«È una figura di assoluto prestigio nel mondo democratico, ma la nostra discussione sarà a tutto campo. Nessun nome è escluso». Le 48 ore che Enrico Letta si è dato sono scadute: l’ex premier ha sciolto la riserva venerdì mattina, candidandosi ufficialmente alla segreteria del Pd. Ma le minoranze interne al partito non si rassegnano: «Non serve un salvatore della patria, serve una figura che ci accompagni a un congresso che va fatto il prima possibile. Sarà quello il momento per darsi una linea rinnovata» spiega Andrea Romano, portavoce di Base riformista, gli ex renziani rimasti nel partito.
Da giorni è in atto un braccio di ferro tra le correnti del Pd, con Letta che preferisce aspettare l’accordo prima di annunciare la sua discesa in campo. Poi ci sarà il passaggio in assemblea nazionale, convocata per domenica. L’ex presidente del Consiglio, oggi professore a Sciences Po, pone due condizioni: che il sostegno alla sua candidatura sia il più unitario possibile e che il congresso previsto per il 2023 resti fissato per quella data.
Nel frattempo, in tanti sono al lavoro. Tra i più attivi Dario Franceschini, che vorrebbe un segretario eletto all’unanimità e punta a coinvolgere Base riformista. La corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti è compatta e insoddisfatta: il ritorno dell’ex premier al Nazareno garantisce la continuità politica con Zingaretti sia per quanto riguarda il rapporto con i 5 stelle che per la distanza da Matteo Renzi.
«Letta potrebbe portare equilibrio e saggezza alla guida di una squadra di uomini e donne. Ma è inevitabile che il Pd arrivi a una vera discussione congressuale in tempi rapidi – insiste Romano – Come tuteliamo il lavoro e le nuove fragilità sociali? Quali alleanze servono al centrosinistra e su quali basi? Il Pd deve rispondere con serietà e profondità».
Qualche cautela sul nome dell’ex premier arriva anche dalla sinistra del partito. Da Andrea Orlando, che con Letta vedrebbe sfumare la possibilità di candidarsi a segretario in tempi rapidi, e soprattutto da Matteo Orfini, leader dell’altra minoranza dem: «Serve un segretario unitario in cui tutti possano riconoscersi in vista di un congresso che va fatto appena finisce la pandemia» diceva ieri Francesco Verducci, altro esponente dei Giovani turchi.
Tolte le due minoranze interne, l’entusiasmo per Letta è però incontenibile. Se per Nicola Zingaretti è «una figura forte che assicura la continuità della linea politica», sui social e tra i parlamentari è tutto un coro di complimenti. «Sarebbe una soluzione alta, autorevole e solida. Lo aspettiamo al più presto – dice Pina Picierno, europarlamentare del Pd – Non torniamo alle origini ma dobbiamo farne tesoro: con Enrico avremo una forza popolare, riformista e riformatrice».
Per evitare di finire all’angolo, Base riformista ha rilanciato con l’ipotesi di una donna alla guida del Pd, soluzione che per Romano «sarebbe un vero segnale di rinnovamento e di rottura delle logiche correntizie». Il nome che si è fatto è quello di Debora Serracchiani, vicepresidente del partito; un’opzione che però sta perdendo quota. Difficilmente all’assemblea di domenica Letta avrà un vero sfidante: la sua richiesta di sostegno unitario impone che sia lui l’unico candidato. Altri aspiranti leader dovranno saltare un turno.