Una mattanza: 19 bambini morti e 2 insegnanti. È quanto successo nella scorsa notte a Uvalde, in Texas, e il bilancio non è definitivo. Ad imbracciare il fucile che li ha uccisi è stato Salvador Ramos, diciottenne, morto nello scontro a fuoco con la polizia intervenuta sul luogo, la Robb Elementary School.
Secondo i dati del Center for Homeland Defense and Security sono 137 le sparatorie avvenute negli Stati Uniti da inizio anno. Nel 2021 gli attacchi nelle scuole erano stati 249, un dato peggiore rispetto a quello degli anni precedenti.
Due docenti universitari americani, James Densley , della Metropolitan State University, e Jillian Peterson, della Hamline University, tengono un database nel quale annotano ognuno di questi episodi. Ciò li ha aiutati a stilare un profilo del tipico autore di sparatorie di massa scolastiche. Di norma questi individui sono ancora inseriti nel circuito di formazione o ne sono appena usciti. In molti casi l’obiettivo coincide con l’istituto d’istruzione frequentato e il loro comportamento comincia a cambiare poco prima dell’attacco a seguito di una crisi, esistenziale o emotiva, di qualche genere. La loro azione è spesso ispirata da quella di tiratori che li hanno preceduti.
Secondo i due docenti, le scuole incontrano evidenti difficoltà nel fronteggiare gli attacchi. Il problema, sostengono, risiederebbe nella mancanza, a livello federale, di una legislazione organica sul tema. Questo vuoto normativo, negli anni, ha spintole scuole ad adottare misure diverse da istituto a istituto che, stando al recente aumento di questo episodi, non stanno funzionando.
«Le sparatorie nelle scuole non sono inevitabili. Si possono prevenire. Ma i professionisti e i responsabili politici devono agire rapidamente perché ogni sparatoria a scuola alimenta il ciclo per quella successiva, causando danni ben oltre quelli misurati in vite perse».
I due contrappongono questa eterogeneità di provvedimenti all’azione legislativa compatta intrapresa in Regno Unito, Finlandia e Germania. Ma, oltre a questo, c’è anche un altro dato, una specificità, che diversifica la situazione americana da quella europea: l’accesso alle armi.
«La maggior parte degli autori di stragi scolastiche trovano l’arma in casa», sostiene il condirettore dell’Istituto per la prevenzione delle lesioni da arma da fuoco, Patrizio Carter, insieme ai colleghi della Wayne State University, Zimmerman e Sokol. «Dall’inizio della crisi della salute pubblica, le vendite di armi da fuoco sono aumentate. Molte di queste armi da fuoco sono finite nelle famiglie con bambini adolescenti, aumentando il rischio di lesioni o decessi accidentali o intenzionali o di morte per suicidio».
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In questo quadro, peculiare e, se possibile, ancor più estrema è la situazione texana. Nello stato lo scorso settembre è entrata in vigore una legge fortemente voluta dal governatore repubblicano Greg Abbot. Secondo il provvedimento è consentito a tutti gli individui di età superiore ai ventuno anni di detenere e portare con sé, anche in luoghi pubblici, un’arma. Non è necessario né possedere una licenza né aver seguito un addestramento, l’unica limitazione è a carico dei pregiudicati o degli individui soggetti a particolari restrizioni. «Forza acquistate più armi» aveva twittato il governatore nel 2015. Parole che, a rileggerle ora, suonano ancora più inquietanti.