«Non ho idea di come e perché un errore di pronuncia possa trasformarsi in un gancio per far sbizzarrire la mente di un uomo su questioni sessuali, ma così è stato». Con queste parole la giornalista di Skytg24, Cristiana Mancini, commenta gli sviluppi di un episodio accaduto lo scorso dicembre. Durante il telegiornale, parlando di vaccini, la conduttrice ha erroneamente pronunciato una parola, scambiando la lettera “c” con la “g”. Da quel momento i commenti su di lei si sono scatenati: prese in giro divertenti, altre offensive, altre ancora a sfondo sessuale.
«Ho ricevuto messaggi di ogni tipo, e non scendo nei particolari. Chiamate pesanti sul mio cellulare, tanto che è stato necessario sporgere denunce. Sono stata raggiunta anche sotto casa. Non sono stati mesi facili. Il problema è che tutta questa pressione mi ha fatto sbagliare altre due volte: più aumentava la visibilità, più cresceva anche la mia paura di sbagliare. Dopo la terza volta ho dovuto fermarmi, non conduco il telegiornale da un mese».
L’episodio di Cristiana è solo uno dei tanti che accadono e di cui si parla troppo poco. Molte giornaliste sono vittime di molestie sia online che offline, da parte di utenti e di colleghi di lavoro. Sessismo, svalutazione della persona, discriminazione: un mondo sommerso che troppo spesso facciamo fatica a riconoscere e ad ammettere, ma che coinvolge più donne di quanto si pensi.
L’85% delle donne che lavorano nel mondo dell’informazione ha subito molestie sul lavoro nel corso della propria vita professionale. È quanto emerge dall’indagine sulle molestie sessuali contro le donne nel mondo dei media condotta in Italia dalla Commissione pari Opportunità della Fnsi, la Federazione nazionale della stampa italiana. Lo studio si riferisce al periodo che va dal 14 gennaio al 25 marzo 2019 e ha coinvolto giornaliste dipendenti che lavorano in tv, quotidiani, radio e agenzie. Questo numero assume ancora più rilevanza se paragonato al dato Istat (indagine 2015-16) sulle molestie e ricatti sessuali sul lavoro subiti nel corso della vita dalle lavoratrici di tutti i settori: il 44%, quasi la metà.
L’80,7% delle donne e ragazze raccontano di essere state oggetto di “battute, sguardi e insulti” sessisti, il 51,9% di aver ricevuto “inviti insistenti, richieste, pressioni”, il 35,4% di aver ricevuto dei veri e propri ricatti sessuali. Questo ultimo dato risulta essere più presente al momento dell’assunzione o della ricerca di lavoro. In riferimento al totale delle donne lavoratrici, la percentuale si attestava nel 2015-2016 al 7,5%.
È proprio nella fase iniziale che cominciano le difficoltà e i compromessi richiesti. «Ti si fa capire che se vai a cena con lui ti si possono raccontare delle cose, come mi è successo in Libano – racconta la giornalista ed economista Mariangela Pira – Ma sono atteggiamenti paternalistici che non sai mai bene dove vanno a sfociare. Danno molto fastidio, perché sono occasioni di lavoro che rischi di perdere. Ti rimane molta dignità e non sei vendibile, ma sei in condizione di disagio, perché vorresti imparare. Ti costringono a scegliere ed è frustrante. Sanno di metterti in difficoltà. Ci sono molto spesso giornaliste inesperte che avrebbero bisogno di essere guidate da uomini maturi, invece così non c’è mai una mano d’aiuto veritiera».
Con la maturità raggiunta, Mariangela ha notato che i colleghi le hanno mostrato più rispetto. «È una questione di riconoscere ruolo e credibilità. Quando ero più giovane mi sono capitati tanti episodi, anche bonari, come in Afghanistan con i militari, o con i colleghi giornalisti o con le persone delle istituzioni in loco». L’atteggiamento più comune è quello di un aiuto non onesto.
Si tratta di un fenomeno diffuso, non solo nel giornalismo, e non solo nel giornalismo televisivo. «Immaginiamo di essere in un ufficio postale a Castellammare: arriva una bella ragazza giovane. Lei sicuramente riceverà, anziché aiuto, delle avance, oppure riceverà degli aiuti con un sotto messaggio». È pur vero che in televisione si gioca sull’apparenza, e tutto questo può sembrare accentuato, ma il fenomeno avviene dappertutto: pensiamo all’ambiente bancario, alla grande finanza, luogo di appannaggio quasi esclusivamente maschile, ai consigli di amministrazione. Gli amministratori delegati donne nelle società quotate sono un nocciolo rispetto alla percentuale abnorme maschile. «Possiamo fare tutte le leggi che vogliamo, ma solo con una cultura differente potremo migliorare. La cultura è data dallo studio, dall’educazione dei genitori, da una madre che ti dice come devi trattare uomini e donne, alla pari. Tutto questo è frutto di educazione in casa e a scuola».
