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Esclusiva

Maggio 25 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 26 2022
Steve Kerr e l’NBA che lotta

Steve Kerr, prima della partita degli Warriors contro i Mavericks, si è espresso duramente sulla strage di Uvalde.

«Non risponderò ad alcuna domanda di campo. Da quando ci siamo allenati non è cambiato niente per la nostra squadra, ma a 400 miglia da qui quattordici bambini (diciannove alla fine n.d.r) e un’insegnante sono stati uccisi.» Mancano poche ore alla quarta partita della serie delle Finals di Conference NBA tra Golden State Warriors e Dallas Mavericks. Steve Kerr, allenatore degli Warriors, entra in sala stampa sconvolto e arrabbiato.  Ad Uvalde, a poche ore di macchina da San Antonio, Salvador Ramos è entrato nella Robb Elementary School uccidendo venti persone.

Nelle ultime settimane negli Stati Uniti le stragi con arma da fuoco si sono susseguite a un ritmo frenetico. Prima a Buffalo, dove le motivazioni razziali hanno spinto un giovane a entrare dentro il supermercato Tops uccidendo dieci afroamericani, mandando in diretta su Twitch quella follia. Il 18 maggio un altro attentato spinto dall’odio razziale ha causato la morte di una persona e al ferimento di altre cinque in una chiesa taiwanese a Laguna Woods, nel sud della California. Il 24 maggio la tragedia di Uvalde.

«Quando faremo qualcosa? Sono stanco di dover venire in conferenza stampa ogni volta e offrire le mie condoglianze alle famiglie devastate. Ne ho abbastanza» ha urlato Kerr sul punto di un pianto colmo di dolore per l’impotenza di aver assistito a stragi del genere troppo spesso nell’ultimo mese. «Il tempo di restare in silenzio è finito. Come possiamo andare in campo e gridare ‘Forza Warriors’?».

Kerr è nato a Beirut, in Libano. La famiglia seguiva il padre, Malcom Kerr, diplomatico che era diventato presidente dell’American University nella capitale libanese. A diciannove anni ormai non viveva più a Beirut con i genitori, ma era tornato negli Stati Uniti dove studiava alla Arizona University inseguendo il sogno di diventare un giocatore NBA. La sera del 18 gennaio 1984 riceve una chiamata dalla madre. Mentre usciva da una lezione, il padre di Steve venne stato raggiunto al volto dai proiettili di due killer. L’attentato fu rivendicato dall’Organizzazione Islamica Jihadista.

Questa ferita rimane uno dei motivi per cui Steve Kerr quando si tratta di tematiche sociali parla così chiaramente. Insieme ai suoi giocatori già nel 2017 aveva deciso di non partecipare alla tradizionale visita alla Casa Bianca che spetta ai vincitori del titolo NBA.

Nella conferenza stampa di ieri chiama in causa la politica in un attacco che in poche ore ha fatto il giro delle televisioni americane: «Siamo tenuti in ostaggio da cinquanta senatori che si rifiutano di votare la House Resolution n.8. Mitch McConnell lo chiedo direttamente a voi senatori che vi state rifiutando di votare: volete mettere davanti alle vite dei nostri figli il vostro desiderio di potere?»

La House Resolution n.8 è conosciuta anche come “Bipartisan Background check act”. Votata nel 2019 alla Congresso, e di nuovo nel marzo del 2021, questa legge obbligherebbe i venditori di armi online non autorizzati a chiedere il controllo dei precedenti ai negozi che invece un’autorizzazione ce l’hanno. Al momento solo ventun stati su cinquanta nell’Unione hanno questa legge, mentre il Senato solo nella giornata di ieri ha messo in calendario la prima lettura del documento.

  «Il 90% degli americani, a prescindere dalla fede politica e dal fatto che uno abbia armi o meno, sostiene il Background Check e cinquanta senatori a Washington si rifiutano di fare qualcosa. È patetico!» conclude l’allenatore dei californiani prima di alzarsi e andarsene dalla conferenza senza rispondere alle domande dei giornalisti.

A fine partita, sull’onda delle dichiarazioni pregame di Kerr, anche Stephen Curry, leader dei Golden State Warriors, ha preso la parola: «Ammiro la leadership di Steve. Era difficile rimanere concentrati sulla partita dopo ciò che è successo poco distante da qui. Anche io ho dei figli che vanno alle elementari… Cercherò di capire come poter usare la mia voce e la mia piattaforma per portare un cambiamento.»

Nel 2018 una giornalista della trumpiana Fox News, Laura Ingraham, disse a Lebron James e Kevin Durant che non era loro compito parlare di politica, che avrebbero fatto meglio a «star zitti e palleggiare.»  A distanza di quattro anni, per fortuna, Steve Kerr non si è limitato a star zitto e allenare.