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Esclusiva

Marzo 8 2021.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 31 2021
Non è una stampa per donne

Tante le donne nelle testate ma poche ai vertici. Alcune delle giornaliste italiane di maggior successo si confrontano su come l’Italia, e i suoi organi d’informazione, non siano ancora un posto per donne

Secondo quanto emerge da uno studio condotto del Reuters Institute e dall’Università di Oxford su duecento grandi organi d’informazione presenti in quattro continenti, è chiaro come la maggior parte dei direttori delle testate del campione siano uomini. Inoltre, ci sono meno donne nei ruoli apicali rispetto alla percentuale di donne impiegate nel settore come redattori ordinari. Questo è in linea con altre ricerche che riportano di una certa segregazione verticale nell’industria dell’informazione.

La presenza femminile nelle redazioni è di particolare importanza poiché, informando l’opinione pubblica, i media hanno il dovere di trasmettere un quadro quanto più veritiero della realtà in tutte le sue sfaccettature e dando spazio a tutte le sue diverse voci.

«Dal momento in cui nell’informazione manchi una metà del cielo, l’opinione pubblica che si va a formare è manchevole», dice Giovanna Pancheri, corrispondente dagli Stati Uniti per SkyTg24, che durante il webinar di Fuori Quota sulla parità di genere e il ruolo dell’informazione – introdotto da Maurizia Iachino – ha fatto anche il punto sul ruolo delle donne nella politica americana. Fuori Quota è un organismo no profit che si impegna in azioni proattive per l’empowerment del talento femminile e il superamento dell’iniquità della disparità di genere.

«Negli ultimi anni si è assistito ad un sempre maggiore coinvolgimento delle donne nella politica americana. Anche nel mondo Repubblicano c’è un cambiamento in atto da questo punto di vista. I Repubblicani hanno eletto il maggior numero di donne al Congresso e anche Trump ha avuto sempre donne fra le collaboratrici più strette. Joe Biden sta facendo partecipare Kamala Harris a tutte le sue riunioni, anche ai briefing dell’intelligence. Una cosa non scontata. Ha voluto essere un presidente di rottura mettendo le donne in posti chiave e creando il gabinetto più diverso della storia americana. Le donne poi, come ormai si sa, hanno avuto un ruolo nella sconfitta di Trump».  

«La copertina con Lucia Annibali [l’avvocatessa pesarese sfregiata con l’acido nel 2013, ndr] è una di quelle di cui vado più fiera», dice Diamante D’Alessio, ex-direttrice di Io Donna. «Lucia Annibali nel 2014 era ancora un tema difficile da trattare sulla copertina di un femminile. È chiaro che i femminili devono fare mentorship e puntare sull’empowerment delle donne parlando con un tono di voce meno femminista ma più femminile, creando un rapporto con le lettrici». E lancia una provocazione: «Io non ero a favore delle quote rosa, ora lo sono. Credo che le quote rosa debbano essere applicate anche ai giornali. Chi fa desk e decide i pesi da dare alle notizie dovrebbe avere in mente la parità tra opinionisti uomini e donne. Per un’Ilaria Capua ci sono 20-30 esperti uomini, la Capua sicuramente non sarà l’unica a conoscere bene la materia di cui parla».

La questione delle quote rosa ha improntato tutto il resto del dibattito con Fiorenza Sarzanini, vice direttrice del Corriere della Sera e capo dell’ufficio di Roma, che sostiene un parere al riguardo diverso da quello delle altre convenute. «Io vado un po’ controcorrente forse perché avendo sempre fatto cronaca nera e giudiziaria sono anche condizionata dall’ambiente in cui ho lavorato. Sono contraria alle quote rosa. Già il fatto di istituire i numeri per cui le donne devono essere occupate è una discriminazione. Anche noi ci dobbiamo mettere in gioco e non rinunciare alle occasioni che ci vengono proposte, come è accaduto spesso con alcune mie amiche». «Quando facciamo questi discorsi non dobbiamo mai porci come vittime trattando noi stesse come una specie da proteggere o salvaguardare con delle quote specifiche. Per questo sono contraria alle quote e favorevole alla meritocrazia».

E dopo 131 anni di attività il Financial Times, uno dei più importanti quotidiani economici al mondo, ha scelto una donna, Roula Khalaf, come sua direttrice, segnando un importante precedente per il mondo dell’informazione. «L’arrivo di una donna come direttrice ha costretto il giornale a interrogarsi su diverse tematiche. Il Financial Times è uno di quei giornali collegati all’establishment britannico con redattori bianchi, uomini e laureati a Oxford», spiega Silvia Sciorilli Borrelli, la prima corrispondente italiana a Milano del quotidiano britannico. «Ci sono poche persone di colore e poche minoranze religiose. Siamo un gradino oltre il dibattito sulla parità di genere ma quest’ultimo esiste comunque, perché le donne all’FT guadagnano sempre un 22% in meno rispetto ai loro colleghi maschi. C’è una grande attenzione a questi temi. Anche la mia assunzione si inserisce in questa riflessione».

In Italia, invece, Agnese Pini è una delle poche donne a capo di un quotidiano, il giornale fiorentino La Nazione. Anch’essa ospite del webinar di Fuori Quota ha parlato dell’importanza di attrarre le lettrici attraverso un quotidiano che parli anche di loro e che coinvolga sempre più firme femminili. E quando le viene chiesto della polemica su Beatrice Venezi a Sanremo, che ha chiesto di essere chiamata “direttore” d’orchestra, anziché “direttrice”, risponde: «A me piace “direttrice” perché la lingua italiana prevede un femminile e lo scelgo anche in segno di rispetto alla lingua che parlo. Poi, siccome ci sono poche donne in ruoli dirigenziali, lo trovo un modo giusto per sottolinearlo».