L’ultima inaugurazione del Maestro Antonio Pappano all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia non poteva cominciare con un miglior successo. È la prima volta che l’Elektra di Richard Strauss – dramma in un atto su libretto di Hugo Von Hoffmanstall – viene rappresentata a Santa Cecilia. Debutto anche per Pappano stesso, che tende le redini di un’orchestra di 126 elementi donando all’Elektra una veste violenta e, allo stesso tempo, ricca di dolci sfumature.
Il dramma ruota intorno all’omonima protagonista, ossessionata dai fantasmi del padre Agamennone, ucciso dalla madre Clitemnestra e dal suo amante Egisto. Proprio perché rappresentazione della sofferenza di una figlia, la partitura di Strauss si snoda come una tensione continua, alternando dissonanze e armonie tonali in un costante tumulto musicale. L’opera, infatti, segue la scia della precedente Salome, in cui Strauss aveva spinto il suo linguaggio verso le nuove possibilità della musica atonale.
L’approccio di Pappano nei confronti di un dramma così complesso – due ore senza interruzione in cui orchestra e voci si incontrano su più livelli – è chiaro fin dall’inizio. I pesanti accordi iniziali – in tonalità minore, il tema di Agamennone – circondano il pubblico con un suono denso e corposo. Il direttore mostra, da quel momento, di bilanciare i volumi orchestrali con grande abilità, ponendo enfasi sulla cantabilità senza però mai eccedere.
Pappano suddivide la partitura in due momenti, prima e dopo l’annuncio della morte di Oreste. Fino a questo evento, il direttore affida all’orchestra pochi fortissimi: poi, seguendo la tensione crescente della partitura, lascia che il suono cresca fino all’avvicinarsi della danza finale di Elektra. A quei movimenti – tanto simili a quelli di Salome seppur non così sensuali – Pappano arriva senza trasformare la partitura in un vortice infernale.
Ed in questo è certamente aiutato dalla protagonista, interpretata dalla lituana Ausrine Stundyte. La soprano non è nuova al ruolo di Elektra, che ha già vestito in diverse occasioni prima di questa. Il volto che Stundyte dà alla protagonista è limpido dal principio, quando Elektra si presenta all’orchestra con un dolcissimo e straziante Allein! Weh, ganz allein!. La sua voce non conta tanto sulla potenza quanto su una varietà interpretativa tecnicamente impeccabile: Stundyte gioca con i colori e le dinamiche, dipingendo di Elektra un ritratto tragico e dalle indomabili sfaccettature.
Valide a metà le altre scelte di cast. Elisabet Strid è Cristotemide, sorella di Elektra: la sua voce impiega un po’ di tempo prima di sfondare la scena, mentre la recitazione esprime a pieno il suo tormentato desiderio di vivere moglie e madre. Petra Lang, invece, offre di Clitemnestra un’immagine forse tradizionale, lasciando il segno per l’impeto e la correttezza con cui esegue la sua difficilissima aria. Calzanti Neal Cooper, nel ruolo di Egisto, e Kostas Smoriginas in quello di Oreste: fraseggi e voci chiare per entrambi.
“Come potrei non sentire? Come potrei / Non sentire la musica?” ripete la protagonista alla sorella. “Ma se viene da me”. Come un’emanazione di sé, l’Elektra di Pappano fa emergere tutte le sfumature di un dramma che non è solo una storia di vendetta ma anche un’affascinante discesa nella psiche della protagonista. Impeccabile nel suono e avvolta da un’orchestra compatta e risonante, l’esecuzione raggiunge il finale con grande intensità. Premiata, non certo senza motivazione, dalla standing ovation dell’intero auditorium.
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