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Esclusiva

Dicembre 21 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Gennaio 15 2023
Licenza di uccidere. Storie di stragi: da Bologna a Fidene

Il noleggio di armi diventa diritto di ammazzare per chi lo vuole. Una morte annunciata colpisce due TSN a distanza di poco più di 10 anni

Porti con te la tua pistola oppure la noleggi – in un poligono di tiro – e spari. Non puoi provocare danni, ma svolgere attività sportive o militari. Ma accade che qualcuno, se non è sorvegliato, ruba una pistola e compie una strage. È quanto successo al Tiro a Segno Nazionale, Sezione di Roma di viale di Tor di Quinto, con la strage di Fidene, l’11 dicembre 2022 e al poligono di Bologna di via Agucchi nel 2011

Oggi

Dieci giorni fa un uomo, Claudio Campiti, ruba una pistola che aveva noleggiato, uccide quattro donne e ferisce gravemente altre tre persone durante una riunione condominiale con il Consorzio Valleverde. Parte l’accusa di quadruplice omicidio volontario aggravato da premeditazione e dai futili motivi e il triplice tentato omicidio per le persone rimaste ferite. Vecchi litigi con quel consorzio emergono dal passato dell’uomo.

Ieri

La volontà del colpevole era una sola: uccidere. Accomunato dallo stesso sentimento – circa 11 anni fa – Marcello Pistone sottrae un’arma al TSN di Bologna, la sostituisce con una pistola giocattolo e, con quella portata via, ammazza la moglie, il figlio e, poi, si suicida. Pistone era già stato accusato di violenza e di stalking in passato, ma era stato rimesso in libertà. Una storia che, in seguito alla vicenda, ha stravolto le modalità di controllo nel poligono bolognese.

«Venti metri separano la segreteria d’armeria – il luogo in cui puoi noleggiare un’arma da fuoco – e l’area di tiro» specifica Bruno Scannocchia, il presidente del TSN di Bologna. Un breve tratto di strada che puoi fare da solo. Ma questo poteva accadere prima dell’omicidio del 2011. Ora c’è un plus che si aggiunge al registro in cui è trascritto tutto: dal numero di matricola dell’arma alle munizioni utilizzate.

Traspare sollievo dalle parole del presidente. «Una valigetta con due lucchetti, contenente l’arma, viene consegnata da un addetto dell’armeria al direttore di tiro. Il direttore, preposto al controllo delle attività, apre la valigetta, tramite due chiavi, e consegna l’arma al tiratore che, dopo l’allenamento, la restituisce al direttore. Questo, poi, la ripone nell’armadietto blindato. A fine giornata tutte le armi saranno riconsegnate in segreteria. Così il tiratore ha l’arma solo quando spara e, durante le attività, è continuamente controllato dal direttore. Il tiro non è mai libero».

Gli errori

Una sorveglianza meticolosa che avrebbe potuto ostacolare il progetto di Campiti. Vincenzo del Vicario, il segretario del Savip, il sindacato autonomo vigilanza chiarisce che «al tiro a segno Nazionale di Roma nessuno verificava da anni l’adeguatezza delle procedure di sicurezza per l’affidamento delle armi e delle munizioni ai tiratori…l’armeria è distante dalle linee di tiro, nessun controllo agli ingressi in entrata e in uscita». L’uomo tesserato dal 2018 con card Platinum non aveva ottenuto il porto d’armi, a causa di alcune denunce dei condomini, ma era riuscito ad ottenere un sì per il certificato di idoneità psicoattitudinale che gli permetteva di frequentare, ogni anno, l’impianto di tiro a segno. Il presidente del TSN di Bologna spiega che «puoi ottenere l’idoneità all’uso delle armi presentando alcuni documenti e il certificato anamnestico che, rilasciato dal medico curante, attesti l’assenza di malattie mentali…segue la frequentazione di corsi di formazione. Il TSN è come l’ACI. Siamo la scuola guida che impartisce il corso.».

L’assenza di un sistema di verifiche ha facilitato la morte di molte persone, ma è una vicenda che, probabilmente, sarebbe accaduta in qualsiasi condizione. Come scriveva la scrittrice inglese Virginia Woolf  «non c’è cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente». Sembra leggersi questa visione della mente umana nelle risposte del presidente del TSN di Bologna alle domande. «Non bisognerebbe colpevolizzare l’oggetto, il proiettile, la freccia, ma il soggetto, l’uomo. Si parla dell’arma non di chi l’ha usata. In filosofia si chiama reificazione». È, infatti, definita dalla Treccani come il ‘processo mentale per cui si converte in qualche cosa di concreto, o si viene a considerare tale, ciò che ha soltanto esistenza astratta’. «Il problema non è l’arma. Il tiro a segno è uno degli sport più zen. Non c’è un avversario come nel calcio. Non insegni a compiere il fallo senza farti vedere. Combatti da solo contro il bersaglio di carta». Per Scannocchia soltanto «l’educazione al dialogo» potrebbe evitare epiloghi simili.

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