Yamila Ammirata
La tradizione natalizia della mia famiglia è il gioco. Subito dopo pranzo si inizia con la tombola, con lo zio che al primo numero urla ambo e il nonno che non sente e chiede di ripetere. Tra un regalo e l’altro si passa poi alle carte, da Sette e mezzo a Trentuno da Mercante in fiera alla Briscola. Dopo tanti litigi con chi bara e tanto cibo nello stomaco rimaniamo consapevoli che questo è ciò che ci unisce e ci diverte da sempre.
Silvia Andreozzi
La tradizione che più ha definito il periodo delle mie feste natalizie riguarda l’epifania. Nella mia famiglia si canta la befana la sera del 5 gennaio. La preparazione per l’arrivo della vecchia signora richiedeva tutta la giornata, perché se la musica è sempre rimasta la stessa, la stessa che intonava mia nonno, le parole delle strofe dovevano cambiare di anno in anno. Per ogni bambino versi di raccomandazioni e rimproveri, strofe tenere per gli altri. Una sola volta l’anno la fisarmonica di mio padre usciva dalla soffitta ed era quando, carica dei fogli fitti di versi nuovi, veniva con noi a casa di mio zio, là dove la scopa della befana, vincendo la tramontana, sarebbe atterrata. Ma lei arrivava solo se chiamata. Strumenti alla mano, quindi. Ognuno il suo. Per invocare la befana, una canzone conosciuta. La stessa cantilena ogni anno. «Befana befana», nessuno arrivava. «Siete una sposa, siete una dama». La canzone continuava e veniva ripetuta, sempre più forte. Finché, tre colpi di bastone sulla porta. Era arrivata, poteva iniziare il rito.
Alissa Balocco
Cappelletti in brodo, rigorosamente fatti a mano. Sono il piatto costante del mio Natale, presenza fissa, certezza in mezzo ai tanti cambiamenti della nostra famiglia. Una tradizione ereditata dalla mamma e dalla zia, originarie di Castiglione di Ravenna: la preparazione dei cappelletti comincia mesi prima, e, se si è fortunati, qualche domenica di novembre ci si riunisce insieme per aiutare le mani esperte. Quest’anno sono quasi 800 i cappelletti fatti a mano: saranno cotti nel brodo di cappone, anche questo esclusivamente preparato dalle sorelle romagnole. Quando viene portata in tavola, la grossa pentola bollente scatena sempre un grande entusiasmo, ma il divertimento arriva con il momento del giudizio: il brodo sarà salato al punto giusto? Il condimento di carne adatto? Ottima la grandezza? La cosa bella delle tradizioni è che non saranno mai perfette: gustose, però, non finiranno mai di esserlo.
Luisa Barone
Con il dispiacere di chi non sopporta le lunghe festività, il Natale a Napoli si riassume in intere giornate dedicate a mangiare e fare festa. Si inizia con l’aperitivo del 24 – a cui non è ammesso cibo pena l’appetito rovinato in vista del cenone – in cui tutta la città si riversa nelle anguste strade napoletane per rincontrare gli amici di vecchia data. La musica, il traffico e le voci delle persone in strada tengono compagnia a chi invece è costretto a casa per i preparativi della cena, che segna l’inizio di un tour-de-force che finirà solo il 27 insieme agli avanzi.
Claudia Bisio
A Lipari il Natale non ha delle tradizioni specifiche ma durante il periodo delle feste viene avvolta da uno scenario quasi fatato che coinvolge tutti e 10 mila gli abitanti come in un grande presepe vivente. Le stradine e gli scorci caratteristici si illuminano, dando vita ad un piccolo universo parallelo in cui è possibile percepire la magia del Natale. Risalendo lungo le strade liparesi poi, si respira il profumo intenso degli “Spicchiteddi” (biscotti tipici a base di vino cotto, mandorle, scorza di agrumi e cannella) e dei “Nacatuli” (dolci a forma di foglia con pasta sfoglia mixata ad un bicchiere di Malvasia e ripieni di mandorle tritate, scorza di arance, cannella e liquore al mandarino), dolciumi tradizionali eoliani associati al periodo natalizio.
