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Esclusiva

Gennaio 28 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 27 2024
Ernesto Assante, la musica di oggi e il nuovo gap generazionale

Una riflessione sulle rotture e le trasformazioni della canzone italiana, dal dopoguerra ad oggi.

«Viviamo in un curioso medioevo di passaggio tra l’analogico e il digitale: i giovani di 15 o 16 anni non hanno nemmeno idea di cosa sia un cd o un album. È una rivoluzione paragonabile a quello che è avvenuto negli anni Sessanta con il rock». Dai primi divi della canzone sanremese fino ai Måneskin, a raccontare la canzone italiana ai futuri giornalisti della scuola di comunicazione della Luiss è Ernesto Assante, giornalista e critico musicale de “La Repubblica”. «Ancor più della letteratura e del cinema, il primo elemento vero di unità culturale in Italia è stata la canzone. Ed è pazzesco che non si sia mai sentita l’esigenza di studiare storicamente questo fenomeno nonostante il ruolo che ha avuto nella costruzione dell’identità nazionale».

Una storia culturale della canzone

Parlare di musica non vuol dire mai solo parlare di musica: significa raccontare di come la si ascolta, come la si fa e come se ne parla. Ad esempio, attraverso la frattura generazionale rappresentata dal rock ‘n roll. «Primo scossone nella canzone italiana, l’avvento del rock si incontra con la gioventù nata nel dopoguerra, la generazione figlia del boom economico. Quei nuovi giovani, che a differenza dei loro genitori hanno tempo e denaro, guardano Elvis Presley in tv e non vogliono più vivere come prima». Finalmente i ragazzi hanno una musica che parla di loro e per loro. 

Questo nuovo sound è movimento scomposto, urla, sesso: la compostezza da divo e la voce tenorile e impostata di Claudio Villa lasciano spazio alle movenze rock di Adriano Celentano e alla penna di Domenico Modugno. «Volare (1958) è una canzone rivoluzionaria soprattutto per il suo testo. Non più amore, patria o nostalgia del passato: è una visione, qualcosa di completamente diverso».

Ernesto Assante, la musica di oggi e il nuovo gap generazionale
La lezione di Ernesto Assante agli studenti del master di comunicazione e giornalismo della Luiss

Ma il principale festival della canzone italiana vive in una bolla finché il mercato prende un’altra direzione. «Con l’affermarsi del cantautorato negli anni Settanta, Sanremo attraversa una fase di decadenza. I nuovi artisti affermano un’esperienza di ascolto impegnata, si rifiutano di andare al festival, vogliono distinguere la loro arte dalle canzonette d’intrattenimento. E il pubblico li segue.». Un secondo momento di crisi corrisponde agli anni Duemila. «L’industria discografica si adegua ai talent e la cultura del successo televisivo. Tornano quelli che scrivono le canzoni e quelli che le interpretano. Che sia Emma o qualcun altro, i brani sono tutti uguali. È il grande filone del mainstream».

Dalla musica indipendente ai Måneskin

In questo contesto, la musica indipendente è stata una rivoluzione. «Dal 2015 è emersa una nuova generazione di cantautori che cantano con un altro linguaggio e un altro suono. E fanno musica dalla loro in camera, senza bisogno di promoter e di soldi. Questa generazione è uscita dagli anni dei talent e della televisione berlusconiana. Calcutta è il primo dei grandi cantautori di questa generazione. Coez invece ha stabilito uno stile, un codice, un modello, che non ha parentela con tutto quello che c’era prima».

Da qui la nuova frattura generazionale. Ma pur immersi in un «medioevo di passaggio», per capire la musica non bisogna mai voltare le orecchie dall’altra parte. «La musica di consumo ti dice cosa sta succedendo nelle strade. Che piaccia o no, parla dell’oggi e bisogna comprenderne la portata». Ai più scettici sul successo dei Måneskin, cerca di far cambiare idea: «sono la prima band internazionale ad usare le piattaforme di streaming in tutto il mondo. Sono rivoluzionari perché fanno ai giovani lo stesso effetto che i Beatles facevano a me: dicono io sono così, e ti cambiano la vita in questo senso».

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