«Sì, lo so che Einstein mi definiva la Marie Curie tedesca e questo già mi rallegra, perché io stimo Marie Curie e mi fa piacere che lo dica perché di solito quando sei brava ti confrontano sempre con un uomo». Sono le parole con cui la regista Marcela Serli decide di far parlare la scienziata visionaria Lise Meitner, responsabile della scoperta della fissione nucleare, che il Nobel non vedrà mai, perché conferito solo al collega maschio Otto Hahn.
Una scena vuota, animata solo dalla presenza fisica delle attrici e da alcune proiezioni video. Un trio rock sul fondo, che con il proprio contributo illumina gli stacchi di scena. Un flash iniziale, per riportare subito tutti con i piedi per terra: una carrellata di titoli di giornale e dichiarazioni per dimostrare che anche in fatto di Scienza ci sono ancora grossi pregiudizi da superare per arrivare alla parità di genere. Si va dalle congetture sul fatto che gli uomini abbiano un quoziente intellettivo più alto, alle dichiarazioni scandalose che sono costate le dimissioni del professor Tim Hunt, Nobel e biochimico dell’University College di Londra «quando sono in laboratorio le donne creano problemi: te ne innamori, loro si innamorano di te, e quando le critichi si mettono a piangere», fino a Pierpaolo Pandolfi, la cui nomina a direttore del Vimm di Padova si è infranta contro il muro delle accuse di molestie quando era di stanza ad Harvard.
Le note di un pezzo rock, chitarra e batteria e una voce femminile che squarcia la scena irrompono quasi a portare con loro una rottura, una rivoluzione, mentre i corpi di danzatrici vestite di nero si agitano nella penombra. È il grido d’inizio di uno spettacolo che parla di donne, del loro lavoro e dello scontro costante con il sistema patriarcale in cui viviamo. Lo fa raccontando le aspettative, i sogni e il rapporto con il quotidiano di queste stesse donne, mentre il portato delle loro vicende si intreccia con altri esempi storici di vite “eccellenti” come quelle di Hedy Lamarr, Cecilia Payne, Katherine Johnson, discriminate in ambito professionale così come nella vita di tutti i giorni. Uno specchio in cui sia le protagoniste del progetto sia le spettatrici potranno ritrovarsi.
«Bussate prima di entrare, io ho bisogno di stare sola per concentrarmi, per studiare, ma non sono sola, sono circondata dalle mie forme, io amo le forme». È Rosalind Franklin a parlare, lo spettacolo parte proprio da lei, da questa scienziata che nel 1952 fece la fotografia più bella, più nitida mai avuta della struttura elicoidale del DNA, ma il cui lavoro, non ancora pubblicato, venne usato da James Watson e Francis Crick a sua insaputa, e senza mai menzionarla, per completare la loro descrizione del DNA con pubblicazioni sulla rivista Nature che valsero a entrambi il Premio Nobel nel 1953.
Oltre alla citata Lise Meitner, che teorizzò la fissione nucleare, c’è poi Hedy Lamarr, viennese naturalizzata americana, una delle donne più belle del mondo, diva di Hollywood con la passione per l’ingegneria, ancora ricordata più per il suo nudo integrale in Estasi del 1933 – il primo della storia del cinema – che per le formidabili invenzioni, tra cui figurano anche un sistema di guida a distanza per siluri, e soprattutto un sistema di modulazione che fu base della tecnologia di trasmissione segnale a spettro espanso, quella usata nella telefonia e nelle reti wireless.
La genesi del progetto nasce dall’ambizione di coinvolgere ricercatrici di professione, in carne e ossa, e portarle a raccontare e condividere le loro esperienze su un palco, nell’idea della regista Marcela Serli. Innovativa è la composizione del cast, che oltre all’attrice Cinzia Spanò, alla danzatrice Noemi Bresciani e a tre musiciste del Conservatorio Tartini, vede sul palco anche la presenza di cinque ricercatrici universitarie, alcune sbavature o imperfezioni recitative sono dovute a quello, ma comprensibili e accettabili vista la forza, la portata e l’autenticità della storia.