Il lavoro (non) nobilita l’uomo
Il 72,3% delle giornaliste ha subito molestie sessuali all’interno di un contratto a tempo indeterminato, il 17,6% con un contratto a tempo determinato, il 9,9% da collaboratrice. Quando ha subito le molestie, la maggior parte lavorava in quotidiani (45,2%) e in tv (36,5%).
Dal punto di vista dell’ambiente di lavoro e del tipo di contratto, le giornaliste hanno subito molestie – che siano anche solo battute- prevalentemente sul posto di lavoro e davanti ad altri colleghi.
Per quanto riguarda l’età non c’è una fascia in cui le molestie sono più diffuse, è un fenomeno che coinvolge tutte le età. Diverso invece per il molestatore, che per la maggior parte dei casi è un uomo di 45 anni ed è il diretto superiore della vittima (il 26,9%).
Poche giornaliste, però, denunciano le molestie subite: il 60% ne ha parlato con amici o altri colleghi. Tra i motivi principali per cui non si denuncia c’è il pensiero che “il fatto non era abbastanza grave, successo una volta sola” (42,8%). L’autore della molestia, inoltre, non subisce conseguenze e nel 25% dei casi ha molestato altre donne. Il 44% ha dichiarato che altre colleghe hanno subito molestie sul posto di lavoro.
Mariangela non ha avuto esperienze di veri e propri molestatori, ma anche le battute in redazione non sono sempre state gradite e adeguate. «Una volta un collega mi ha detto: “Ma che buon profumo, è per caso Rem?”, e lo aveva anche indovinato. Io mi sono avvicinata, ho fatto finta di annusarlo, come aveva fatto lui con me, e gli ho detto: “Io il suo non lo riconosco, è per caso pino selvatico?”. Volevo fargli capire come fosse stato fuori luogo. Lui si è stranito. “Il mio era un complimento”, ha detto. “Anche il mio”, ho risposto. Ma lui non aveva capito, pensava di aver fatto una gaffe. Credo che nessuno entrerebbe in studio da Mentana chiedendogli che profumo indossa, e perché qualcuno lo dovrebbe fare con me? Non è scontato che io debba essere attratta da un tuo complimento, vivo bene anche senza. Tutte queste cose avvengono ogni giorno, e vanno combattute».
Dato ancora più sconcertante è che solo il 27% delle giornaliste sa che nelle aziende è in vigore il codice anti molestie, il 45% non lo sa.
“Tutti questi dati – ha affermato Linda Laura Sabbadini, la statistica che ha supervisionato il report – concorrono a creare un clima sociale pesante tra le donne nello svolgimento del loro lavoro. Più del 70% ha considerato gravi le molestie subite. Già solo questo dovrebbe far riflettere. I dati sono orientativi e vanno presi con cautela, ma segnalano la necessità di un’attenta riflessione e azione seria da parte di chi è a capo dei media e degli editori. Questa situazione prefigura l’esistenza di dispari opportunità. Il disagio delle donne è evidente e non può più essere sottovalutato”.
La libertà finisce dove cominciano i social
Molte molestie sono state subite attraverso gli schermi del telefonino o del computer: il 19,6% ha ricevuto commenti sessuali per email, sms o sui social media. Nel complesso il 26,6% ha ricevuto gesti osceni, telefonate oscene, commenti sessuali sui social, via email e sms, nel corso della vita.
«Facile nascondersi dietro una tastiera o un telefono. A volte si pensa che le offese rivolte via Internet siano indirizzate non a un individuo concreto, – afferma Cristiana- ma a un interlocutore astratto che non ha reazioni e non prova dolore. Questa spersonalizzazione è un effetto collaterale dei nostri amati social, dove tutti hanno un’idea su tutto e si sentono tenuti a condividerla».
Ma non solo Cristiana si è trovata nel mirino del sessismo social. Mariangela Pira, alcuni mesi fa, ha girato un video d’ informazione su Linkedin, come fa solitamente. Questa volta però ha avuto una reazione inaspettata da parte degli utenti. Colpa, l’aver dimenticato la giacca in studio tra una diretta e l’altra e aver registrato con una maglietta considerata da molti osè.
