«È una mostra unica, che in modo unico parla con lo spazio espositivo dove è organizzata: sotto il monumento dell’Ara Pacis, di fronte al Mausoleo di Augusto. Un contesto suggestivo, dove alle immagini fa eco la storia, avvolta dal respiro di Roma. L’evento mette insieme il frutto di un lavoro lungo quasi trent’anni, dove Josef Koudelka, uno dei grandi fotografi contemporanei, ha girato il Mar Mediterraneo per raccogliere le immagini del nostro patrimonio culturale».
Così a Zeta Alessandra Mauro, curatrice della mostra “Josef Koudelka. Radici”, fino al 31 agosto al Museo dell’Ara Pacis. Direttrice artistica della “Fondazione Forma per la Fotografia” di Milano e direttrice editoriale di Contrasto – casa editrice romana – è anche docente presso il Master di Giornalismo e Comunicazione Multimediale della Luiss. Spinti dalla curiosità, lo scorso 22 giugno i suoi studenti hanno sfidato il caldo delle prime ore pomeridiane per visitare l’esposizione.
Dall’Italia al Libano, dalla Turchia alla Libia. Oltre 100 gigantografie in bianco e nero che raccontano un viaggio lungo quasi 30 anni, iniziato nel 1991 a Delfi – in Grecia – e terminato nel 2018 a Petra, in Giordania. Luoghi toccati dalla “rotta” del fotografo nato 83 anni fa a Boskovice, nell’allora Cecoslovacchia, che come un antico esploratore ha conosciuto paesaggi, civiltà e culture, catturandone le immagini più belle. «Il percorso è stato pensato come una passeggiata in un sito archeologico del Mediterraneo, alla ricerca delle nostre radici estetiche e storiche. Un allestimento a misura d’uomo. Basarci solo sulla geografia non aveva senso, così abbiamo cercato di unire i contenuti per assonanza e contrasti».
Si comincia con l’immagine più emblematica del tempio di Ercole ad Amman, in Giordania. Livelli di visione diversi: una grande mano che sembra arrivare da uno spazio alieno, i resti della struttura, la città con case sullo fondo. A testimoniare che la vita continua, perché lo scopo di Koudelka non è congelare l’archeologia, ma rappresentarla nella vita quotidiana. È stato lui stesso a dirlo: «Le rovine non sono il passato, ma il futuro che ci invita all’attenzione e a godere del presente».
Si prosegue con il Tempio di Segesta, il Teatro di Epidauro, i Fori Imperiali. Fino all’Appia Antica. I giornalisti di Zeta osservano, mormorano, si confrontano. Fanno domande ad Alessandra Mauro, provano a capire di quale epoca siano i capitelli delle maestose colonne, colpiti dai giochi di prospettiva e dalla potenza della luce. Quella che Koudelka per anni ha cercato nella sua perfezione. Ore di attesa nei siti archeologici più importanti per il dettaglio perfetto. Per il contrasto migliore, fino al fatidico click.
Un mestiere che però l’artista ceco non ha racchiuso in un semplice suono. Ha prima cercato di comprendere il paesaggio e ogni volta ci è tornato per immaginare l’attimo giusto e inseguirlo, pronto a cogliere l’imprevisto in grado di rendere unico quel prodotto. Come racconta nel film del 2020 “Obey the Sun”, diretto dal fotografo turco Coşkun Aşar, che lo descrive in una parte dei suoi viaggi: «Bisogna obbedire al sole, è lui a far da padrone. Quante volte sono stato qui, sto ancora cercando di fare una buona foto, è l’unica cosa che conta. La scoperta viene prima di tutto, lì dove l’immagine mi aspetta. Poi vai avanti, finché non la ottieni. Se sei fortunato, ce la fai».