Dove vivono Samir ed Elena, i fiori sono sempre freschi. Nessun balcone a ospitarli, solo una piccola porzione di marciapiede, «la più pulita di tutto il quartiere romano di San Lorenzo», precisa lui. Quei vasi pieni di colore formano il perimetro perfetto della loro dimora: guai a chiamarla “baracca”, «casa è ovunque tu ti senta al sicuro, no?». Il tetto è uno di quei teli che si usano per coprire le auto. È verde, come le piante, ma non abbastanza grande da ripararli dalla pioggia: ecco quindi un ombrello – verde, ancora – a tappare il buco.
«Mio marito non c’è», taglia subito corto Elena, dopo aver accettato il panino e l’acqua senza alzare la testa. Neanche il tempo di realizzare che a quella donna così minuta mancano tutti i denti, che dai vasi esce un uomo. La statura è media, il sorriso enorme. «Grazie, grazie, gentilissimi», commenta guardando la busta con i viveri. «Molte persone si fermano a guardare la nostra casa, incuriositi. Ho fatto di tutto per renderla accogliente, ho diviso anche l’area giorno dall’area notte, non mi piacciono gli open space», spiega.
Samir ha 37 anni, è albanese, ma è cresciuto a Brescia. È stato adottato quando era ancora piccolo da quelli che per lui sono i suoi veri genitori: «Non ho buoni rapporti con la mia famiglia di origine», chiarisce. Dopo un’adolescenza trascorsa nel capoluogo lombardo, a 18 anni va via di casa: «Mi ero innamorato di una donna. Faceva la modella per stilisti come Armani e Versace, e anche a me è capitato di fare qualche sfilata. Adesso, vedendomi, non lo direste mai, ma ero un figurino». Poi, una separazione dopo l’altra: «Quando io e la mia compagna ci siamo lasciati, sono caduto in depressione. Le ho dato oltre 200 mila euro per il mantenimento di mio figlio e l’acquisto di una casa. Nel frattempo, sono morti i miei genitori. In un attimo, avevo perso tutto».
Gira tutta l’Italia, fino ad arrivare a Roma, dietro stazione Termini, che con i suoi treni si riempie e svuota di gambe e braccia sempre diverse. «Qui ho conosciuto molte persone, con il tempo hanno imparato a volermi bene». Ma soprattutto, qui incontra Elena. «Tra i tanti che vivevano con poco, c’era questa ragazza. Era schiva, stava sempre da sola, mi ha colpito. Sentivo il bisogno di proteggerla, di prendermi cura di lei. Ci ho provato, lei c’è stata». Samir ride, compiaciuto.
I due cercano subito un nido: «Ci siamo spostati qui, a ridosso delle mura di San Lorenzo, e ci siamo costruiti questa casetta. Volevamo stare lontano dagli spacciatori, dagli ubriaconi e dai drogati che popolano la zona», continua mentre si gira un altro drum. «A noi piace vivere con dignità, non rubiamo, non chiediamo l’elemosina. Forse proprio per questo le persone si fidano di noi e ci danno qualcosa da mangiare. Addirittura una signora, la scorsa estate, ci portava una doccia termica per permetterci di lavarci. Anche le Forze dell’ordine ci rispettano, sanno che non facciamo nulla di male», sottolinea.
Ogni mattina, Samir prende l’autobus diretto a Fidene, nella periferia nord di Roma, e gira tra parrocchie e associazioni che cercano volontari per pulire gli ambienti pubblici. «Mi piace darmi da fare e tenermi attivo – continua. Quando ero ancora a Termini, proponevo ad altri senzatetto di fare volontariato insieme a me, ma tutti si rifiutavano e mi prendevano per pazzo». Elettricista, carpentiere, falegname: quell’uomo dalla risata sguaiata non hai mai rifiutato un lavoro. «Prima di fare questa vita, riuscivo a percepire anche 1000/2000 euro al mese, adesso mi sono ritrovato a chiedere il reddito di cittadinanza. Non ne vado fiero. Perché devo stare fermo e prendere dei soldi, quando potrei guadagnare di più facendo quello che so fare?». Mentre parla la sigaretta tra le dita si muove, frenetica, prima a destra, poi a sinistra.
Non quattro mura in cemento armato, solo il cielo sopra la testa e la strada sotto i piedi. Il sogno di Samir è «racimolare 7-8 mila euro per comprare una roulotte. Mi piace viaggiare – dice – guardare il mondo. L’Italia l’ho girata un po’ tutta, ho vissuto anche in Grecia e in Costa Azzurra. Mi manca. Con l’arrivo della pandemia, poi, le cose si sono complicate». Gli occhi si fanno piccoli.
In casa della coppia ci sono pile di coperte e pacchi di mascherine ovunque. «Non sopporto due cose: il freddo e chi sottovaluta la pericolosità del virus. Siamo in guerra, anche se non si sente il rumore delle bombe». Ma non solo: «Detesto quelli che fotografano dove vivo senza chiedermi il permesso. Neanche fossi un fenomeno da baraccone». Le foto, se chieste con gentilezza, vanno bene, purché lui non compaia: «Non voglio che mio figlio o i miei parenti in Albania mi vedano così. Io non sono un barbone, ma loro potrebbero pensarlo guardando dove vivo».
Mentre Samir parla, Elena è in casa. «È un po’ strana, lo so, ma la sto aiutando. Vorrei tanto farle rimettere a posto i denti, so che la farebbe sentire un po’ meglio», spiega guardando quella piccola donna così schiva. D’un tratto, lei esce senza salutarlo. Lui la osserva da lontano. Sorride.