«Il calcio non è matematica, a volte una squadra funziona per motivi sconosciuti anche a chi la guida. Ma, allo stesso modo, può andare male per ragioni altrettanto sconosciute». A parlare in esclusiva a Zeta, commentando l’eliminazione dell’Italia dai play off Mondiali, è Ariedo Braida, storico dirigente a cui si deve la costruzione del Grande Milan di Arrigo Sacchi e Silvio Berlusconi, dal 2015 al 2019 Direttore Sportivo del Barcellona e ora della Cremonese.
Evidenziare le cause della disfatta azzurra è un compito difficile e delicato, ma se proprio bisogna cercarle «io mi soffermerei su due o tre». La prima è «la mancanza di talenti, dovuta ad una crisi del calcio italiano negli ultimi vent’anni». Ma se nel calcio italiano non ci sono più i fuoriclasse di una volta, molto lo si deve all’assenza delle scuole di formazione che plasmino i giocatori del futuro ad alti livelli.
«Bisogna ripartire dalle fondamenta perché, se col talento ci si nasce, la tecnica si può e si deve insegnare». Braida fa l’esempio del Barcellona, una squadra che ha sempre basato le sue fortune sulla propria cantera. Dal settore giovanile del Barça sono usciti campioni del mondo come Iniesta, Xavi e lo stesso Messi, prelevato dall’Argentina quando aveva solo 11 anni. «Dietro le scuole di formazione spagnole c’è una filosofia: i futuri calciatori vengono reclutati sin da bambini e allenati da istruttori preparati, che li accompagnano nella loro crescita calcistica».
Dopo la disfatta dell’Italia contro la Macedonia del Nord, molti si sono convinti che «sia tutto da rifare», per citare Gino Bartali, ma sulla singola partita un ruolo importante ce l’hanno le opportunità. Le stesse che durante gli Europei della scorsa estate hanno sorriso all’Italia e che stavolta non sono state sfruttate al meglio. Tuttavia, con la sua grande esperienza Braida si è ormai abituato agli alti e bassi del mondo del calcio: «quando ci sono grandi delusioni, spesso ci possono essere anche grandi rivoluzioni. Basta sapersi rialzare». Una rivoluzione che non significa operare un semplice cambio di panchina. «A Mancini non ho niente da recriminare», afferma il DS della Cremonese, perché programmare una partita è inutile quando uno dei primi segnali d’allarme è il pareggio con la Bulgaria.
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L’importante ora è «tirarsi su le maniche», sviluppare gli strumenti conoscitivi per istruire i ragazzi sin da piccoli e trasmettere l’idea che si riparte solo lavorando sodo. Un monito che vale anche per le società, le quali ingaggiano all’estero le giovani promesse perché, a parità di merito sportivo, costano meno degli italiani.
«Forse l’Italia ha peccato un po’ di presunzione dopo la vittoria agli Europei, pensando che avrebbe ottenuto la qualificazione ai mondiali», conclude lo storico dirigente. «Forse, inconsciamente, pensava di essere troppo brava, ma nella vita nessuno ti regala niente e le cose bisogna conquistarsele».