«La vita di un bambino diacronico ha colpi di scena, è il sasso che una fionda, la storia, ha lanciato». Pietro Migliorisi ha vissuto al di qua della storia del Novecento, e in una valigia di pelle e cartone, in due casse di vini e liquori e in una busta di confetti e canditi ha lasciato agli eredi di pixel parole di carta. «All’indomani della morte di mio padre Alfredo, ho scoperto in diari taciuti la carne che circondava una storia che conoscevo soltanto sotto forma di scheletro» spiega Davide Orecchio, autore del romanzo Storia Aperta, tra i dodici candidati al Premio Strega 2022. «Ho incontrato mio padre nella discesa, era anziano, poteva essere mio nonno. Le sue carte hanno svelato il travaglio della vita matura di intellettuale e giornalista, non intercettata da me e attraversata dalla storia del Novecento, un secolo ultrastorico fatto non solo di adesione e militanza ideologica, ma anche di violenza e di guerra, e a sua volta attraversato dalla biografia di mio padre». Come Alfredo Orecchio e un’intera generazione di giovani, Pietro Migliorisi è un bambino diacronico, «figlio infantile, imprudente, sprovveduto e temerario dell’iperstoria».
Pietro affonda le radici a Enna, nell’isola di Sicilia, dove conosce il padre, un plumbeo capostazione che comanda la campagna, la madre obbediente, le sorelle e un fratello malato di guerra. Tra «le case sbavate dall’arsura e dal vento», «Pietro ha gli occhi affranti dal troppo guardare, immaginare, desiderare il mondo che c’è oltre il casello e i binari» e «guarda il futuro oltre il buco dove s’infilano le rotaie al chilometro centosei». Il primo domani di Pietro è a Messina. Lo Stretto, che legge le poesie e testimonia l’amore per Michela, ragazza spezzata tra moglie e desiderio, si rabbuia però con la creazione del mondo di M. «I bambini diacronici nascono nel regime fascista e con l’educazione della dittatura sbocciano e diventano naturalmente fascisti» spiega Orecchio.
Il fascismo avvolge anche Pietro, uomo nuovo cresciuto per l’Impero, che assorbe le «idee fisse di conquista e missione», la patria, la maternità, la razza, il confino, la battaglia del grano, le bonifiche, l’autarchia, il lavoro nei campi, l’alleato nazista e la guerra. «I bambini diacronici non giocano alla velocità con le slitte oppure alla ritirata o all’assalto, hanno cartucce vere, i mortai esistono, i cadaveri esistono, le esplosioni non simulano, le ferite non fingono, ogni urlo risponde alla necessità che si urli». Il fascismo sorregge la vita di Pietro perché «Pietro da solo si perde», ma tra le campagne di Etiopia, Grecia e Sicilia, il soldato smarrisce il desiderio fortissimo di vincere, arde di gelosia per Michela e immagina il figlio Vasco.
Nell’appartamento del quartiere romano di Prati e «nel mezzo del secolo che si spacca come una mela, rossa di qua e nera di là», Pietro il giornalista si spezza schiacciato dagli sguardi dei morti, e complotta. «Grazie al riscatto della Resistenza, i bambini diacronici diventano antifascisti proprio perché sono stati fascisti, e così rinascono» spiega Orecchio. Pietro riceve le storie da Radio Londra, la carne dal mercato nero, l’armistizio da Badoglio, la Repubblica di Salò da M. e la liberazione dagli angloamericani e affossa la vergogna del passato nero in un padre rosso.
Barricato nel partito comunista di Palmiro Togliatti, Pietro spera suture di identità, ma il secolo travolge la spezzatura e squarcia i crimini di Stalin, le denunce di Kruscev, la perestrojka di Gorbacev, la fine del regno, la tenacia di Almirante, la salvezza di Berlinguer, i crateri nella piazza di Brescia e alla stazione di Bologna, gli schermi di Berlusconi, la Seconda Repubblica. «La storia non mi ha lasciato mai in pace. Non ho mai preso fiato, ho fatto quanto potevo».
Nel tempo del biancore e della rassegnazione, Pietro è accudito dalle lettere di Michela, fedele nella tenerezza dell’inchiostro, dalla vecchia Olivetti, dalle poesie di Montale e dalle copie dell’Unità. «L’ombra del tramonto di mio padre Alfredo si è allungata su tutta la vita di Migliorisi, che ne estremizza gli aspetti di sfortuna, solitudine e infelicità» spiega Orecchio.
Ma i bambini diacronici e la storia raccontano la verità? Fidarsi dei bambini diacronici è impossibile. «La storia è sempre da interrogare, soprattutto per noi che veniamo dopo e siamo cittadini del paese che, prima di inventare la forte volontà antifascista che ha gettato le basi della democrazia e della Costituzione, ha inventato il fascismo. La storia deve restare aperta, per non ricadere negli stessi errori».
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