Congiungere. Esigenze, richieste, necessità. Il Mercato di Fondi lo fa da decenni. Nato nella seconda metà del secolo scorso e fin da subito trait d’union tra il Nord e il Sud del Paese, nell’ultimo cinquantennio ha assistito agli sviluppi della storia economica e politica italiana. Fino alla pandemia. «Difficile dimenticare il 2020 – racconta Umberto, commerciante da una vita -. In questi mesi lavorare non è stato facile. All’inizio abbiamo reagito bene, le persone hanno continuato a spendere. Poi, con l’estate, siamo tornati quasi alla normalità. Il problema è adesso. Con le nuove restrizioni la gente è in difficoltà. Le risorse e i sussidi non bastano più».
Spaccato di vita, il Mercato narra l’essenza di un territorio e di una comunità. Nel tempo ha affrontato crisi diverse e prove sempre più dure. Le ha superate tutte guardando avanti, senza mai voltarsi indietro…
Volti scuri, sguardi pensierosi, amarezza generalizzata. Tra voci e riflessioni che si rincorrono, l’affresco di chi lo vive giorno per giorno è più o meno lo stesso. «Il momento è critico – dice Luigi, anche lui commerciante e volto noto in città -. Basta guardarsi intorno per capire che qualcosa non va, è tutto vuoto. Con tante attività in stand-by, anche i consumi primari si fermano. Oggi il problema è sociale, non riguarda solo un settore. Le famiglie faticano a mettere un piatto caldo sul tavolo. La nostra è un’attività storica, siamo sul Mercato da anni e dopo aver reagito bene al primo lockdown, anche contro le aspettative, ci troviamo ad affrontare una crisi paurosa».
L’indagine portata avanti da Federlazio (Associazione Piccole e Medie Imprese del Lazio), e relativa al semestre gennaio-luglio, non smentisce il sentire comune. Nella regione, gli introiti delle imprese calano in 8 casi su 10 e un terzo delle aziende – su un’analisi campione di 450 unità – subisce una riduzione del fatturato superiore al 30 per cento. Si comprende in questo dato l’andamento attuale di un sistema che vive nonostante tutto. Provando a resistere quasi da sempre, verrebbe da dire con un occhio al passato. Indice di una mentalità, exemplum di una vocazione. Fin dal secondo dopoguerra, quando tra le strade del centro storico si sviluppava la compravendita di arance, prodotto che per decenni ha contraddistinto il territorio. Niente assegni, nessuna fattura. Allora, per creare ricchezza e muovere milioni di lire bastavano una stretta di mano e una pacca sulla spalla. Soltanto dopo, l’esigenza di un “mercato alla produzione” e la nascita ufficiale del MOF, nell’ottobre del 1974. L’obiettivo era chiaro. Assorbire la spinta agricola della piana e incrementarla, con un processo di selezione e razionalizzazione degli articoli. Tante le sfide poi affrontate negli anni. Alti e bassi, apici di splendore e attimi di ombra. Fino alla crisi trasversale arrivata con Covid-19, che ha toccato il commercio ortofrutticolo in tutte le sue forme. Anche alla base.
«La nostra è un’organizzazione di produttori della provincia, una cooperativa agricola», spiega a Zeta Lino Conti, direttore della OP COPLA. «Nonostante la preoccupazione iniziale, la prima fase della pandemia ha prodotto per il settore un aumento del commercializzato, dipeso in parte dal cambio delle abitudini dei cittadini. Da febbraio a maggio abbiamo registrato un incremento del 30 per cento rispetto al fatturato del 2019, mentre la ripartenza estiva ha evidenziato un crollo micidiale dei prezzi, soprattutto per articoli come il pomodoro, per noi elemento di punta. L’onda negativa continua anche oggi, non siamo in linea con i ricavi degli anni precedenti».
Perché il momento non conosce eccezioni. «A mio avviso, il nostro settore subisce la crisi più di altri perché possono esserci casi di sovrapproduzione o di generale calo dei consumi. A volte assistiamo addirittura a vendite al di fuori dei costi di produzione. Siamo così costretti a ritirare la merce dal mercato e a mandarla in beneficenza – come stabilito dal programma operativo dell’azienda – con i prodotti che vengono pagati a prezzi stabiliti dai protocolli della cooperativa».
Secondo la classificazione della Regione Lazio, il Mercato di Fondi è una struttura di interesse nazionale a tipologia mista. Un centro di transito in cui, oltre a vendere quanto offerto dalla zona, si mette in piedi un processo di lavorazione, trasformazione ed esportazione dalle aree meridionali al Nord. Per adeguare sempre l’offerta alla richiesta. «Il coronavirus ha creato dinamiche altalenanti – precisa Roberto Sepe, direttore del MOF -. In una primissima fase, tra fine febbraio e inizio marzo, lo sbandamento è stato totale, con un meno 30 per cento sulle movimentazioni delle merci commercializzate. In seguito, grazie a una vivace domanda della grande distribuzione, il gap è stato colmato quasi del tutto. A fine estate, la seconda ondata ha però colpito in modo duro la ristorazione e ne abbiamo risentito. Oggi il calo, rispetto al mese di dicembre dello scorso anno, si aggira sui 10-15 punti percentuali, ma ci tengo a sottolineare un aspetto. Con l’emergenza tutti hanno capito l’importanza dei centri agroalimentari all’ingrosso, che garantiscono l’approvvigionamento per il commercio al dettaglio in tutte le regioni d’Italia. È una questione fondamentale e credo che il nostro mondo, ma non solo, debba far tesoro di ciò per le sfide del futuro».
Nei diversi capitoli della sua storia, Fondi ha fronteggiato problematiche di vario tipo. Il Mercato, non da meno, ha risposto alle difficoltà sempre con il movimento. Segno che la sopravvivenza e la ripresa sono nel destino. Suo e della sua gente.