Direttora? Direttrice? Per la britannica Reuters, nessun dubbio: Editor in Chief, uomo o donna che sia. Alla direzione della storica agenzia di stampa, dal 19 aprile, sarà Alessandra Galloni. È la prima volta in 170 anni che il vertice della testata non è al maschile. 47 anni, quattro lingue (inglese, francese, spagnolo, italiano), romana ma “global”: dopo il diploma in Italia, una laurea all’università di Harvard nel 1995 e il master alla London School of Economics nel 2002. Curriculum di prestigio, che punta sull’economia, ma sempre a fuoco sul giornalismo.
L’esordio proprio nell’agenzia londinese, dove si occupa della versione in lingua italiana delle notizie; poi, l’approdo al Wall Street Journal, dove lavora dal 2001 al 2013 come editor e corrispondente da Roma, Londra e Parigi, specializzandosi in economia, politica e finanza. Infine, il ritorno a Reuters, nel 2013, come caporedattrice del sud Europa; poi, la promozione nel 2016 a global news editor (caporedattrice centrale dell’ufficio dei corrispondenti), prima di assumerne la direzione.
Parlando di sé, Alessandra Galloni si definisce un’eterna indecisa. Alla consegna del premio giornalistico Lawrence Minard Editor Award della Gerald Loeb Foundation, nel 2020, dichiarò: «Penso troppo a che indossare, che mangiare, che dire. Mi pento di una cosa subito dopo averla fatta». Sul lavoro, però, tutto cambia: «Dalla scuola media in poi, non ho mai voluto essere nient’altro che una giornalista, e dopo il diploma ho sempre lavorato in una redazione. Mi sono divertita tantissimo in questi anni. Ho scritto e curato storie su agricoltori, operai, stilisti, vescovi, banchieri, barbieri; piloti e politici; rifugiati e nonni; assassini e persino magnati del latte».
Quale il peso della famiglia nel suo percorso? «Non ce l’avrei fatta senza mio marito Marco, che mi ha aiutato a fare i bagagli per le mie avventure, ma anche tenuto con i piedi per terra, e nutrito. I miei genitori, Remo e Francesca, il mio porto sicuro, che grazie al loro aiuto mi hanno permesso di tornare a lavorare dopo le maternità. Alice e Lorenzo, i miei figli, non mi hanno rallentato, al contrario: mi hanno spinto a fare di più, e meglio».
Galloni sarà a capo di 2450 giornalisti, una delle più grandi redazioni al mondo. Lavorerà dalla sede centrale di Londra con l’obiettivo prioritario, da lei annunciato, di potenziare il comparto digitale e l’organizzazione di eventi giornalistici. «Per 170 anni, Reuters ha stabilito lo standard per un’informazione indipendente, affidabile e globale – ha dichiarato la neo direttrice dopo l’annuncio della sua nomina – è un onore guidare una redazione di livello mondiale piena di giornalisti di talento, dedicati e stimolanti».
Sulla carta, un profilo interessante per la guida di qualsiasi grande testata italiana. Ma non nella realtà. Per Lucia Annunziata, ex presidentessa della Rai ed ex direttrice dell’HuffPost Italia e del Tg3, «i mezzi tradizionali nel nostro Paese sono ancora nelle mani di proprietari anziani, che amano più il controllo che l’innovazione e non si assumono rischi; inoltre, i media di gamma alta sono ancora un club esclusivo, gli editori sono chiusi al cambiamento». La nomina, però, è positiva per tutti: «È un’italiana, ma ha studiato e lavorato soprattutto all’estero. Si tratta di un premio al percorso dei tanti giornalisti e giornaliste che si sono affermati sul mercato globale».
Una direzione che, secondo Annunziata, potrebbe essere da stimolo soprattutto per i giovani: «È importante che sia una donna, ma anche che rappresenti il simbolo del giornalista internazionale, non più legato solo al proprio Paese, tipico della sua generazione e di quelle successive. Testimonia che ci muoviamo su un terreno competitivo dove si può eccellere a prescindere da dove si è nati».
Il mercato del lavoro italiano, di contro, sembra meno aperto di quello internazionale per le donne. Quel “soffitto di cristallo” (in inglese, glass ceiling) che sovrasta la testa delle professioniste, impedendo loro l’avanzamento di carriera, è una realtà. «Si sono aperti dei buchetti – spiega la giornalista – ma per tantissimo tempo nel nostro Paese la direzione della carta stampata è stata appannaggio esclusivo degli uomini. Considerando gli insuccessi di molti giornali, potrebbero quasi pensare di nominare una figura femminile al vertice, se non altro come “esperimento”».
Uno scenario confermato dai dati. Secondo uno studio del 2018 dell’Ordine dei giornalisti, su un totale di 100mila iscritti, quasi il 40% erano donne. Eppure, secondo quanto riportato dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi), nel 2017, su 306 direttori di testata, solo 65 non erano uomini. Un numero, tuttavia, falsato dalla grande quantità di direttrici di giornali minori. Guardando ai principali canali televisivi nazionali, nessuna delle prime sette emittenti ha alla guida del proprio telegiornale una donna. A rappresentare il genere femminile nel servizio pubblico, Simona Sala, a capo del GR1 di Radio Rai. Sulla carta stampata non va meglio: solo Il Manifesto, con Norma Rangeri, e La Nazione, con Agnese Pini, vantano una direttrice responsabile.
Escludere le professioniste dell’informazione (ma non solo) da ruoli apicali, secondo l’ex direttrice dell’HuffPost, danneggia anche il ricambio sociale su larga scala. «Nel giornalismo, le poche che ce la fanno sono lo specchio di un Paese che, con i suoi schemi rigidi, demotiva e deprime la cittadinanza rispetto alla possibilità di realizzarsi. In Italia, ci sono luoghi lavorativi dove, virtualmente, è come se ci fosse scritto: “Niente donne, niente ebrei, niente cani”. È sconfortante. Il fatto che un’italiana di 47 anni abbia assunto un ruolo direttivo in una realtà ben più importante di quelle nostrane, e che lo abbia fatto nel mercato del lavoro più competitivo al mondo (quello delle agenzie anglosassoni) è un’enorme pernacchia agli esponenti dei nostri rigidi club».