllare con freddezza che non stia mentendo per fregare l’azienda.
Corsetti già nei primi lavori de La Gaia Scienza, compagnia da lui fondata nel 1975 assieme a Marco Solari e Alessandra Vanzi si è sempre distinto come precursore dell’utilizzo di formati artistici differenti all’interno del teatro, del rompere le barriere tra le arti. Oggi, date le condizioni al contorno, oltre ad avere più tempo per provare e perfezionare lo spettacolo, ha la possibilità di sperimentare ancor più con il mezzo visivo, introducendo linguaggi nuovi e implementando gli esistenti.
Vista l’impossibilità delle rappresentazioni in presenza, lo spettacolo è stato rielaborato sotto forma di contenuti speciali, pillole di prove, momenti di lavoro, back stage dell’allestimento pensati per il sito e i canali online del Teatro di Roma, anche se il pubblico per ora non ha ancora potuto godere integralmente della visione dell’intero spettacolo.
Ma il fatto che non abbia debuttato in presenza non vuol dire che il suo messaggio andrà perso. Il debutto, in una delle prime occasioni nel suo genere, avverrà attraverso il mezzo televisivo. La messa in onda in prima assoluta è prevista su RAI 5 per il 19 dicembre in prima serata.
La lavorazione dello spettacolo si è adattata alla realtà del momento anche nel recepire alcune imposizioni e divieti che sono entrati prepotentemente sul palcoscenico, variando la drammaturgia stessa. Per venire incontro alle esigenze del distanziamento e ai divieti che limitano il contatto tra le persone, e quindi tra gli attori sul palco, dal copione sono dovute essere eliminare alcune scelte, come quando la madre di Gregorio si getta sul padre per chiedere pietà, inserendo un escamotage per cui la madre inciampa nelle proprie vesti, cadendo ai piedi del padre e implorandolo a distanza.
Lo straniamento dell’uso della terza persona rende tutto surreale, i personaggi descrivono le azioni che compiono, amplificandole come se la parola facesse da cassa di risonanza dei gesti. Riescono nell’intento di rappresentare non solo ciò che fanno ma anche quello che pensano, in un tentativo di donare al teatro l’artificio unico che ha la letteratura, poter guardare nella mente dei personaggi come dentro a sfere di trasparente cristallo, non limitandoci alle parole che questi riordinano e a cui danno vita sotto forma di dialoghi, ma anche ciò che non dicono, le sensazioni che provano, la paura, la rabbia, la rassegnazione. In terza persona, Gregor si guarda e ci racconta, ci invita a non guardarlo come qualcosa di altro da noi, a immedesimarci, guardando il mondo con i suoi occhi. A osservare il mondo da un punto di vista in cui potrebbe capitare anche di trovarsi, per una qualche sfortunata coincidenza, ciascuno di noi.