«Non pensavo certo di scatenare commenti volgari. Molti erano “non pensavamo che tu avessi la quarta”, “per favore fallo più spesso”, uno addirittura ha scritto “ti metto in muto e ti guardo in bagno”».
Quello che ha più sorpreso la giornalista è che su Linkedin ci sono tante informazioni sugli utenti, che di certo non sono irriconoscibili. Il social network, però, si è subito mosso per eliminare i commenti. «Io l’ho molto apprezzato e dovrebbero farlo tutti. Non è che perché si è protetti da uno schermo non si debbano usare le regole della buona educazione».
Tutti sono responsabili e i social hanno una loro forma di responsabilità. Mariangela adesso racconta l’episodio con tranquillità, ma all’epoca è stata male. «Non pensavo che sotto la mia pagina ci potessero essere commenti volgari, che io non ho mai alimentato. Non sono una persona ammiccante, ma anche se lo fossi dovrei essere rispettata. Io vorrei vivere in un mondo in cui figlie, nipoti, abbiano la libertà di fare ciò che vogliono senza essere oggetto di frasi così pesanti e sessiste. Bisogna dire basta a questi comportamenti».
La parità passa anche attraverso i simboli
Dire che le cose non sono migliorate sarebbe scorretto. Dei passi in avanti sono stati compiuti per esempio dagli anni ‘80, quando c’era l’allora prima ministra britannica Margaret Thatcher. Oppure guardiamo alla cancelliera tedesca Angela Merkel: «lei non scende tutte le mattine in piazza a urlare femminismo, anzi, non l’ha mai fatto. Si è posta però sempre in modo assertivo, convincente, credibile. Al momento secondo me è la statista migliore in Europa. Ha stretto la mano a nove presidenti del Consiglio italiani, rimanendo sempre lì a rappresentare una bandiera. Quando mai sarebbe stato possibile anni fa? Alla guida dell’economia più importante d’Europa c’è una donna, e probabilmente chi le succederà non sarà bravo quanto lei». O anche la vicepresidente americana Kamala Harris. «Diffidate da chi vi dice che la carica di vicepresidente vale meno di quella da presidente e quindi non conta. Non è così, perché oggi una bambina che nasce negli Stati Uniti e vede che la vice è una donna può dire: “Ambisco a quella carica”. Non è poco. È un cambiamento radicale rispetto a prima, così come prima un africano non poteva sognare di diventare presidente degli Stati Uniti. I simboli, lo studio e la cultura sono importanti, perché i tuoi percorsi di studio li basi anche su ciò che ti ispira, su ciò che vedi e dici: “Sì, posso diventare come lei”».
Cristiana è dello stesso parere: «Prima di tutto noi donne dobbiamo iniziare a pensarci, e a pensarla, in modo diverso. Non abbiamo diritto ad un lavoro o a un riconoscimento per il semplice fatto di essere donne. Ciò per cui dovremmo combattere è la possibilità di competere ad armi pari, di poter dimostrare il nostro valore intrinseco e di poter accedere a quei ruoli e ottenere quelle competenze che ci metterebbero in grado di dimostrare quanto valiamo. E poi la solidarietà: facciamo gruppo, stiamo insieme. Spesso siamo più cattive degli uomini nei nostri commenti. Dovremmo rispettare le altre donne a prescindere dalle loro scelte: rispetto per chi ha figli, ma anche per chi ha scelto di non averne. E questo deve valere anche sul lavoro: chi non ha figli ha diritto al suo tempo libero tanto quanto chi lo impiega trascorrendolo con i suoi bambini».
Questo si nota anche nella meritocrazia, come racconta Mariangela. «Cominciano a esserci più ministre donne. Il problema è che sembra sempre un contentino che tu devi dare, invece dovrebbe essere meritocratico: è bravo un uomo, passa un uomo, è brava una donna, passa una donna. Con la differenza che l’uomo passa comunque, noi solo se siamo veramente molto brave. A parità di meritocrazia spesso le donne iniziano a passare, ma a parità di persone le donne passano sempre molto meno. Magari passa l’uomo idiota, però uomo».
Noi giornaliste e donne giudicate
Dal punto di vista delle giornaliste, secondo Cristiana, non si commenta solo la loro preparazione: «diventa normale commentare anche l’aspetto. Basta fare un giro sui siti dedicati alle giornaliste, ed in particolare alle telegiornaliste, per rendersi conto dell’attenzione che viene data all’aspetto. Ci sono anche competizioni per scegliere la giornalista più sexy. Nessuno nega il fatto che a parità di competenze si possa puntare sull’aspetto, ma il fatto è che in una certa parte del pubblico maschile non si tratta solo di preferenze estetiche, ma di un’attenzione morbosa. Non mi pare che questo tipo di problemi si verifichi anche in senso contrario, cioè relativamente ai colleghi maschi».
