Un’emergenza si ignora, si sottovaluta e spesso si spreca. Nelle conclusioni del Consiglio Europeo non c’è traccia del tema dei rincari dei prezzi dell’energia del gas in Europa. La soluzione basata sull’approvvigionamento comune che avrebbe rafforzato l’Ue dovrà attendere. Nonostante l’inflazione al 4,9 per cento nell’Eurozona sia dovuta quasi esclusivamente dall’aumento dei prezzi del settore energetico, le divisioni nazionali non sono state superate. E a perderci potrebbero essere tutti.
Patrizia Toia, vicepresidente della Commissione industria, ricerca ed energia del Parlamento Europeo, commenta: «L’aumento dei prezzi può anche essere diverso nei vari Paesi, ma alla fine questo fenomeno rischia di colpire tutti in maniera massiccia. Se i costi di produzione aumentano in Italia e poi la Germania compra da noi i pezzi di ricambio per la sua industria automobilistica, i loro prezzi delle auto saliranno di conseguenza. Molti sottovalutano questo fenomeno che se dovesse continuare ad allargarsi rischierebbe di mettere in ginocchio diversi Paesi nel giro di qualche mese. In Europa siamo troppo interdipendenti per permetterci soluzioni non integrate».
Le possibili soluzioni all’aumento dei costi del gas in Europa
La proposta più intraprendente sul tavolo del Consiglio ha riguardato la possibilità di autorizzare la Commissione a firmare contratti per l’approvvigionamento di gas per tutti i Paesi membri. In questo modo l’Unione Europea si porrebbe sul mercato come un soggetto unico, con una capacità contrattuale molto superiore a quella dei singoli stati. Il meccanismo sarebbe su base volontaria, seguendo l’esempio di quanto fatto sui vaccini.
La proposta è arrivata dal fronte sud dell’Ue, con Italia, Francia e Spagna in testa, a cui poi si sono aggiunti anche Portogallo, Grecia, Ungheria e Lettonia. I contrari sono la maggior parte dei Paesi del nord Europa, più indipendenti sul piano energetico e preoccupati dalle distorsioni che il nuovo meccanismo imporrebbe a un mercato che gli è favorevole.
L’Olanda, che esporta il 10 per cento del gas utilizzato in Europa, trae vantaggio dalla situazione attuale. La Germania, che tra poco inaugurerà il gasdotto Nord Stream 2 con la Russia, non ha particolare interesse a una soluzione comunitaria. Inoltre, il governo tedesco è convinto che la crisi energetica sia temporanea e che la struttura del mercato tornerà a funzionare nel giro di poco tempo.
La seconda proposta su cui gli Stati si sono divisi riguarda il sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue, il cosiddetto Ets (Emissions Trading System). Il sistema è finalizzato a limitare le emissioni di anidride carbonica che le aziende emettono ogni anno. Funziona in maniera simile a un mercato.
L’Ue stabilisce ogni anno la quantità di anidride carbonica che ogni grande azienda può emettere. Per ogni tonnellata di CO2 prevista le imprese ricevono un “credito” da utilizzare nel mercato dell’Ets. Una compagnia virtuosa, che decide di inquinare meno, può scegliere di vendere parte dei suoi crediti a un’impresa meno virtuosa, che invece ha bisogno di acquistarne per non eccedere le prescrizioni dell’Ue. La disponibilità di “crediti” sul mercato è ridotta anno per anno al fine di ridurre le emissioni inquinanti.
Secondo molti Paesi, il problema di questo sistema è rappresentato dalla presenza di soggetti finanziari con atteggiamenti speculativi. «I fondi puramente finanziari dovrebbero uscire dal mercato dell’ ETS perché il loro interesse primario è quello di fare alzare i prezzi per rendere i loro investimenti più fruttuosi. Fanno bene alcuni Paesi a chiedere di limitare il mercato dell’ETS solo ai soggetti direttamente interessati all’acquisto e agli scambi delle quote, cioè le imprese energetiche e le aziende industriali responsabili delle emissioni», sostiene Toia.
La speculazione interna al mercato dell’ETS rende più costosi gli acquisti di crediti da parte dei produttori di energia con ricadute sul prezzo delle bollette di milioni di europei. Anche se il commercio dei “crediti” rappresenta solo una parte minoritaria dell’aumento sui prezzi finali, il clima di preoccupazione per l’inflazione pone anche questo fattore nel mirino dei governi.
La Polonia e la Spagna, insieme ad altri Paesi dell’est, hanno espresso la volontà di modificare il funzionamento di questo sistema. Il rischio però è che i Paesi inquinanti dell’est europa, la Polonia in particolare, puntino a depotenziare il sistema di scambio di quote per inquinare di più. Questo sospetto ha generato l’ostilità di molti Paesi presenti in Consiglio, Italia compresa, e un accordo non è stato raggiunto.
La dipendenza europea dal gas russo
A complicare lo scenario c’è il ruolo giocato dalla Russia di Vladimir Putin. Lo scorso 8 novembre Mosca ha annunciato che il previsto aumento di esportazioni di gas naturale verso l’Europa non sarebbe avvenuto. In questa occasione il prezzo del gas europeo è balzato del 10% in un giorno. “Le maggiori richieste del mercato asiatico non ci permettono di rifornire l’Europa come previsto”, ha sostenuto Mosca. Motivazioni a cui pochi esperti hanno creduto: l’azione del Cremlino è stata considerata come una pressione per ottenere la veloce attivazione del gasdotto Nord Strem 2, che trasporterà gas alla Germania e che è stato contestato da Stati Uniti e molti partner europei.
La Russia utilizza il gas naturale come arma geopolitica e le recenti tensioni al confine con l’Ucraina potrebbero portare a nuovi atti ostili. Escludendo un intervento armato, il gas potrebbe essere uno dei principali strumenti di pressione sul Vecchio Continente visto che il 43% del gas europeo è made in Russia.
Non tutti i Paesi europei sono però ugualmente dipendenti dall’importazione di energia. Tra i grandi Paesi europei, l’Italia ha il grado di dipendenza energetica più alto dell’Ue importando quasi il 90% del suo fabbisogno.
Un dato molto vicino a quello di Spagna, Portogallo, Grecia e molti altri Paesi che ora chiedendo un avanzamento nell’integrazione europea sul piano della politica energetica. Il prossimo Consiglio europeo che discuterà il tema sarà quello di marzo, a fine inverno e quando la richiesta di gas sarà ormai calata. Troppo tardi.