«La comparsa di una nuova variante non avrà un impatto immediato, il vaccino sarà efficace». Paolo D’Ancona, epidemiologo dell’Istituto Superiore di Sanità, riassume così a Zeta la scoperta della variante inglese di SARS-CoV-2.
Cos’è la variante di un virus e quando può definirsi pericolosa?
«È frequente che i virus vadano incontro a mutazioni del genoma, espresse con dei cambiamenti degli antigeni del microrganismo, cioè le componenti che il nostro corpo riconosce estranee. Quello dell’influenza ne è un esempio tipico. La variante inglese di SARS-CoV-2 è venuta alla luce perché presenta numerose mutazioni. È stata ipotizzata una relazione con la velocità di diffusione, grazie a una presunta capacità di penetrare nelle cellule umane con maggior rischio per noi. Un segnale preoccupante, perché potremmo assistere a un aumento dei contagi. Va però detto che, mentre il mondo scientifico si attiva per studiare le implicazioni, le varie ipotesi sono cavalcate con ansia eccessiva dai media. Al momento, infatti, non ci sono prove di un impatto negativo sull’aumento delle vittime e sulla vaccinazione».
Proprio quanto affermato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa)…
«Forse in futuro il vaccino dovrà essere modificato, magari per una diversa variante, ma nei prossimi mesi quelli autorizzati oggi, o in fase di sviluppo, ci proteggeranno dal virus circolante. La preoccupazione è legittima, ma parliamo di una prospettiva futura. Anche se questa variante avesse davvero un impatto negativo, cosa di cui non abbiamo alcun indizio o prova, il problema potrebbe presentarsi a fine 2021. Nel frattempo i vaccini a disposizione abbatteranno la curva dei contagi in maniera decisa, a vantaggio delle persone fragili o che fanno lavori rischiosi».
Le risulta che questa variante possa diffondersi anche tra i giovani?
«Va fatta una premessa: per studiare la mutazione il virus deve essere sequenziato – bisogna cioè capire l’esatta struttura del suo RNA stabilendo la sequenza dei nucleotidi, le unità che lo costituiscono, ndr – . Questo lavoro non viene eseguito in maniera sistematica, ma su un numero limitato di campioni. Nel nostro caso le informazioni sono ancora da acquisire. Se venissero confermate, allora bisognerebbe proteggere i bambini in maniera migliore. Ma lo ribadisco, le ipotesi sono sempre avanti rispetto alla situazione attuale».
Ci sono evidenze che la variante inglese fosse presente già a novembre in Italia?
«No, proprio perché il sequenziamento non è sistematico. Ma il fatto che siamo riusciti a trovare un caso di questa variante inglese vuol dire che la parte diagnostica a nostra disposizione ha funzionato, e questa è una buona notizia».
Oggi Pfizer, a breve Moderna, due vaccini basati sulla tecnologia a m-RNA. In cosa consiste e quali sono gli aspetti positivi e negativi?
«Questi vaccini contengono filamenti di materiale genetico (m-RNA) sintetico che impartiscono istruzioni affinché le cellule del corpo umano producano una piccola parte del virus, la proteina Spike, che attiva il nostro sistema immunitario. Una simile tecnologia non è un’esclusiva dei vaccini anti-Covid, perché studiata anche per il trattamento dei tumori. I vantaggi sono una produzione più ampia e semplice, e un minor rischio per i pazienti La tecnologia Pfizer è però complessa per trasporto e conservazione, perché necessita di temperature molto basse, -80° C. Un punto a favore di Moderna, che dispone invece di un vaccino da conservare in frigorifero, piuttosto che nel congelatore, e che quindi si dimostra adatto per medici di base e pediatri, che potranno tenerlo nei loro studi. Per il vaccino Pfizer è dunque difficile pensare a una campagna di comunità, ma con l’arrivo degli altri candidati non andrà in disuso. La richiesta è tale che bisognerà pensare a diversi usi per ogni vaccino».
Quando tutti i vaccini pre-ordinati dall’Italia saranno disponibili, come si sceglierà quale somministrare? Sembra esserci un ritardo europeo rispetto a Usa e UK.
«La vaccinazione non sarà come andare al supermercato e scegliere un prodotto. Ci sarà quello giusto per ogni contesto, in base alle sue caratteristiche. Se facile da iniettare e conservare, sarà destinato agli studi medici. Negli ospedali e nei centri più attrezzati si potrà utilizzare quel vaccino che, prima di essere somministrato, necessita di una preparazione più complessa. Non credo che la scelta si baserà su due o tre punti percentuali in più di efficacia, oppure sulla maggior frequenza di cefalea o dolore al braccio. Soprattutto nella prima fase la decisione sarà dettata dalla logistica e dalla distribuzione. Quando arriveranno i prodotti autorizzati per i bambini, si ragionerà anche sulla base delle indicazioni specifiche, poiché al momento il vaccino Pfizer è autorizzato solo per i soggetti dai 16 anni in su».
Quanto durerà l’immunità?
«Difficile rispondere, perché la produzione del vaccino è iniziata solo otto mesi fa. Non possiamo sapere per quanto gli anticorpi prodotti dal vaccino resteranno nel nostro organismo. E poi mancano dati di efficacia sul campo, che dicano per quanto tempo i vaccinati saranno protetti rispetto ai non vaccinati. Sicuramente gli oltre 22.000 partecipanti alle sperimentazioni che hanno ricevuto il vaccino e che saranno seguiti per due anni ci daranno un’indicazione».
Chi farà il vaccino potrà essere ancora contagioso?
«Servono studi mirati per saperlo. Finora tutti i lavori si sono concentrati sulla gravità della patologia e sulla sua mortalità. Nei prossimi mesi saranno valutati i risultati dei tamponi degli individui vaccinati, e vedremo se questi avranno contratto la malattia e se il virus sarà ancora presente in sede nasofaringea. Non si sa se una persona positiva al test, ma con una carica virale bassa, possa essere contagiosa. Tra gli effetti della vaccinazione potrebbe esserci proprio la riduzione della carica virale. Ma lasciatemi rimarcare un concetto fondamentale: un vaccino non induce la malattia, né la diffonde. Il vaccino protegge».
Quanto bisognerà aspettare perché i vaccini ci facciano finalmente tornare alla normalità?
«Intanto dobbiamo riuscire a portare avanti la campagna di vaccinazione. Ad oggi abbiamo solo un vaccino a disposizione e un numero limitato di dosi che aumenterà progressivamente. Il secondo fattore è la predisposizione della popolazione a farsi vaccinare. Sarà un processo graduale, dai sanitari e dai soggetti più fragili in poi; l’obiettivo è arrivare al prossimo inverno con una copertura del 70%. L’allentamento delle misure avverrà in base al livello di circolazione del virus. Quando in Italia riprenderemo il controllo della curva epidemica e scenderemo sotto i 5000 casi al giorno, si potranno allentare le misure e potenziare il tracciamento dei contatti dei casi, misura indispensabile per un controllo della circolazione del virus».