«I bambini vedono la realtà, non hanno bisogno di essere educati rispetto a quello che è l’amore, non lo mettono in discussione». Commenta così, Esther Elisha, voce italiana del Capitano Hawthorne, primo personaggio Lgbtq+ della Pixar in Lightyear – La vera storia di Buzz, che ancor prima della sua uscita in sala fa discutere per la scena di un bacio. Lo stesso bacio censurato in Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi e che nei mesi scorsi ha sollevato una protesta all’interno della Disney contro la sua eliminazione internazionale.
I bambini ci guardano – afferma il celebre titolo di Vittorio De Sica – e capiscono. «Oggi i più giovani sono consapevoli e forti nell’affermarsi rispetto a come sono e a chi sono» e in questo ricopre un ruolo fondamentale l’idea di rappresentazione mediale, «che conta perché vederti, vedere che esisti, non solo perché tu lo sai ma perché gli altri ti vedono, è una delle cose che ti fa sentire più accolto e ti permette di andare avanti per la tua strada in modo molto più morbido»
L’orientamento sessuale del Capitano Alisha Hawthorne non è che una pennellata, come dice Ludovico Tersigni, che nel film dà la voce al tenero robot felino Sox. «È un messaggio sottile, sullo sfondo» ma non per questo meno potente, perché inserito in un cartone animato, per bambini e per adulti, come parte della quotidianità, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. «Significa che iniziamo a crescere delle persone con una diversa purezza di spirito e un atteggiamento di non ostilità verso il comportamento naturale dell’amore»
In un simile contesto, anche l’eroe si trasforma assorbendo nel suo viaggio canonico nuovi tratti che rispecchiano i temi oggi più pressanti, primo fra tutti lo sgretolamento della mascolinità tossica.
La grandezza e il fascino di Buzz Lightyear sono quelli dei personaggi degli anni Novanta, di un Icaro potente, ambizioso ed egocentrico, che punta al sole, verso l’infinito e oltre. Il nuovo Buzz, così come lo vede anche il suo doppiatore italiano, Alberto Boubakar Malanchino, disintegra pezzo dopo pezzo quell’immagine: «Spesso siamo abituati a pensare che noi singoli siamo sempre un po’ responsabilizzati nel volere tenere il mondo sopra le nostre spalle, non ci diamo mai la possibilità di sentirci fallibili, questo è invece un racconto che parla della fallibilità dell’uomo e alla fine il viaggio, il percorso, è il regalo più grande che ti lascia». La cooperazione, l’amicizia e il riconoscimento dei propri errori come momenti di crescita sono il fulcro di questo “film nel film”, esperimento drammaturgico Disney su diversi fronti, che torna nel 1995 di Toy Story per presentare al pubblico la storia che ha conquistato Andy – il bambino del cartone animato originale – al punto da desiderare il giocattolo dello Space Ranger Lightyear.
Un’avventura che trova il suo spazio all’inizio della linea del tempo della Pixar, di cui Toy Story è il primo lungometraggio, e che al tempo stesso chiude un capitolo di oltre venticinque anni, inaugurando un nuovo linguaggio per la generazione successiva.
Leggi anche: Cartoni animati queer, Disney vittima della disinformazione anti-LGBT