«Non c’è più un capo reparto come una volta. I rider vengono guidati, sorvegliati, valutati attraverso l’intelligenza artificiale, da un programma informatico». Lo ha detto Francesco Greco, procuratore di Milano, commentando l’inchiesta sulle condizioni di lavoro proposte dalle piatteforme di consegna a domicilio. JustEat, Deliveroo, Glovo, ma anche i colossi dell’e-commerce come Amazon. Aziende che negli ultimi anni hanno contribuito al cambiamento del mondo del lavoro, aggiungendo un livello intermedio al classico rapporto tra lavoratore e azienda: l’algoritmo. È lui che sta alla base di quel meccanismo di auto-apprendimento con cui i software pianificano la gestione aziendale. Come farebbe un titolare qualsiasi, ma con il vantaggio di acquisire ed elaborare molte più informazioni. Non più superiori in carne ed ossa, ma sistemi informatici in grado di fornire ai dipendenti indicazioni precise ed efficaci. «Il datore di lavoro non sarà mai un algoritmo». È il “contrordine compagni” di Marco Bentivogli, ex segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici della Cisl e ora coordinatore di Base Italia, associazione in cui si si occupa di innovazione industriale e politiche del lavoro, ma con uno sguardo rivolto al futuro. «E’ ora di finirla con la “tecnofobia” – dice – quella secondo cui sarebbe un algoritmo ad assumere o a licenziare un dipendente». Al contrario, «è l’azienda che elabora e definisce le finalità dell’algoritmo». Non una macchina, dunque, ma l’uomo.
Sono i colossi della consegna a domicilio quelli che spesso vengono accusati di sfruttamento. È l’altra faccia della gig economy (l’economia dei lavoretti), fatta di flessibilità e prestazioni occasionali. Per diventare un fattorino è necessario possedere uno smartphone e un mezzo di trasporto, che sia una bici, uno scooter o un’auto. Sono considerati autonomi, in quanto liberi di lavorare quando e quanto vogliono. È tramite un’app che possono decidere i turni di lavoro, accettare una consegna o rifiutarla, ma è in base a questi comportamenti che l’algoritmo decide se premiarli o meno, se assegnare un maggior numero di consegne ad un rider piuttosto che a un altro. Nel caso di Deliveroo, Frank – è il nome dell’algoritmo – elabora delle statistiche sul lavoro di ogni fattorino, per poi attribuirgli un “ranking reputazionale”. Maggiore è il “punteggio” e maggiore sarà la possibilità di prenotarsi nelle fasce orarie con più ordini. Un meccanismo «discriminatorio», secondo una sentenza del Tribunale di Bologna, in quanto l’azienda non faceva distinzioni tra le assenze giustificate e quelle legate a futili motivi. In sostanza, qualunque rider assente per malattia, sciopero o per l’assistenza di un figlio malato, veniva penalizzato in termini di guadagno. Ma, come hanno sottolineato dai giudici di Bologna, la condotta discriminatoria non è da attribuire a Franck, all’algoritmo, bensì all’azienda, all’uomo. «Questa sentenza mi ricorda quando avevo 16 anni», racconta Bentivogli. «Facevo il pony express e le consegne non venivano date a tutti. Allora si utilizzava una radio e ad assegnarle era la persona che stava nella centrale operativa, non un algoritmo, ma le discriminazioni c’erano comunque». Un aneddoto, quello usato dall’ex sindacalista, per dire che «non bisogna associare l’algoritmo al male assoluto. Questo non è un’entità vivente. Anzi, viene costruito sulla base delle indicazioni fornite dalle società di food delivery».
Da qui nasce la nuova sfida del sindacato: quella di «contrattare l’algoritmo al pari dello stipendio che, notoriamente, non è fissato da un software, bensì da un’azienda». Un’operazione che vede coinvolti i sindacati, gli stessi che, secondo Bentivogli, non sono riusciti ad affidarsi alla rapida evoluzione che negli ultimi anni ha coinvolto il mondo del lavoro. «Il sindacato è ancora troppo caratterizzato dalla sua capacità di stare in luoghi di lavoro con tante persone. Bisogna costruire una struttura diversa da quella attuale». L’ex segretario propone la trasformazione in Smart Union: sindacati 2.0 dotati di una forma organizzativa in grado di coprire gli spazi lavorativi nati dalla rivoluzione digitale. «Il sindacato non può essere solo quello delle grandi imprese. Non è un caso che i rider abbiano dovuto organizzarsi la gran parte delle mobilitazioni per conto loro».
Lo dimostra il fatto che dal 2017 in Europa sta prendendo piede una nuova forma di food delivery, autonoma rispetto ai grandi player del settore. Si tratta di cooperative possedute e gestite dai fattorini che decidono di aderirvi. Sono loro a controllare l’intero meccanismo di consegna, guadagno compreso. L’algoritmo viene elaborato da CoopCycle, un’associazione con sede in Francia, che sviluppa un software con l’obiettivo di fornirlo ai rider che decidono di auto-organizzarsi cooperative. Sono loro che, attraverso un processo partecipativo, gestiscono il software e, di conseguenza, anche l’algoritmo elaborato da CoopCycle. L’obiettivo quello di costruire un modello di business che metta al centro il lavoratore, il quale – specie durante il lockdown – è stato l’unico anello di congiunzione tra domanda e offerta, tra il ristoratore chiuso al pubblico e il cliente chiuso in casa. Lo dimostra il fatto che dal 2017 in Europa sta prendendo piede una nuova forma di food delivery, autonoma rispetto ai grandi player del settore. Si tratta di cooperative possedute e gestite dai fattorini che decidono di aderirvi. Sono loro a controllare l’intero meccanismo di consegna, guadagno compreso. L’algoritmo viene elaborato da CoopCycle, un’associazione con sede in Francia, che sviluppa un software con l’obiettivo di fornirlo ai rider che decidono di auto-organizzarsi cooperative. Sono loro che, attraverso un processo partecipativo, gestiscono il software e, di conseguenza, anche l’algoritmo elaborato da CoopCycle. L’Obiettivo quello di costruire un modello di business che vede al centro il lavoratore, il quale – specie durante il lockdown – è stato l’unico anello di congiunzione tra domanda e offerta, tra il ristoratore chiuso al pubblico e il cliente chiuso in casa.