«Lo diceva Neruda che di giorno si suda, ma la notte no! Rispondeva Picasso, io di giorno mi scasso, ma la notte no!». Dall’oscurità dello schermo, quando la giornata televisiva era ormai conclusa, spuntava Renzo Arbore con la sua banda. Con quelle rime comicamente forzate, la sigla d’apertura bastava a spiegare un intero programma. Con Arbore la notte dilatava i suoi confini e diventava un fatto di costume, dispensava cultura senza fare accademia.
Sono passati 36 anni da Quelli della notte, la trasmissione-culto andata in onda per 32 puntate nella primavera del 1985. Scritta da Arbore e Ugo Porcelli, era programmata ogni giorno alle undici di sera, sulla «seconda rete del servizio pubblico». Un’ora e mezza sottile e caciarona, tra nonsense e momenti di comicità trascinante, spesso frutto di improvvisazione. Lo show ebbe un successo inaspettato: arrivò a punte del 51% di share e i suoi tormentoni sono ancora in voga. Poco più di un mese di messa in onda per entrare nella storia.
Il programma aveva un cast variegato, composto soprattutto da esordienti. C’erano Riccardo Pazzaglia, il filosofo che cercava di «alzare il livello» della trasmissione, e Massimo Catalano, il jazzista dai ragionamenti lapalissiani: «Meglio essere ricchi e in salute che poveri e malati. Meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida». C’era Nino Frassica nelle vesti di fra’ Antonino da Scasazza e Maurizio Ferrini, comunista romagnolo rappresentante di pedalò (suo il proverbiale «Non capisco ma mi adeguo»).
E poi la signora Marchini e la cugina Laurito, oltre al «lookologo» Roberto D’Agostino, che dissertava sui nuovi trend sociali. Andy Luotto interpretava Harmand, che in un arabo di fantasia traduceva per «i fratelli dell’altra sponda del Mediterraneo». Il personaggio finì nel mirino dei musulmani italiani e di alcune ambasciate mediorientali; l’attore fu minacciato di morte e all’ultima puntata lasciò la trasmissione. Era il 14 giugno ’85, a solo un mese dal debutto. Nel mezzo un’unica battuta d’arresto, con lo stop al programma dopo la strage dell’Heysel.
Quelli della notte si colloca nella fase di maggior successo di Arbore e del suo gruppo, in un percorso cominciato nel decennio precedente con Alto gradimento e L’altra domenica. «Un periodo di forte sperimentazione in cui lui definì la sua cifra, quell’idea di tv popolare e di ricerca che unisce sempre più livelli» ci spiega Luca Barra, docente di storia della radio e della televisione al DAMS di Bologna. Arbore dissacra il linguaggio dell’epoca e smaschera l’inconsistenza dei salotti tv di quegli anni, da Maurizio Costanzo in poi. La tv prende in giro se stessa, in una parodia dei talk show.
Nelle trasmissioni di Arbore non conta tanto il singolo quanto il gruppo, quella coralità che è tipica di tanti programmi comici e che ha segnato diverse epoche televisive: dal gruppo di Dandini e Guzzanti su Rai3 ai comici riuniti attorno alla Gialappa’s negli anni 90. L’unione di più voci con sfumature diverse che miscelano vari modelli di comicità e raggiungono un pubblico eterogeno: c’è lo spettatore più «semplice» che ride per i tormentoni e i personaggi buffi e quello più «intellettuale» (o presunto tale) che ride per gli aspetti surreali.
Alla coralità di chi fa la tv corrisponde poi la nascita di una comunità: quella di chi la televisione la guarda. Il successo di Quelli della notte sta nel mix tra la presenza di un evento «unico» e la costruzione di un appuntamento. È qui che si inserisce la notte, uno spazio marginale colonizzato da Arbore e legato a un’abitudine, un rituale. In definitiva a un culto. La «seconda serata» si rivela perfetta per un programma che vuole essere periferico, laterale rispetto alla tv convenzionale: a tarda sera il pubblico diventa più maschile e si assottiglia, favorendo una complicità al limite del cameratismo.
Ma cosa resta di quell’esperienza nella tv di oggi, in un contesto segnato dalla televisione in streaming? Lo spazio per un certo tipo di comicità si è probabilmente ridotto. Secondo Barra, i programmi di Arbore avevano alcune caratteristiche che sono venute a mancare: la possibilità di far durare poco un programma che funziona bene e di occupare la seconda serata con un appuntamento fisso. Un esempio è quello di Propaganda Live», nato su Rai3 come Gazebo e poi adattato alla prima serata di La7. Il programma di Diego Bianchi è già alla settimana stagione e ogni puntata dura tre ore.
Tutto si è complicato con l’avvento delle piattaforme, che stanno puntando su produzioni originali. Show comici che sfruttano le contraddizioni dello scenario mediale e ottengono successi forse inattesi. È il caso di LOL – Chi ride è fuori, il game show di Amazon Prime Video che è esploso nell’ultimo mese. Il programma non può contare su una sincronizzazione sociale – ognuno lo vede in un orario diverso, perlopiù da solo: la condivisione non scatta durante ma dopo la visione, con gif e meme su Instagram e Twitter.
La tv italiana ha privilegiato forme di comicità lontane da quella di Arbore. Un’eccezione recente si è avuta con Una pezza di Lundini, di cui è appena partita la seconda stagione su Rai2. I punti di contatto con Quelli della notte non mancano, a partire da una comicità spalmata su più strati, con diversi pubblici che ridono per motivi diversi. Non a caso Nino Frassica ha indicato Valerio Lundini come suo erede. Il programma del 35enne romano è molto scritto, provato, cesellato; ben più di quanto sembri, proprio come i successi di Arbore. L’improvvisazione spunta quando meno te l’aspetti in un contesto in cui poco è lasciato al caso.
Se valutato in base a criteri tradizionali – il verdetto dell’Auditel sugli ascolti tv – Una pezza di Lundini è un esperimento quasi fallito. Ma il suo exploit è fuori discussione. «La Rai è tornata a fare una comicità alta che porta recensioni sui giornali e critiche positive a non finire» spiega ancora Barra. E poi Lundini ha dalla sua i meccanismi della viralità digitale: un pubblico giovane che lo segue su RaiPlay anziché su Rai2, il giorno dopo anziché in diretta, e che inonda i social di video e battute.