Giorgio Brugnoli
A Milano, durante il periodo natalizio, una tradizione molto sentita è quella della “Presepe di Milano”. Si tratta di una mostra di presepi artistici allestita ogni anno nella chiesa di San Lorenzo, nel cuore del centro storico della città. La mostra, che ha luogo a partire dal mese di dicembre fino ai primi giorni di gennaio, è organizzata dall’associazione “Amici del Presepe di Milano” e vede la partecipazione di artisti e artigiani che provengono da tutta Italia e dall’estero.
La mostra del Presepe di Milano è un vero e proprio viaggio nell’arte del presepio, un’occasione unica per ammirare la maestria e la creatività degli artisti che vi partecipano. È anche un modo per entrare nel clima natalizio e vivere l’atmosfera di festa che caratterizza questo periodo dell’anno. La mostra del Presepe di Milano è aperta a tutti e l’ingresso è gratuito, rendendola una manifestazione accessibile a tutti e adatta a grandi e piccini.
Inoltre, durante il periodo della mostra, la chiesa di San Lorenzo ospita anche numerosi eventi collaterali, come concerti di musica natalizia, laboratori per bambini e degustazioni di prodotti tipici delle feste. La mostra del Presepe di Milano rappresenta quindi una vera e propria festa per la città di Milano e un’opportunità unica per vivere il Natale in maniera autentica e coinvolgente.
Antonio Cefalù
Le tradizioni natalizie a Palermo comprendono l’allestimento di presepi, il canto natalizio, la preparazione di dolci tipici e lo scambio di regali durante la Vigilia. Inoltre, durante le festività si partecipa a celebrazioni religiose e si visitano le numerose chiese della città. È inoltre possibile partecipare a manifestazioni culturali e folkloristiche come il Mercatino di Natale. Tutte queste usanze rappresentano la cultura e le tradizioni della città e permettono di celebrare il Natale con la famiglia e la comunità.
Silvano D’Angelo
Il mio Natale è sempre stato all’insegna della semplicità, della famiglia e… della moltiplicazione degli zuccheri. Pranzi e cenoni non sarebbero devastanti se dopo quattro o cinque portate non arrivasse una selezione di dolciumi da fare invidia a Willy Wonka. Siccome in Abruzzo pandori, panettoni e torroni non ci bastano, abbiamo dovuto metterci del nostro: tipici dolci natalizi sono la “cicirchiola”, un insieme di palline di pasta fritte e mandorle tenute insieme da una colata di miele, e i “calgionetti”, dei bocconcini di pasta (rigorosamente) fritti ripieni di crema di ceci, secondo la tradizione, o di cioccolato, per una variante golosa. E la dieta inizia (sempre) il 7 gennaio.
Federica De Lillis
La mattina del 6 gennaio un percorso di dolci compare nella casa. Bisogna seguire le briciole, i cumuli di carbone e le carte rosse e bianche della cioccolata. Il sentiero misterioso va sotto e sopra i mobili, si avvita su se stesso, poi a destra, poco dopo a sinistra. Perdersi è scontato. Nessuno segue la strada della Befana pensando al bottino, tutti lo fanno per godersi l’attesa. I dolci bisbigliano promettendo meraviglie, si deve uscire di casa e scendere le scale. Una rampa, due, tre, fino al piano terra. Gli ultimi cinque scalini precedono l’ultima tappa della caccia al tesoro. Ci siamo quasi! Ma c’è una prova da superare: l’anziana guardiana della montagna dei dolci sottopone un indovinello: risposta corretta e si aprono i cancelli; risposta sbagliata e i regali finiscono nel camino. Chissà cosa accadrà stavolta.
Francesco Di Blasi
Una tradizione culinaria di famiglia che seguiamo ogni anno durante il periodo natalizio è quella del cotechino con le lenticchie la sera della vigilia di Natale. Il cotechino è un salume a base di carne suina, tipico del Lazio, condito con spezie e vino bianco, che viene cotto a lungo in acqua bollente. Lo serviamo con le lenticchie, che in gran parte d Europa simbolizzano la prosperità e la buona fortuna per l’anno nuovo. Questo piatto viene consumato insieme a tutta la famiglia solo in questa giornata, accompagnato da un bicchiere di vino rosso.