Anche per Mariangela l’attenzione è morbosa, ma anche passeggera. «Penso sia legato al fattore presenza fisica e alla mentalità maschile. L’effetto contrario non c’è: ci sta il commento a Brad Pitt o all’attore fichissimo, ma noi donne non creiamo pagine social continue e pesanti. È un modo di vedere le cose in maniera diversa e un modo di posizionare la donna nella società in quanto immagine in modo diverso. È il motivo per cui una donna quando sbaglia viene incolpata e insultata per altro, l’uomo viene criticato invece sull’errore. Questo vale nel giornalismo, con ad esempio la collega Lucarelli, così come in politica, con la Meloni, la Carfagna, la Boldrini. C’è l’idea che se sbagli in quanto donna vieni criticata non sul merito, ma facendo pesare altro».
Alla domanda su cosa abbia provato quando ha subito le molestie Cristiana ha risposto: «Tristezza e rabbia insieme. La tristezza profonda che provo davanti alla povertà dell’animo umano: sempre pronto a commenti e giudizi, soprattutto su materie che non conosce. E mai capace di un gesto di compassione o di un atto di fiducia. Quando poi viene invasa la propria sfera personale si ha la sensazione di essere continuamente osservati da qualcuno che non riconosciamo. Una sensazione di netto dislivello. Alcune volte paura, per me stessa e per la mia famiglia. E poi arriva la rabbia, il desiderio di giustizia che ci fa reagire e denunciare. Perché nonostante quanto vogliono farci credere, non è tutto concesso. La voglia di liberarsi di chi ci opprime e ci costringe a limitare la nostra libertà e a cambiare le nostre abitudini».
“Vuoi avere figli?”
“Ti hanno rivolto domande inopportune o invadenti riguardo la tua vita privata che ti hanno infastidita o offesa?”. A questa domanda il 54,8% ha risposto sì, senza sapere, probabilmente, che chi ha posto la domanda stava violando una legge.
Esiste un decreto legislativo del 2006 che si chiama ‘Codice delle pari opportunità’ e che all’articolo 27 stabilisce il divieto di “qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione (…) anche se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive”.
Da Biancaneve a Hermione: il cambiamento parte dalla cultura
«La cosa che si dovrebbe cambiare- ha affermato Mariangela- è l’atteggiamento di responsabilità personale. Ci possono essere tutte le regole e i provvedimenti del mondo, ma finché il collega si sentirà in diritto di dire: “Ma che bella che sei oggi vestita così”, cosa che non diresti mai a un collega uomo, vivremo sempre in un mondo in cui arriverà la stagista che riceverà, anziché aiuto, le avance dall’uomo. Oppure: “Oggi sei abbronzata, sembri una sarda vera”. Stiamo parlando di banalità, però queste banalità nascondono dei sotto messaggi pericolosi. Bisogna cambiare la mentalità delle persone, e crescere. Questo problema si risolverà con il tempo, tra qualche generazione. Adesso chi sta alle elementari legge favole diverse: chi legge Harry Potter vede la partnership con Hermione, prima si leggeva di Biancaneve che veniva salvata.
Dobbiamo lasciarci alle spalle anni di cultura, compresi fumetti, fiabe, mitologia, in cui le donne erano senza voce. Solo il tempo può guarire questa situazione e nel frattempo bisogna agire, essere assertive, trovare un nostro ruolo, una nostra idea di potere che non sia simile a quella maschile, ma che sia ritagliata su di noi».
Anche per Cristiana il cambiamento deve partire dalla cultura: «L’istruzione è la chiave per una società egualitaria. Mettere a disposizione di tutti le conoscenze significa colmare non solo un divario educativo collegato a una differenza di genere ma creare una società dove nel tempo potranno essere livellati i divari di genere, che alcune volte vengono proprio da condizionamenti familiari. Se oggi non ci sono molte donne in posizioni di potere dipende anche dal fatto che sono poche le donne che hanno potuto studiare, e di conseguenza competere, per quelle posizioni. A volte però dipende anche dalle donne e dalla fiducia che nutrono nelle loro capacità. Non chiediamoci se possiamo farcela, perché la risposta la conosciamo già. Certo che possiamo!».
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