«La ricerca è un tema comune, ma la cucina e la corsa sono diverse tra loro. Un profumo, un colore, qualcosa di sconosciuto». Marco Gubert non ama le metafore. Come per un piatto gourmet, sceglie le parole con cura, senza che l’estetica copra il sapore. Creatività, umiltà, sostanza. Qualità che mette nel suo lavoro da cuoco e ogni volta che allaccia le scarpe e inizia a correre. Vincitore dell’ultima Transgrancanaria, competizione che si svolge nell’isola spagnola, è tra i più forti trail runner, podisti che si dedicano a lunghe distanze su terreni naturali. Giornate divise tra allenamenti e la cucina del ristorante Rolly, a Riva del Garda, in provincia di Trento.
Gusto e chilometri, il suo è un viaggio che ha come sfondo le amate montagne. Classe ‘88, Marco è originario della Valle del Primiero, nel Trentino Orientale. Le gite nel fine settimana, le battute di caccia con il papà, gli odori e i sapori che lo hanno avvicinato alla professione: «Sono diventato cuoco dopo il diploma di tecnico dei servizi ristorativi, e mi sono trasferito a Tenno, nell’Alto Garda. La cucina mi ha sempre appassionato, merito di mamma e della mia bisnonna. Con l’esperienza però ho capito che il mondo mostrato dalla tv non fa per me. Amo la tranquillità, la preparazione, i dettagli. Sono un professionista, ma la parola chef non mi piace. Ho avuto esperienze in un paio di ristoranti stellati per un periodo breve, dove sacrifici e mancanza di tempo libero mi hanno fatto riflettere. Ho capito che serve il giusto compromesso tra lavoro e vita sociale».
E poi lo sport, fin dall’infanzia una passione viscerale. Le discipline invernali all’inizio, nel 2015 l’ultratrail running. Obiettivi sempre più ambiziosi, fino ai primi successi: la Tjörnarpären 100 miglia si tiene in Svezia, a febbraio, con temperature rigide e quasi sempre al buio. Vittoria per distacco, record della manifestazione. Al traguardo si commuove. «Ogni competizione può essere la più bella, l’importante è viverla con passione, onorare il pettorale, sapere di aver dato il massimo. Nella mia carriera ho fatto qualche migliaio di chilometri, me li ricordo tutti. Ma ce n’è una che aspetto da anni. La ‘gara delle gare’ sarà a fine agosto, la preparazione mi impegnerà per mesi. 171 km e 11.000 metri di dislivello, l’Ultra Trail Mont Blanc è il sogno di tutti».
Metodico, ma dinamico. Nonostante la routine a Marco piace cambiare, rendere ogni giornata diversa. «Lavoro di sera, così il giorno sono libero di allenarmi e dedicarmi al resto. Posti e orari non sono mai gli stessi, tranne alcuni punti: anche se vado a dormire tardi, amo svegliarmi all’alba, prendere la macchina e raggiungere qualche luogo isolato. Salgo su una montagna e rimango ad ammirare il paesaggio. Nel silenzio».
Difficile conciliare gli impegni, ci sono periodi in cui scegliere è inevitabile. «In cucina non studio da tempo, però ho buona esperienza, conosco diversi prodotti e ricette. Mi sono allontanato dalla ricerca culinaria per concentrarmi su altri aspetti, ma sono pronto in ogni momento a riprendere il mio percorso e imparare nuove tecniche». Le specialità di Marco? «Le cotture lunghe, in particolare il coniglio, le punte di maiale, gli ossibuchi o le guance di manzo. Mi fanno impazzire. La pietanza che preferisco preparare è la quiche (torta salata di origine francese, ndr) con pasta brisée, verdure spadellate, salsiccia fresca e funghi. Il bello della cucina è rendere felice qualcuno. A volte si sbaglia o non si ottiene il risultato voluto, ma se ci si mette passione è difficile che tutto sia da buttare. Apprezzo le cose semplici, i piatti casalinghi, ricchi nel gusto anche se originano da prodotti ‘poveri’».
E a chi definisce la sua passione per la corsa esagerata, Marco risponde: «Ho bisogno di fare fatica, vado persino a cercarmela, ma non sono una persona eccessiva. Mi piace avere il controllo di ciò che succede, anche se chi non conosce questo sport lo reputa uno sforzo impossibile. Per il futuro sogno corse di diversi giorni su distanze ancora più lunghe, magari attraverso i deserti. L’ultra trail è uno sport duro e puro, poche discipline mettono così a dura prova. Ti costringe a non mentire, la preparazione richiede mesi di allenamenti, prove, fallimenti, nottate in bianco, infortuni, tante paia di scarpe consumate. Anche solo per tagliare il traguardo. Per noi ‘pazzi’ tutti aspetti positivi, che regalano orgoglio e sensazioni di pienezza impareggiabili». Ma la corsa lo ha portato a conoscere luoghi, storie, sapori. «Ho avuto la fortuna di provare diverse contaminazioni culinarie. Non ho ancora visitato culture e luoghi tanto diversi, ma ho sicuramente rubato idee. Non vedo l’ora di poter viaggiare ancora. Come la corsa, il viaggio è parte di noi, è nella nostra indole spostarci e visitare altre realtà».
Il presente lo coinvolge, il futuro lo intriga. «Al momento lavoro come dipendente in un ristorante d’albergo, ma mi piacerebbe gestire un posto tutto mio. Penso a un punto di ristoro, con piatti e prodotti locali, la possibilità di organizzare attività sportive e dare informazioni ai turisti sulle potenzialità del territorio. La crisi ti obbliga a ragionare e pesare le scelte prima di lasciare un posto fisso. Ma non mi spaventa, credo nelle mie possibilità. Il segreto è fare tutto con umiltà, senza la presunzione di essere migliori di altri. Nel successo come nel fallimento, siamo la stessa persona. Dobbiamo ricordarci da dove veniamo e cosa vogliamo comunicare. Sono questi i valori dello sport, più di un risultato cronometrico, un piazzamento sul podio, una medaglia d’oro».