Caterina Di Terlizzi
Il Natale non è più una tradizione da quando avevo 12 anni. È il periodo più triste dell’anno e non vedo l’ora che finisca.
Ludovica Esposito
La tradizione di Natale della mia famiglia è l’annuale visione de Il Canto di Natale. Nel periodo festivo, l’associazione Il Pozzo e il Pendolo mette in scena una lettura del racconto di Charles Dickens nella sua sede di piazza San Domenico Maggiore, a Napoli. Paolo Cresta narra e Carlo Lomanto accompagna con effetti sonori che consentono una totale immersione. Il tutto è accompagnato da cibi e bevande tipici del Natale per entrare nella perfetta atmosfera. Molto divertente è che viene fornita anche una coperta, consentendo quindi di dormire, senza russare, durante la narrazione. In ogni caso, la vera tradizione di Natale è comunque quella di passare le feste con la famiglia.
Niccolò Ferrero
In Piemonte la notte della vigilia di Natale la tradizione vuole che ogni famiglia vada in chiesa a mezzanotte lasciando la finestra aperta, così che la Sacra Famiglia possa entrare in casa e riposarsi. Al ritorno, la famiglia dispone i doni sotto l’albero e si beve il Vin Brulè, un vino rosso bollente scaldato insieme a spezie e scorze di agrumi.
La sera della vigilia nei comuni piemontesi viene acceso un falò. Secondo la tradizione il fuoco riavvicina il Sole alla Terra nei giorni più bui dell’anno e può convincere gli dei a concedere una stagione di raccolti abbondanti.
Il più celebre è il “falò dla Bundansia”, il falò dell’abbondanza, in provincia di Biella, che porta con sé un messaggio. Se il vento fa cadere le scintille verso est si preannuncia un anno abbondante mentre se le fa cadere verso ovest si prevedono sventure. In base al falò il 2020 avrebbe dovuto essere un anno positivo.
Maria Teresa Lacroce
A Cropani il Natale profuma di cannella, uno degli ingredienti principali della Pitta ‘nchiusa, un dolce tradizionale calabrese la cui preparazione richiede tempo e pazienza. Simbolo della tavola delle feste, si prepara in famiglia: un intreccio di roselline ripiene di frutta secca e uvetta racchiuse da una sfoglia sottile e aromatizzate con chiodi di garofano, scorze d’arancia e mandarino. Se ne preparano tante di Pitta ‘nchiuse, una per ogni amico o parente e ogni casa ha la sua ricetta, un segreto tramandato da una generazione all’altra. Anche se ormai la maggior parte delle famiglie cuoce il dolce nel forno domestico, sono tanti ancora i cropanesi che, nella settimana che precede il giorno di Natale, si recano nell’unico panificio del paese per procedere con la cottura delle loro Pitta ‘nchiuse nel forno a legna. Un tripudio di teglie e chiacchiere mentre il profumo del dolce si diffonde per tutte le vie del borgo.
Elena La Stella
Si frigge. Dalla mattina la nonna indossa la cuffietta e il grembiule, prepara le padelle con l’olio, le teglie con l’impasto per la frittura e taglia con estrema precisione le verdure. “Ci dobbiamo sbrigare, se no facciamo tardi. Guarda quante cose dobbiamo fare ancora”. C’è un grande ordine: le verdure vengono fritte in una padella diversa da quella del pesce, perché “se no poi ha tutto lo stesso sapore”. Una piccola padella è per il fritto che tutti evitano: la mela. Solo il papà mangia la mela fritta e qualche sfortunato che la scambia per una patata. Ne avanza sempre qualche pezzo, ma ogni anno c’è nei vassoi perchè… è tradizione!
