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Esclusiva

Maggio 17 2022
Potremmo vivere in un multiverso e non saperlo mai

Alcuni recenti film hanno riacceso la popolarità di una teoria che fisici teorici di tutto il mondo ritengono possa essere davvero plausibile

Immaginate di poter rifare tutte le scelte della vostra vita. Vivere in un’altra città, scegliere una scuola diversa o un lavoro diverso, o semplicemente aver messo una maglia diversa questa mattina. Immaginate ora che ognuna di queste decisioni abbia creato una biforcazione della realtà in cui la vostra vita ha preso un corso differente. Secondo questa teoria sono le nostre azioni a dare vita a universi alternativi in ognuno dei quali vive una diversa versione di noi: è l’idea del multiverso che negli ultimi mesi ha conosciuto un’enorme crescita di popolarità grazie all’uscita dei film dei Marvel Studios Spider Man No Way Home e Doctor Strange nel multiverso della follia.

Ma al di là del fascino letterario che la possibile esistenza di universi paralleli ha sempre esercitato sulla cultura pop, il multiverso è una teoria ritenuta plausibile dalla fisica. «L’idea nasce dalla volontà di ottenere una teoria unificata della realtà» spiega Augusto Sagnotti, professore di Fisica Teorica alla Scuola Normale Superiore di Pisa. «Ma quando formuliamo le leggi uniche che regolano la realtà il nostro universo sembra essere frutto di un accidente». In altri termini, sappiamo che l’universo si basa su alcune leggi e valori fondamentali che sono stati quantificati in maniera precisa, come la carica dell’elettrone o la costante gravitazionale di Newton. Valori che sembrano calcolati perfettamente per consentire lo sviluppo della vita come noi la conosciamo. Quello che non sappiamo è da cosa dipendano. «È qui che viene fuori il multiverso» continua Sagnotti. «La domanda da porsi è: cosa succederebbe se queste costanti fondamentali avessero valori diversi?». Una delle ipotesi a cui la fisica moderna ha fatto riscorso è la teoria delle stringhe, secondo la quale la materia, al di sotto delle componenti subatomiche è composta da microscopici filamenti in grado di vibrare con frequenze diverse e dare così origine alle particelle fondamentali. Il problema della teoria delle stringhe è che richiede di ragionare su uno spazio «che abbia non tre, ma addirittura dieci dimensioni, a cui va aggiunto il tempo». Le altre dimensioni sarebbero talmente piccole da non poter essere rilevate nemmeno con i più sofisticati strumenti di misura, «ma questo non vuol dire che non ci siano. E proprio il movimento delle stringhe in queste dimensioni microscopiche sarebbe ciò che dà origine ai valori fondamentali». L’universo in cui viviamo sarebbe dunque solo uno dei possibili “accidenti” che derivano da questo modello, che però potrebbe dar vita anche ad altri universi in cui le leggi della fisica si comportano in maniera diversa e che dunque non sarebbero in grado ospitare la vita così come la consociamo.

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Per ora si tratta solo di una delle possibili teorie per concepire l’esistenza di un multiverso. La seconda ha a che fare con la teoria dell’inflazione: secondo questa ipotesi, alle sue origini l’universo si sarebbe trovato in uno stato di estrema compressione ad altissima energia, tanto da far sì che per un periodo la gravità, invece che attrattiva, sarebbe stata repulsiva. La spinta derivata avrebbe messo in moto ancor prima del Big Bang un’espansione dell’universo a velocità superiori a quelle della luce e che solo nell’universo che oggi possiamo osservare avrebbe rallentato, mentre in altri punti potrebbe essere ancor in corso. «Dal nostro punto di vista», spiega Sagnotti, «l’universo osservabile ci sembra omogeneo e persino piatto, ma il fatto che sia omogeneo non è affatto scontato». Questo potrebbe derivare dal fatto che noi siamo in grado di osservarne solo una porzione tanto piccola da sembrarci piatta. «Ma è come se osservassimo un pallone da calcio prendendo in considerazione un’area così piccola da sembrare localmente piatta e omogenea, ma il resto del pallone esiste anche se non lo vediamo. Allo stesso modo a causa dell’inflazione potrebbe essere che regioni dello spazio distanti si stiano allontanando l’una dall’altra a una velocità tale da non permettere neanche ai segnali che viaggiano alla velocità della luce di passare dall’una all’altra». Questa situazione renderebbe impossibile la comunicazione tra diverse regioni, che andrebbero di fatto a rappresentare due universi separati.

Un possibile modo per collegare i due universi sono i “wormhole” (“buchi di tarlo”), ossia degli ipotetici tunnel spazio-temporali che mettono in comunicazione due buchi neri e dunque due regioni “piatte” dello spazio. «Immaginiamo lo spazio piegato come una piadina: il buco di tarlo sarebbe uno stuzzicadenti che ci permetterebbe di passare da un lato all’altro senza fare il giro, ma il problema è che per attraversarlo bisognerebbe andare più veloce della luce per sfuggire alla gravità del buco nero e questo è impossibile».

La foto del buco nero super massiccio al centro della nostra galassia

Queste teorie del multiverso si basano su concetti di fisica classica e sono diverse da quelle presentate nei film, in cui gli universi paralleli sono frutto delle innumerevoli probabilità che si creano al verificarsi di ogni evento. Secondo il professore «uno scenario del genere ha a che fare con la fisica quantistica», ovvero quella branca della fisica che si occupa del mondo subatomico in cui le leggi della fisica classica sembrano non valere. Nella meccanica quantistica la realtà prende forma solo quando viene misurata da un osservatore le cui scelte vanno a modificare il sistema stesso. Ciò potrebbe anche dar vita a un multiverso frutto delle diverse conseguenze delle nostre azioni, «ma qui siamo ai limiti della comprensione umana» conclude il professore.

I futuri progressi della tecnologia ci diranno se la possibilità di incontrare le nostre “varianti” rimarrà soltanto una suggestione hollywoodiana oppure diventerà realmente possibile. Per ora la scienza si trova a dover concordare con il Doctor Strange della Marvel: «Il multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco».