«Con l’intelligenza artificiale sarebbe possibile far vedere l’impossibile. Un tempo era complesso generare immagini. Per produrre fotografie si lavorava con pellicola e rullini e il prodotto finale era sempre cartaceo. Oggi, invece, l’immagine è digitale, facile da realizzare e divulgare» spiega Adriano Attus, visual journalist e direttore creativo de Il Sole 24 Ore.
Attus ha iniziato ad applicare l’AI alle immagini lo scorso anno. «Ho iniziato a fare qualche studio e ho notato che si stava diffondendo questa modalità dei software, a numero chiuso, che era possibile ottenerli attraverso inviti e iscrivendosi nella mailing list».
È stato insegnato ai computer, con operazioni di machine learning e con tecniche di apprendimento continuo, di far riconoscere immagini e generare testo. «Il computer era stato progettato e studiato affinché dicesse che cosa conteneva la fotografia. Questa è un’operazione che viene spesso usata nelle agenzie di stampa e nei giornali per creare didascalie automatizzate».
Quando invece le immagini vengono create da stringhe di testo si parla di software text-to-image. Si chiede un comando e si ottiene un’immagine. L’algoritmo non pone limiti all’immaginazione, tanto da poter chiedere «disegnami un cavallo rosso su un cielo verde che corre attraverso un cerchio di fuoco fatto alla maniera di Van Gogh». Il software elabora gli elementi richiesti e genera delle immagini.
Esistono ancora delle limitazioni nella gestione, ma è ormai alla portata di tutti. Un esempio è la nuova moda della creazione dei propri avatar, in voga sui social e sui videogiochi. «Una volta questo era impensabile» dice il direttore creativo.
Ciò che preoccupa, però, è l’aspetto etico della creazione di immagini. Per esempio, Google ha bloccato un suo progetto per una questione etico-morale: il software elaborava sulla base dei visi che compaiono sulla rete.
Attus ha condotto delle prove per vedere quali sono le risposte degli algoritmi quando i comandi sono termini pornografici. «Bastano anche dei termini inglesi, non necessariamente legati a sex e naked, che vengono bannati dal sistema e il software non genera nessun tipo di immagine».
In tema lavorativo, c’è chi teme all’interno delle redazioni di poter essere sostituito dall’intelligenza artificiale. Adriano Attus rassicura: «Prima si immaginava che l’arrivo dei computer avrebbe devastato la vita dei giornalisti. Da un lato questo ha scremato un certo tipo di attività ripetitive dove l’uomo è stato sostituito da una macchina. Dall’altro sono rimasti coloro che sapevano usare il computer. Prendono poi piede gli smartphone e arriva il bisogno di introdurre nuove figure necessarie per produrre determinati contenuti, dal motion designer al grafico evoluto, dal sound designer al podcast developer».
Anche l’artista Merzmensch rasserena sul fatto che l’AI creerà nuove posizioni di lavoro. «Sono molto sicuro, avendo esplorato questa scena tecnologica da anni, che l’AI non rimpiazzerà mai la creatività umana, anzi aiuterà a espandere gli orizzonti creativi. Per quanto perfetta possa essere ci sarà sempre qualcuno che dovrà controllarla e manipolarla». L’intelligenza artificiale crea immagini ma l’essere umano deve scegliere cosa fargli fare.
«Sono un artista moderno, uso l’AI per creare arte. Oggi l’intelligenza artificiale è diventata la mia musa» dice Merzmensch, pseudonimo di Vladimir Alexeev, nato in Russia. Si definisce «un cosmopolita, un cittadino del mondo».
Per lui, l’arte generata dall’intelligenza artificiale è paragonabile all’avanguardia storica del 1920: «il Futurismo italiano di Giacomo Balla, il Dadaismo tedesco di Kurt Schwitters e il surrealismo di Marcel Duchamp».
Vladimir ha gli occhi entusiasti nel raccontare di come l’AI sia in grado, a distanza di molti anni da questi movimenti artistici, di reinterpretare l’arte e creare un modo di comprenderla: «darà vita a nuove forme di pensiero, rivoluzionerà la cultura e sarà di forte impatto per l’anima e la mente di chi la sperimenterà».
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