Giulia Moretti
A casa mia, in Umbria, non c’è giorno rosso sul calendario che non abbia una tradizione culinaria associata. E alla regola non sfugge di certo il Natale. Nei dieci giorni precedenti al 25 dicembre le mura della mia casa natale si riempivano ogni anno dell’odore dello zucchero caramellato, delle mandorle e di quello di canditi e frutta secca. Ma se dovessi scegliere un’immagine che quando mi si ripresenta alla mente è seguita, quasi istantaneamente, da quella di luci scintillanti e musichette natalizie, beh sceglierei senza ombra di dubbio quella della preparazione dei cappelletti. Anche in questo caso si tratta di un cibo. La lentezza con cui si cuoce la carne, la manualità con cui si impasta e si stende la sfoglia, la perizia con cui si arrotala la pasta su di sé per me racchiudono in gesti concreti il calore a cui credenti e non associano il Natale.
Silvia Morrone
La tradizione Natalizia Pugliese si percepisce dallo zucchero che ricopre le ‘cartellate’. Dolciumi fritti, conditi con vincotto, a forma di anello richiamano l’aureola di Gesù bambino. Ma il Natale lo riconosci anche dalle deliziose pettole, note come ‘Pittule’. Pallottole di pasta lievitata immerse nell’olio bollente. Dolci o salate sostituiscono, spesso, perfino la cena.
Beatrice Offidani
Il frustingo è un dolce di natale tipico delle marche a base di fichi secchi, dicono sia il più antico della regione e forse d’Italia. Si mangia a Natale, di solito con il caffè, insieme al panettone e al pandoro.
Mia nonna usava una ricetta, che aveva passato a mia madre, sperando che la nuora riuscisse a replicarlo (anche se mia madre ha sempre odiato cucinare). La sorella di mio nonno ne seguiva una diversa e un’altra zia sosteneva che il pane raffermo non andasse usato. Ogni donna della mia famiglia lo preparava in maniera differente e ne faceva una sua personalissima versione che poi andavano tutte a cuocere nell’unico forno disponibile, quello del padre di mio zio, primo fornaio del paese. La sua preparazione e addirittura il nome variano di paese in paese.
È una specialità antica, di origine povera, realizzata con ingredienti di recupero che si possono reperire con facilità. Mia nonna dice che si preparava con quello che si trovava per avere qualcosa di dolce da mettere in tavola anche quando non c’erano soldi, per questo sembra un’accozzaglia di frutta secca mischiata un po’ a caso.
Le vecchie zie continuano a prepararlo sperando di convincere le nuove generazioni con me, che da piccola non lo mangiavo, a portare avanti la tradizione. Mio zio ha ritrovato la vecchia ricetta conservata da suo padre, credendo che sarebbe rimasta una cosa di nicchia e che in pochissimi l’avrebbero comprata questo natale, invece in pochi giorni tutte le porzioni disponibili in pasticceria sono finite, battendo il panettone al pistacchio che sembrava sarebbe stato il più venduto di questo 2022
Enzo Panizio
Petardi. In provincia di Foggia una delle pratiche più diffuse è spendere centinaia di euro in petardi, botti, bombe di Maradona e fuochi d’artificio. Si possono comprare dai venditori ambulanti che ai bordi delle strade piazzano banchetti carichi di polvere da sparo. Così ognuno mette insieme un piccolo arsenale da mandare in fumo la sera della vigilia di Natale e alla mezzanotte del primo dell’anno. La gente si riunisce in piazza, in strada o in altri luoghi pubblici per festeggiare insieme con botti ed esplosioni colorate. Una tradizione un po’ dinamitarda mai apprezzata dalla mia famiglia, che ha sempre vietato ai piccoli di unirsi a questi pericolosi festeggiamenti. Non sempre i bambini sono stati felici di questo divieto ma si sono dovuti accontentare di osservare dal balcone, convinti a rinunciare dai dolci natalizi.
Leonardo Pini
Natale a Firenze significa svegliarsi con l’odore del brodo per il bollito sotto al naso. Il prezzemolo e l’aglio della salsa verde che accompagnerà il vassoio carico di lingua, muscolo, poppa. La portata principale del pranzo, o della cena, l’equivalente toscano dei tortellini in brodo emiliani. Entrando più nello specifico, al civico 68 di una strada di Firenze Nord, dove abito, la tradizione vuole che il nonno porti dei dolci tipici di Siena. Ricciarelli e non solo: panforte, panpepato e copate.
