Siviglia è pigra. Sonnecchia quando c’è da stare svegli, si sveglia quando gli altri dormono. Bella com’è, può permetterselo, e poi fa caldo, non le va. Ma c’è sempre un’eccezione, e per questa città è il calcio. Per quello, si ferma anche la siesta: «A Siviglia il fútbol si vive in modo diverso da tutti gli altri posti. È indescrivibile quello che genera, se non lo vivi non puoi capirlo», spiega Alejandro Arribas, ex giocatore del Siviglia. La prima squadra della città guardando ai titoli, la seconda stando al parere dei cugini del Betis.
La disputa non è mai stata così accesa quanto quest’anno. Sebbene i rojiblancos del Siviglia vengano da grandi conquiste in campo europeo, è la prima volta in un’eternità che le due squadre della capitale andalusa giocano con vista sul titolo. Sotto il Real Madrid, 57 punti, ci sono proprio Siviglia, 51, e Betis, 46. Essendoci il Barça al quarto posto, Siviglia l’anno prossimo potrebbe essere la città spagnola più rappresentata in Champions League. Un evento mai successo prima per un centro che si candida, silenzioso come un pomeriggio all’ombra della Giralda, a diventare la nuova capitale del calcio spagnolo, storicamente divorato da Madrid e Barcellona.
Domenica, in campionato, sarà proprio Siviglia-Betis. Questa volta, molto più del solito braccio di ferro cittadino, proprio per le ambizioni in gioco. «È bello che entrambe arrivino al derbi così in alto, ognuno con il proprio stile», dice Zou Feddal, che nel Betis ha giocato fra il 2017 e il 2020. Lui di derbi ne ha vinti e ne ha persi («lì è come ingoiare veleno»), conosce una rivalità che inizia con la nascita stessa dei due club, quando due dirigenti del Siviglia, non d’accordo con le vedute dei loro pari sulla gestione del club, se ne andarono sbattendo la porta e, per ripicca, fondarono proprio il Betis. «Si sente nell’aria, vibra nelle strade». A volte si eccede, come nell’ultimo incontro in Copa del Rey, interrotto e posticipato perché un tifoso aveva tirato un bastone a Joan Jordán del Siviglia.
Il Betis dell’ingegnere
Se quest’anno la posta in palio è così alta, il merito è soprattutto della crescita del Betis, guidata da Manuel Pellegrini. Mentre lo storico motto della squadra era il fatalista «Viva er Beti manque pierda» («Viva il Betis anche se perde»), ora è «El ingeniero tiene un plan» il coro che spopola sugli spalti del Villamarín — e il piano dell’ingegnere, ormai è chiaro, è vincente. Pellegrini ha preso la squadra nel 2019 dopo un quindicesimo posto, l’ha riportata in Europa League, ora è terza ed è l’unica in Spagna in lotta per tre titoli diversi. Dopo 82 partite, il cileno è l’allenatore con la miglior percentuale di vittorie della storia del club, il 55%, come lo è ancora di Real Madrid, Villarreal e Malaga.
Il suo charme ha calamitato lo spogliatoio, che ne ha assorbito la mentalità vincente. «I due grandi pregi di questo Betis sono l’unione e la calma — aggiunge Feddal —. L’unione c’è sempre stata, ma Pellegrini ha saputo portare la tranquillità che mancava e adesso sta volando. Sai, questa è una città particolare: se vinci due partite va tutto alla grande, ma se ne perdi una è un caos. Ora, per fortuna, i risultati stanno arrivando».
E poi c’è il gioco, arabesco come l’architettura di Siviglia, spregiudicato perché modellato attorno ai suoi talenti offensivi. Come Nabil Fekir: «Questo scrivilo, scrivilo grande: è il miglior giocatore della Liga, è ora che gli venga riconosciuto». O Sergio Canales, cresciuto nel Real Madrid e risorto dopo tre rotture del crociato. È un 10 «decisivo, porta tranquillità alla squadra». Pellegrini ha creato il contesto perfetto perché i suoi artisti possano esprimersi, e tutto attorno la squadra ne giova. Il Betis, è vero, si prende i suoi rischi dietro, ma sono tutti ripagati con il secondo attacco della Liga, dietro solo al Real Madrid di Vinicius e Benzema. Con questa potenza di fuoco, i blanquiverdes possono davvero vincere contro chiunque, ormai.
Il Siviglia del demiurgo
Se il Betis è modellato ad immagine e somiglianza dell’ingegnere, il Siviglia, invece, è creatura del suo demiurgo Monchi, principale artefice delle recenti conquiste europee grazie al suo mercato aggressivo, studiato al dettaglio eppure creativo, fatto di scommesse perlopiù vinte. «È una delle figure più importanti della storia recente del Siviglia, la più vincente. Si nota che vive il sevilismo come nessun altro. È un leader e quello che ha messo in piedi è un progetto vincente», nota Arribas.
Tornato dalla fallimentare esperienza alla Roma, il suo stile di mercato si è evoluto per accompagnare un Siviglia con ambizioni sempre maggiori. Allora ecco che non arrivano solo giovani diamanti grezzi (Koundé, Diego Carlos e Rafa Mir sono degli esempi), ma anche giocatori già affermati, di status internazionale, come Tecatito Corona, Rakitic, Papu Gómez o Martial.
Si dà il caso, poi, che il Siviglia abbia trovato il suo contraltare perfetto, l’uomo che riesce a mettere ordine anche nel viavai di trasferimenti di Nervión. È Julen Lopetegui che, dopo le esperienze burrascose sulle panchine di Spagna e Real Madrid, «sta sapendo consolidare il club nell’élite. Ha creato un progetto con un’identità e ha reso il Siviglia una squadra difficile da battere. Non è un caso se da quando c’è lui le cose vanno a gonfie vele».
In effetti, i rojiblancos potrebbero esprimersi meglio davanti (37 gol in campionato, 10 meno del Betis), ma segnargli è diventato davvero un’impresa. La loro è la miglior difesa della Liga, con appena 17 reti subite in 25 incontri. Anzi, diciamo pure d’Europa, perché nei migliori campionati gli tiene testa solo il Manchester City, sempre a 17, anche se con una partita in più.
Punti pesanti
Nonostante il vantaggio in classifica, la squadra che arriva peggio allo scontro cittadino è proprio il Siviglia. Tormentata da covid e infortuni, nelle ultime cinque ha raccolto quattro pareggi e una sola vittoria, annacquando il sogno della seconda Liga, dopo la prima e unica conquistata nel lontano 1946 — anche il Betis ne ha vinta una, nel 35.
Sei punti rimangono comunque una distanza accessibile dalla vetta, ma ora tutte le partite contano per arrivare allo scontro diretto di metà aprile ancora agganciati al Real Madrid. Nessuna, però, quanto la prossima. «Si sente nell’aria», come dice Feddal, tifoso di un Betis ancora in lotta, seppur realisticamente lontano dal titolo. In tutto questo, però, guai a dimenticarsi dell’Europa League, perché la finale, come il derbi di domenica, si giocherà nel Sánchez-Pizjuán. Chissà, magari con entrambe le squadre di Siviglia. A quel punto, parlare di nuova capitale del fútbol non sarebbe affatto un’esagerazione.
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