I movimenti pro-life stanno concentrando le loro campagne su un nuovo bersaglio: la Carriera Alias nelle scuole e nelle università. Questo strumento temporaneo di tutela della privacy permette alle persone della comunità Lgbtq+ di avere nelle scuole e negli atenei documenti interni in cui è riportato il loro nome di elezione anche se ancora non si è conclusa la rettifica anagrafica dei documenti ufficiali.
La Carriera Alias, introdotta per la prima volta all’Università di Torino nel 2003, con il metodo del “doppio libretto”, ha portato a dei risultati molto positivi, facendo sentire gli studenti più sicuri e riducendo il rischio di depressione.
Per quanto non esistano ancora linee guida da parte del ministero dell’Istruzione, più di centocinquanta scuole e sessanta atenei hanno adottato questo metodo grazie ad accordi nati dalla collaborazione tra studenti, famiglie, istituiti e associazioni Lgbtq+.
Questo strumento è diventato però il bersaglio di attacchi e campagne diffamatorie, che ha raggiunto il suo apice con un’azione legale intentata dall’associazione antiabortista e anti-gender Pro-Vita e Famiglia contro le scuole che hanno attivato la Carriera Alias, chiedendo un intervento diretto del ministero dell’Istruzione.
“La Lobby Lgbtq+ sta introducendo la Carriera Alias nelle scuole dei nostri figli e nipoti, sin dalle elementari, per convincerli che possono scegliere di che sesso essere e chiedere all’istituto di essere chiamati con nomi di fantasia anziché coi loro nomi reali. Assurdo!” così inizia il comunicato stampa rilasciato da Jacopo Coghe, portavoce di Pro-Vita e Famiglia.
L’associazione ha lanciato quella che ha definito “la più grande operazione legale contro l’ideologia gender mai realizzata in Italia”, arrivando a notificare 156 diffide ad altrettante scuole che avevano approvato la Carriera Alias. Secondo Pro-Vita e Famiglia, questi istituti violerebbero l’articolo 479 del Codice penale in materia di “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”, anche se l’alias non viene utilizzato per documenti ufficiali ma soltanto per uso interno agli istituti.
“Non reputiamo che queste diffide abbiano un fondamento giuridico, sono accuse che di fronte a un tribunale non reggerebbero” ha commentato Vincenzo Miri, presidente di Rete Lendford – avvocatura per i diritti Lgbtq+. “Queste sono denunce strumentali, tentativi maldestri di spaventare i dirigenti per disincentivare questa metodo di inclusività”.
L’associazione Pro-Vita e Famiglia ha dichiarato che già dopo poche ore diverse scuole hanno fatto marcia indietro, sospendendo la Carriera Alias o bloccandone l’attivazione. Eppure, secondo numerosi istituti e famiglie associate non è stata comunicata alcuna revoca dell’accordo già esistente tra scuola e famiglia.
“Il punto”, chiarisce l’avvocato Miri, “è che queste accuse partono da un presupposto sbagliato: non si cambia il nome giuridico e legale del ragazzo o della ragazza, ma si usa semplicemente uno pseudonimo. Questo alias è un semplice stratagemma che consente allo studente o alla studentessa di farsi chiamare con il nome di elezione che appartenga al genere che egli o ella ritenga il proprio. La Carriera Alias è una normativa interna agli istituti e che parte dall’autonomia scolastica per promuovere benessere della persona”.
I soggetti centrali di questa disputa rimangono gli adolescenti transgender che, anche da minorenni, possono procedere alla rettifica dei documenti. Nel 2015, con una sentenza della Corte di Cassazione è stato stabilito che non è più necessario sottoporsi a interventi chirurgici per poter cambiare i documenti. Tuttavia, l’iter burocratico è spesso molto lungo, per questo molti, soprattutto minorenni, scelgono la via della transizione sociale: ci si presenta al mondo con il sesso e il genere di elezione.
Il dibattito sulla questione dei minori transgender non è nuovo, ma si è acuito negli ultimi anni, assumendo aspetti di allarmismo che poco hanno a che fare con la realtà. Nella discussione pubblica sul Ddl Zan molti giornali hanno raccolto articoli e storie in cui la transizione viene descritta come una sorta di epidemia, un immaginario che lega l’esperienza transgender alla malattia e alla devianza.
Al di là delle speculazioni sul tema, ci sono dati che sottolineano come l’adozione della carriera Alias all’interno delle scuole abbia portato a un aumento del benessere psicologico di chi la adotta. “Ho vissuto l’esperienza diretta di un ragazzo che ha avuto accesso alla Carriera Alias all’interno di istituto scolastico nel quale si era trasferito che, nel rischio che una sua professoressa svelasse il suo nome anagrafico, era molto preoccupato, perché lui stava benissimo così, si sentiva veramente sé stesso” ha raccontato il presidente di Rete Lendford.
È difficile pensare che queste diffide non abbiano come scopo principale una volontà di tornare a trattare un tema come il processo di transizione e di criminalizzarlo. Eppure, sembra difficile che si possa arrivare ad accusare di un reato chi usa uno strumento che è finalizzato alla promozione dell’uguaglianza della piena personalità che trova conferme nella giurisprudenza, nella Costituzione e nella normativa scolastica.
Leggi anche: «Marciamo per sentirci al sicuro» L’orgoglio queer in piazza