Silvia Pollice
«La Squije di Natale dure n’ora, eppure quanta bbene ti sumente! Tè na vucetta fine, e gna li sente pure lu lancianese che sta fore!» recita la prima strofa della poesia La squije di Natale, composta dal poeta Cesare Fagiani per celebrare una delle tradizioni più particolari di Lanciano, città abruzzese in provincia di Chieti. Il 23 dicembre, i lancianesi si incontrano alle 18 nella piazza principale per intraprendere un pellegrinaggio simbolico verso la chiesetta del quartiere Iconicella, che rievoca il cammino di Giuseppe e Maria verso Betlemme. Una volta rientrati in centro, i lancianesi si ritrovano nel punto da cui è partita la processione per scambiarsi gli auguri, accompagnati dai rintocchi della campanella (o Squilla) che scandisce l’inizio delle festività natalizie. Questa tradizione, nata 400 anni fa con l’allora arcivescovo della città Paolo Tasso, si conclude un’ora dopo in famiglia, dove si rende omaggio ai membri più anziani e si mangia tutti insieme. Nella cultura di massa, il regista Mario Monicelli rievoca questo momento di festa nel film Parenti serpenti (1992), in cui hanno recitato Alessandro Haber, Monica Scattini e Cinzia Leone.
Elena Pomè
Le mattine prima della scuola avrei desiderato sognare qualche ora in più, ma quando i guanti di Minni formavano un angolo tra le sette e le otto sul quadrante della sveglia rosa e il suono del dovere riempiva la stanza, io obbedivo. La notte prima di Natale, invece, risucchiava il sonno in un gorgo di trepidazione: le orecchie percepivano il tintinnio della slitta sotto la luna e i passi delle renne sulle tegole del tetto, mentre gli occhi scandagliavano il buio e intravedevano giù dal camino un robusto e barbuto signore vestito di rosso. Se l’indomani un gallo avesse cantato per accogliere l’alba, si sarebbe arreso alla concorrenza della bambina balzata giù dal letto, avvolta in una morbida vestaglia azzurra e planata sul lettone di mamma e papà ancora un po’ addormentati. Un’unica domanda abitava la mia testa: “Sarà passato Babbo Natale?”. Una forza irresistibile dilatava il tempo per scendere le scale, il numero dei gradini, la distanza tra noi e la porta a vetri del salotto, che sola custodiva la risposta. Se tra le trasparenze avessi intravisto le luci dell’albero decorato a festa, sarebbe stato un giorno felice, ma se avessi affondato lo sguardo nel buio, il cuore sarebbe balzato in un abisso di delusione. Pochi secondi, convinti di essere minuti, racchiudevano l’attesa, la speranza, il coraggio, la gioia. Pochi secondi cristallizzati nella memoria, tra i ricordi belli, quelli che talvolta fa bene raccontare.
Lorenzo Sangermano
A Bergamo, da bambini, il Natale arrivava con già un po’ di sazietà. La fame rimaneva, ma il desiderio di sorpresa, dei regali e dell’euforia condivisa era piuttosto sfumato. Con parecchio ritardo Babbo Natale rincorreva Santa Lucia, il vero giorno di festa. Antica martire cristiana, in suo onore i paesi organizzavano la sfilata di una giovane ragazza, travestita e truccata a sua immagine. A dorso di un cavallo, un vestito bianco, quasi lucido, che sfiora i piedi. Gli occhi neri e accecati, il simbolo della sua santità.
Il giorno precedente, ogni bambino si recava a una chiesa nel centro della città. Di fronte ai resti della Santa, depositava la lettera con le sue richieste. Un unico obbligo: la sera della sua visita, chiunque avrebbe provato a spiare Santa Lucia sarebbe stato accecato, proprio come lo è lei.
Questa, di tutte le festività, è sempre stata la più importante.
