«Iniziò una rivoluzione abbastanza insensata perché la questione andava affrontata su due livelli: giudiziario e politico. Il reato andava accertato e punito. Da subito nei toni della magistratura, la loro azione divenne palingenetica: restituire l’Italia all’onestà». Mattia Feltri, direttore dell’Huffington Post, è tra coloro che, a trent’anni di distanza, criticano alcune delle modalità con cui si svolse l’inchiesta Mani Pulite. «Era emozionante e allo stesso tempo triste vedere la storia cambiare dall’interno. Ci rendevamo conto che una parte dell’Italia, fino ad oggi, non voleva la scomparsa dell’illegalità». A parlare è Piero Colaprico, allora inviato per la Repubblica e coniatore del termine “Tangentopoli”.
Il 17 febbraio 1992, al Pio Albergo Trivulzio di Milano, una casa di cura, i carabinieri e il magistrato Antonio Di Pietro irrompono nello studio dell’Ingegner Mario Chiesa, funzionario socialista colto sul fatto dopo aver appena incassato una tangente dall’imprenditore Luca Magni. Bettino Craxi, segretario del PSI, parla di un caso isolato, “un mariuolo”. Si sente, di rimbalzo, una vittima. In realtà i legami tra imprenditoria e politica sono molto più profondi e tentacolari di quanto dice il segretario socialista.
La prima fase dell’inchiesta è seguita da altri avvisi di garanzia. Dopo le politiche del 1992, al governo sale Giuliano Amato, vice-segretario del PSI.
L’opinione pubblica si schiera apertamente dalla parte del pool: la dimostrazione più eclatante arriverà con il Decreto Conso (marzo 1993), che avrebbe depenalizzato il finanziamento illecito ai partiti, salvando retroattivamente molti inquisiti di Mani Pulite. A Milano, moltissimi scendono in piazza con striscioni e candele urlando la loro indignazione.
La slavina di arresti a parlamentari e imprenditori non si ferma, tutti si tirano in mezzo in un fuoco incrociato che colpisce anche i leader di partito. Davanti ad Antonio Di Pietro, si presenteranno Bettino Craxi, Giorgio La Malfa, segretario repubblicano, Renato Altissimo, segretario liberale e Arnaldo Forlani, segretario democristiano tra l’89 e il ’92.
Il 29 aprile ’93 la Camera nega l’autorizzazione a procedere contro Craxi. Il PDS e i Verdi ritirano la sera stessa i ministri e all’Hotel Raphael, la residenza romana del segretario socialista, si è radunata una gran folla. Quando esce viene colpito da monetine, banconote, sassi. L’inizio di una nuova stagione è imminente, di quella vecchia non è rimasto quasi più niente.
«Ordinamento politico e ordinamento giuridico sono confinanti: l’ordinamento politico dà le regole, l’ordinamento giuridico applica le regole, anche nei confronti della politica. Quando l’ordinamento politico cede, l’ordinamento giuridico avanza perchè finisce con il dare lui stesso le regole: non si limita ad applicarle». Luciano Violante, ex parlamentare comunista e Presidente della Camera dal 1996 al 2001, nota che in un frangente, quando la politica non ebbe più sponde su cui appoggiarsi, ci fu un sopravanzamento della magistratura. Un altro dei fenomeni rilevati dall’ex Presidente della Commissione parlamentare antimafia è che «ad un certo punto venne fuori che la legittimazione del magistrato viene dal consenso dei cittadini e non dalle leggi. Questo è un punto di fortissimo ribaltamento per quanto riguarda la democrazia».
Piero Colaprico interpreta invece il sentimento che dominava all’interno dell’opinione pubblica: «Si aveva l’idea che i partiti in superficie combattessero tra di loro e nel retroscena si spartissero il bottino. Questo per me è molto più grave di qualsiasi possibile errore abbia commesso un giornalista».
«[Mani Pulite] rappresenta la fine dell’illusione che si possa cambiare un paese e che questo possa rigenerarsi eticamente e moralmente attraverso un’inchiesta giudiziaria». Questa è cosa rappresenta l’inchiesta oggi per Goffredo Buccini, editorialista del Corriere della Sera e membro del pool di giornalisti, creato nei mesi dell’inchiesta del Tribunale di Milano, che comprendeva alcuni cronisti delle maggiori testate nazionali. La sua creazione è una delle novità introdotte da Tangentopoli: «Il pool nasce sulla base di una legge economica: si compete per un bene scarso, non per uno che sovrabbonda. Se hai 10 arresti e 20 avvisi di garanzia al giorno è assurdo competere, devi solo verificare le notizie». L’altra novità introdotta è la pubblicazione integrale dei verbali e delle carte d’accusa. Una prassi criticata ancora oggi. Per Mattia Feltri ci fu «uno svilimento del potere giornalistico. [I cronisti] avevano un potere, molto potere, che derivava direttamente dalla magistratura. Era come se fossero un’unica testata nazionale: lì il giornalismo d’inchiesta si ammala gravemente». Piero Colaprico, inviato di Repubblica, non condivide le critiche su chi aveva il compito di raccontare quei mesi. «Io non convidido le critiche che si fanno ora a Mani Pulite. Il problema è che si guarda solo al lavoro dei giornalisti e dei magistrati e non si tiene conto di quello che succede davvero al tempo».
A trent’anni di distanza l’immagine di Mani Pulite, in tutti i suoi pixel, sembra destinata a rimanere sgranata ancora a lungo.