Il lavoro, prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro della Tosse di Genova e Compagnia Fattoria Vittadini di Milano che comprende sia professioniste che non professioniste della recitazione, è promosso anche dal CUG dell’Università degli Studi di Trieste, CUG della SISSA – Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste per portare un messaggio fondamentale, in ambito accademico e non: nonostante siano una maggioranza numerica, le donne sono ancora una minoranza, sociale, politica, economica.
È il racconto del quotidiano di queste ricercatrici e l’eccellenza delle loro materie a parlare, ma lungi dal farlo solo con piglio serioso, lo spettacolo ondeggia tra vari toni, affrontando anche il tema con uno stile a tratti comico e irriverente, a tratti cabarettistico, raccontando con passione ma anche con sarcasmo successi e difficoltà che ogni giorno le donne di Scienza si trovano davanti.
È proprio quello del cabaret uno degli stili che funziona di più, come avviene a metà spettacolo, quando c’è un dialogo incredibile tra Marcela Serli, nella veste di regista e donna affermata, che interpreta una versione caricaturale e più ingenua di sé stessa e l’attrice Cinzia Spanò, che fa invece la voce critica e stereotipata della controparte patriarcale. «Ma tu perché vorresti essere pagata come gli uomini, perché? Per comprarti cosa nel concreto?» «Ma non lo so, dei vestiti forse?» «Ma allora lo vedi che sei frivola! Sei donna e quindi sei frivola! Fanno bene a non darteli quei soldi. Lo sai quello che si comprano gli uomini con quei soldi, lo sai? Un trapano. O un Suv».
Varie le provocazioni coinvolte. «Che poi ste femministe no? Se non mi arrivano in quelle posizioni vorrà dire che poi tanto brave non sono. Pensa, pensa se ci fossero state delle donne, a gestire sta pandemia, con tutta quell’emotività che si ritrovano, dai». E momenti in cui esplode tutta la forza del coro, che intona i leit-motiv trainanti della visione patriarcale: «Non è che in questo momento di emergenza, si mettono a fare le cose delle pari opportunità? Non è che adesso mi piazzi una che sa pensare solo allo smalto».
Scorrono i contributi e le riflessioni, come quella di Barbara Negri, astrofisica che ricorda come ancora oggi le donne di successo come Fabiola Giannotti e Margherita Hack vengano ancora presentate spesso come eccezione, non come normalità. Anche il mondo del teatro non è immune al problema. La presenza di attrici sui principali palcoscenici italiani è circa del 30% se comparata con la controparte maschile. Attrici che devono spesso sentirsi dire dal regista uomo come interpretare un personaggio costruito sulle basi di un suo stereotipo femminile, e dato il vasto repertorio della nostra tradizione e la tendenza diffusa nel teatro italiano nel recuperare testi “classici”, si continuano spesso a rappresentare testi scritti, seppur in un’altra epoca, da uomini e per uomini. A portare in scena le loro opere sui grandi palcoscenici sono solo il 15% le donne drammaturghe e registe, eppure le spettatrici, le abbonate, quelle che pagano il biglietto, sono la maggioranza.
«This is a men’s world, but it would be nothing without a woman or a girl», cantano sulle note di James Brown i musicisti del Conservatorio Tartini. «Le donne e gli uomini sono uguali, ma le donne un po’ meno» dice la regista. «Perché siete emotive». «Eh però se le donne sono emotive una volta al mese e quindi non possono fare certi lavori allora come la mettiamo con gli uomini che hanno il testosterone a palla tutti i giorni? Loro non sono emotivi? Che poi se vai a guardare quelli che perdono la pazienza, quelli che gli va il sangue in testa e che ogni due per tre ne fan secca una, son proprio gli uomini». Pausa. «Eh, ma quello è per amore». «Ahh, ecco perché».
“Le Eccellenti” – uno spettacolo sulla vita delle donne ricercatrici, sul loro talento e sulle discriminazioni subite – scritto e diretto da Marcela Serli è disponibile in streaming dal Politeama Rossetti di Trieste. Qui i contenuti extra.