“C’è a chi sta bene il contratto e a chi sta bene essere pagato a consegna”. A parlare è Leonardo (nome di fantasia), rider per Uber Eats. Lui fa ancora parte degli autonomi ed è soddisfatto. Sta prendendo uno degli ultimi ordini della giornata: il chilometraggio percorso determinerà il suo guadagno. “Se ti sta bene una consegna la accetti, altrimenti la riassegni. Non c’è demerito in questo, nessuna penalità”.
Le cose, però, potrebbero cambiare. Il 9 dicembre 2021, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva che, se approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea, permetterebbe di inquadrare i lavoratori delle piattaforme digitali come subordinati. I rider avranno allora diritto a malattia, ferie, ma anche inversione dell’onere della prova. Sarà quindi l’azienda a dover provare l’autonomia del lavoratore in caso di giudizio.
Eppure, non tutti nella categoria vogliono diventare dipendenti
Luisa (nome di fantasia), della piattaforma Glovo, dichiara di voler mantenere “la libertà di lavorare quando voglio”, anzi, racconta che è proprio questo il motivo per cui ha scelto di fare delivery. Lei, come altri, preferirebbe preservare quanto più possibile la flessibilità, anche a costo di rinunciare alle tutele, “poi un giorno si vedrà”.
Per il momento, in Italia, solo Just Eat ha assunto i rider con il contratto nazionale del settore logistica. “Sto più tranquilla perché so che a fine mese avrò uno stipendio. So le ore che devo lavorare e per me, rispetto a prima, è meglio così”, commenta Silvia, dipendente della piattaforma. “Prima, se stavi male, erano problemi tuoi. Adesso, invece, vai dal medico, ti fai fare il certificato e loro ti pagano lo stesso”.
Anche Matteo fa il rider per Just Eat. “Rispetto a prima, quando venivo pagato sulla base degli ordini che processavo, ho un compenso fisso di 8 euro lordi l’ora, più 0,25 centesimi a consegna, a cui si aggiungono 0,6 centesimi per chilometro percorso. Il vantaggio del contratto è che ho una maggiore sicurezza economica: alla fine di ogni settimana so che mi entrerà una somma prestabilita. Se mi ammalo vengo comunque retribuito, se dovessi fare un incidente è previsto un indennizzo”.
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Secondo lui, però, bisogna considerare che molti svolgono al contempo un altro lavoro o sono studenti in cerca di una piccola entrata settimanale. “L’inquadramento come autonomo potrebbe essere più vantaggioso per alcuni perché si ha una maggiore libertà nella gestione del tempo. A ogni modo, parlo da universitario. Se penso, invece, a una persona che ha quell’impiego come unica fonte di reddito, il contratto è necessario affinché il rider non sia solo un lavoretto di ripiego, ma una professione vera e propria, con la sua dignità”.