Martina Ucci
Non appena aprivo la porta potevo sentire la manovella della macchina per fare la sfoglia che girava. Sapevo che se avessi camminato in punta di pieni, piano piano, sarei riuscita a rubarne qualcuno. Così io e il nonno ci scambiavamo sguardi di complicità e mentre lui distraeva la nonna io avevo il tempo per prenderne un po’ per entrambi. Ho sempre amato i tortellini in brodo, ma mangiarli crudi con tutta quella pianificazione segreta mi è sempre piaciuto di più. Così alla fine riuscivo sempre a riempirmi le mani e tornare con il mio bottino. Non perché la nonna non se ne accorgesse, ma perché era un gioco tra di noi: lei faceva finta di non vedere e arrabbiarsi dopo e io scappavo via velocissima. La cosa più bella dell’aiutarla era che non li sapevo stringere bene, erano sempre troppo grandi e brutti, e così si che ero autorizzata a mangiarmeli: “Quelli brutti no, li puoi prendere tu!”. Ogni tanto mi fermavo a guardare quanto fossero belli e piccoli i tortellini della nonna, ma poi continuavo a mangiarne finché il mal di pancia non si faceva troppo forte da non riuscire più a fingere.
Valeria Verbaro
Aspro per il mandarino e dolce per la frutta secca, il ripieno dei petrali è la contraddizione di sapori in cui riconosco la mia Calabria, il mio Natale. Non si tratta solo di biscotti, di piccole pietre di pasta frolla, come il nome suggerisce. È tutto il rito attorno, che inizia mesi prima, a renderli speciali. Da bambina l’ho sempre visto come una ricetta magica di cui solo mia nonna conosceva i segreti, quando già da agosto stendeva i fichi a essiccare al sole, per poi conservarli e mescolarli alle mandorle, alle noci, all’uva passa, agli agrumi e al caffè, macerando tutto nel vino cotto, come fosse un calderone misterioso. Sono anni che, per imparare, insisto per aiutarla a prepararli e lo vedo nei suoi occhi vispi che c’è ancora qualcosa che non mi rivela, rimanendo custode di una meravigliosa magia tutta sua.
Giorgia Verna
«Te piace ‘o presepe?». No. Esatto, come nella commedia di De Flippo. A me il presepe non è mai piaciuto e non per altro motivo se non che a casa mia non si è mai fatto. Non che non ci fosse eh, guai e sciagure! Il nostro, però, è sempre stato nu presepe piccirillo piccirillo. Non abbiamo mai avuto l’usanza di riunirci insieme e, come vuole la tradizione, costruire pezzo pezzo, casetta dopo casetta, la struttura di legno, le abitazioni di sughero, i personaggi in terracotta. Mia madre lo ha sempre voluto così: già pronto, da accendere con la presa e basta, anche perché poi «a téppola feta», il muschio puzza.
Nun tenimmo manco a Benino tra i personaggi del presepe: e che natività è senza Benino, il pastore del sogno? Quello senza il quale nulla potrebbe esistere. Perché sì, secondo la tradizione il presepe non è altro che l’inconscio di Benino che nella notte immagina la natività, mischiando la leggenda ai luoghi della Napoli del settecento. Ogni mestiere e personaggio, all’interno del presepe ha un suo ruolo, un suo significato, una sua stagione. Ad esempio: il pescivendolo è legato al mese di dicembre, il pozzo è la porta verso gli inferi. Anche le posizioni nel presepe non possono essere casuali. E questo per mia madre era troppo complicato «je me scoccio». E giustamente: già deve cucinare per un’ armata ogni tipo leccornia della tradizione: dalla minestra maritata, agli spaghetti alle vongole, dall’insalata di rinforzo al capitone.
Per questo la mia semplice tradizione di Natale è addobbare l’albero e vedere le lucine che splendono alternate, allo stesso ritmo dei riflessi del sole sul mare di Napoli. Evidentemente sono una “donna di libertà”. In così parlò Bellavista, infatti, il professore distingue tra chi ama il presepe e chi ama l’albero. L’uomo di libertà preferisce l’albero di Natale; l’uomo d’amore invece preferisce il Presepe. E voi: che uomini siete?